Democrazia, da demos
kratos, governo del popolo.
Bella parola e altrettanto elegante il suo
significato. Ma siamo davvero decisi e convinti a voler concedere tale potere
al popolo?
Da quanto leggo in questo periodo sui post di
Facebook e dalle mail che mi arrivano da amici, colleghi e conoscenti, si. Da
quanto leggerò all’indomani dei risultati delle elezioni, sono sicuro di no.
In poche ore, dunque, gli stessi elettori, da gente
intelligente e capace di decidere in nome della democrazia che era prima del
voto, si trasformeranno a branco di pecoroni, ignoranti o, ancora, nel
classicissimo epitaffio post elettorale di “gente che ha ciò che si merita”.
Insomma, i votanti, da qualunque parte li si guardi, saranno sempre degli
incompetenti o, alla meglio, raggirati nella loro profonda ignoranza politica.
Il che, come aggiungerò in seguito, ritengo sia
anche parzialmente vero.
Questa stessa faciloneria di giudizi la constato in ogni tornata elettorale, anche nei piccoli paesi di provincia, come il paese dove abito, un centro della bassa bergamasca feudo prima democristiano e poi leghista. Il copione è sempre lo stesso: alla conta dei voti si scatena tra i tifosi (non chiamiamoli elettori) dello schieramento sconfitto la gara all'insulto.
A che pro, allora, avere una falsa democrazia?
Meglio, a questo punto, un governo aristocratico (da
aristos, migliore, ottimo, kratos, governo), come quello sovietico
di Lenin subito dopo la rivoluzione del 1917.
Platone (Copia romana dall'originale greco del IV secolo a.C. -Museo Pio-Clementino-Roma) foto ©Marie Lan Nguyen
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Marx diceva che la democrazia parlamentare era un bluff per ingannare il popolo. Mai parole furono più vere. E non perché abbia in forte simpatia l’idea marxista.
Per anni si è votato Democrazia Cristiana, Partito
Socialista e, successivamente, i figliastri da loro partoriti, senza voler
sapere cosa realmente rappresentasse quel voto. Ebbene, sono per il voto
palese, affinché nessuno, dopo, si senta autorizzato a dire “io non ho votato
per” o “non sapevo”.
Se non sapevi, perché hai votato? E se hai votato,
prenditi le tue responsabilità e paga i danni causati a tutto il popolo con la
tua superficialità.
Garantisci per un candidato? Ebbene, se questo
candidato sbaglia, paga anche tu assieme a lui. Questa è democrazia.
Perché i black bloc devono (giustamente) essere
puniti, mentre chi ha garantito e votato coscientemente per politici corrotti e
criminali (ricordate De Lorenzo e la vicenda del sangue infetto?) deve essere
assolto e a lui lasciato intatto il diritto di voto?
Il potere del popolo deve essere un privilegio,
prima ancora che un diritto. Un privilegio da conquistare e meritare. Ancora,
in questo senso, ritengo che Lenin e Trotskij abbiamo avuto le migliori
intuizioni su come gestire il potere del popolo.
Rimpiango il Sessantotto e gli anni Settata, con le
contestazioni studentesche e financo le Brigate Rosse, forse l’unico movimento
in Italia che ha cercato, seppur in modi opinabili, di cambiare realmente la
politica. In un certo senso vi sono riusciti: da allora la partecipazione del
popolo alla vita sociale (non solo politica) è divenuta attiva. Non più passivi
spettatori, ma, almeno per un certo periodo, attivi protagonisti di una
rivoluzione culturale che guardava ben oltre i confini dell’Italietta
provinciale.
Il riflusso degli anni Ottanta e Novanta ci ha
riportati indietro, purtroppo. La pazza confusione ideologica e mentale,
catalizzata da un abusato e inappropriato uso della parola democrazia, ci ha
riportati nella nostra mediocrità e nell’abisso della convinzione che la nostra
nazione sia la più invidiata al mondo.
Suvvia, guardiamoci attorno. Abbiamo una Costituzione penosa che non
riesce neppure a garantire ai propri sudditi il compimento del primo articolo
(e si sa, il primo è l’articolo su cui dovrebbe basarsi l’intero edificio
costituzionale), un inno nazionale da operetta di cui nessuno capisce il testo,
politici inetti e infami (eletti, però, democraticamente); noi stessi incapaci
di gestire il nostro patrimonio artistico (e allora ben vengano i Napoleone e i
musei diretti da non italiani). Abbiamo una scuola, in particolare superiore e
universitaria, validissima nell’insegnamento teorico, ma non sappiamo
trattenere gli elementi più preparati. Ci lamentiamo perché le leggi non
vengono rispettate, ma quando siamo noi a doverle rispettare le aggiriamo senza
pietà. E ci troviamo immersi nella sporcizia (non solo ideologica e politica),
senza alcun senso civico. Ammiriamo incondizionatamente i paesi scandinavi, ma
se si tratta di applicare il loro stile di vita, la nostra ammirazione diviene
condizionata dai “ma” e dai “distinguo” e subito ci tiriamo indietro. Il nostro
meschino provincialismo ci ha segregati ed è inutile illuderci: siamo alla
periferia di tutto. Perfino della bellezza di quello che, con troppa superbia,
abbiamo noi stessi soprannominato Bel Paese.
Non sono democratico. Sono ampiamente anti
democratico. Non sono neppure favorevole al voto universale.
«Il pericolo delle democrazie è il
suffragio universale. Lasciare libertà alle masse significa perdere libertà»
diceva Leo Longanesi. Sono, una volta tanto, d’accordo con lui.
La libertà è una forma di disciplina, cantavano i
CCCP.
Karl Marx - Museo di Arte Socialista di Sofia, Bulgaria Foto ©Piergiorgio Pescali |
Mi chiedo perché il voto di una persona che si
impegna per il proprio paese (che sia nazione, città, quartiere, poco importa)
togliendo tempo alla famiglia, agli interessi, agli hobby deve avere lo stesso
peso di quello di una persona che, invece, non partecipa mai alla vita comune
se non una tantum per tracciare una X su un pezzo di carta.
E allora massimo rispetto per il voto, qualunque
esso sia, di questa persona impegnata; che sia una preferenza che rispecchi le
mie idee o che sia in contrapposizione ad esse. E, al tempo stesso, massimo
disprezzo per il voto, qualunque esso sia, di una persona farfallona e
qualunquista; che sia una preferenza che rispecchi le mie idee o che sia in
contrapposizione ad esse.
Il voto non è un solo un dovere: è, ancora prima, un
diritto e come tale bisogna guadagnarselo.
Libertà è partecipazione, ci ricorda(va) Gaber.
Copyright ©Piergiorgio Pescali
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