Non dimenticare la storia


Als die Nazis die Kommunisten holten, habe ich geschwiegen;
ich war ja kein Kommunist.
Als sie die Sozialdemokraten einsperrten, habe ich geschwiegen;

ich war ja kein Sozialdemokrat.
Als sie die Gewerkschafter holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Gewerkschafter.
Als sie die Juden holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Jude.
Als sie mich holten,
gab es keinen mehr, der protestierte.


Quando i nazisti vennero per i comunisti, io restai in silenzio;
non ero comunista.
Quando rinchiusero i socialdemocratici, rimasi in silenzio;
non ero un socialdemocratico.
Quando vennero per i sindacalisti, io non feci sentire la mia voce;
non ero un sindacalista.
Quando vennero per gli ebrei, non protestai;
non ero un ebreo.
Quando vennero per me, non era più rimasto nessuno che potesse far sentire la mia voce.

(Emil Gustav Friedrich Martin Niemöller; Lippstadt, 14 gennaio 1892 – Wiesbaden, 6 marzo 1984)



S-21 - Nella prigione di Pol Pot

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S-21; un romanzo storico, una narrazione viva e potente che porta il lettore in una struttura detentiva istituita dal regime degli Khmer Rossi, una prigione da cui pochi sono tornati, seppur segnati nel corpo e nello spirito, vivi.

IL CUSTODE DI TERRA SANTA - un colloquio con padre Pierbattista Pizzaballa

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FESTIVAL FRANCESCANO 2014 - Rimini, piazza Tre Martiri,SABATO 27 SETTEMBRE - ORE 15.00 Presentazione del libro Il Custode di Terra Santa

INDOCINA - Un libro, una saggio, una guida per chi vuole approfondire

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Come muore la democrazia con le elezioni

Democrazia, da demos kratos, governo del popolo.
Bella parola e altrettanto elegante il suo significato. Ma siamo davvero decisi e convinti a voler concedere tale potere al popolo?
Da quanto leggo in questo periodo sui post di Facebook e dalle mail che mi arrivano da amici, colleghi e conoscenti, si. Da quanto leggerò all’indomani dei risultati delle elezioni, sono sicuro di no.

Sono sicuro di no perché assisteremo al solito teatrino di critiche e insulti al demos che non ha votato per il kratos che noi vorremmo.
In poche ore, dunque, gli stessi elettori, da gente intelligente e capace di decidere in nome della democrazia che era prima del voto, si trasformeranno a branco di pecoroni, ignoranti o, ancora, nel classicissimo epitaffio post elettorale di “gente che ha ciò che si merita”. Insomma, i votanti, da qualunque parte li si guardi, saranno sempre degli incompetenti o, alla meglio, raggirati nella loro profonda ignoranza politica.
Il che, come aggiungerò in seguito, ritengo sia anche parzialmente vero.

Poco tempo fa, all’indomani del referendum sulle trivelle (ma la storia si ripete in ogni tornata elettorale), ricordo una ridda di post inferociti che criticavano, arrivando anche agli insulti, l’elettorato che non era stato capace di riconoscere il bene e il male in fase di espressione del proprio voto (naturalmente ciò che è bene e ciò che è male sono visti in termini assoluti e autoritari nella concezione di chi insulta). E molte di queste ingiurie provenivano dalle stesse persone che poche ore prima inneggiavano alla democrazia (demos kratos) ed elogiavano gli elettori definendoli “gente intelligente capace di decidere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato”. Una piaggeria poco democratica e molto fascistoide comune, purtroppo, non solo in Italia.
Questa stessa faciloneria di giudizi la constato in ogni tornata elettorale, anche nei piccoli paesi di provincia, come il paese dove abito, un centro della bassa bergamasca feudo prima democristiano e poi leghista. Il copione è sempre lo stesso: alla conta dei voti si scatena tra i tifosi (non chiamiamoli elettori) dello schieramento sconfitto la gara all'insulto.

A che pro, allora, avere una falsa democrazia?
Meglio, a questo punto, un governo aristocratico (da aristos, migliore, ottimo, kratos, governo), come quello sovietico di Lenin subito dopo la rivoluzione del 1917.

                            Platone (Copia romana dall'originale greco del IV secolo a.C. -Museo Pio-Clementino-Roma) foto ©Marie Lan Nguyen

Marx diceva che la democrazia parlamentare era un bluff per ingannare il popolo. Mai parole furono più vere. E non perché abbia in forte simpatia l’idea marxista.

Per anni si è votato Democrazia Cristiana, Partito Socialista e, successivamente, i figliastri da loro partoriti, senza voler sapere cosa realmente rappresentasse quel voto. Ebbene, sono per il voto palese, affinché nessuno, dopo, si senta autorizzato a dire “io non ho votato per” o “non sapevo”.
Se non sapevi, perché hai votato? E se hai votato, prenditi le tue responsabilità e paga i danni causati a tutto il popolo con la tua superficialità.
Garantisci per un candidato? Ebbene, se questo candidato sbaglia, paga anche tu assieme a lui. Questa è democrazia.
Perché i black bloc devono (giustamente) essere puniti, mentre chi ha garantito e votato coscientemente per politici corrotti e criminali (ricordate De Lorenzo e la vicenda del sangue infetto?) deve essere assolto e a lui lasciato intatto il diritto di voto?

Il potere del popolo deve essere un privilegio, prima ancora che un diritto. Un privilegio da conquistare e meritare. Ancora, in questo senso, ritengo che Lenin e Trotskij abbiamo avuto le migliori intuizioni su come gestire il potere del popolo.

Rimpiango il Sessantotto e gli anni Settata, con le contestazioni studentesche e financo le Brigate Rosse, forse l’unico movimento in Italia che ha cercato, seppur in modi opinabili, di cambiare realmente la politica. In un certo senso vi sono riusciti: da allora la partecipazione del popolo alla vita sociale (non solo politica) è divenuta attiva. Non più passivi spettatori, ma, almeno per un certo periodo, attivi protagonisti di una rivoluzione culturale che guardava ben oltre i confini dell’Italietta provinciale.
Il riflusso degli anni Ottanta e Novanta ci ha riportati indietro, purtroppo. La pazza confusione ideologica e mentale, catalizzata da un abusato e inappropriato uso della parola democrazia, ci ha riportati nella nostra mediocrità e nell’abisso della convinzione che la nostra nazione sia la più invidiata al mondo.
Suvvia, guardiamoci attorno.  Abbiamo una Costituzione penosa che non riesce neppure a garantire ai propri sudditi il compimento del primo articolo (e si sa, il primo è l’articolo su cui dovrebbe basarsi l’intero edificio costituzionale), un inno nazionale da operetta di cui nessuno capisce il testo, politici inetti e infami (eletti, però, democraticamente); noi stessi incapaci di gestire il nostro patrimonio artistico (e allora ben vengano i Napoleone e i musei diretti da non italiani). Abbiamo una scuola, in particolare superiore e universitaria, validissima nell’insegnamento teorico, ma non sappiamo trattenere gli elementi più preparati. Ci lamentiamo perché le leggi non vengono rispettate, ma quando siamo noi a doverle rispettare le aggiriamo senza pietà. E ci troviamo immersi nella sporcizia (non solo ideologica e politica), senza alcun senso civico. Ammiriamo incondizionatamente i paesi scandinavi, ma se si tratta di applicare il loro stile di vita, la nostra ammirazione diviene condizionata dai “ma” e dai “distinguo” e subito ci tiriamo indietro. Il nostro meschino provincialismo ci ha segregati ed è inutile illuderci: siamo alla periferia di tutto. Perfino della bellezza di quello che, con troppa superbia, abbiamo noi stessi soprannominato Bel Paese.

Non sono democratico. Sono ampiamente anti democratico. Non sono neppure favorevole al voto universale.
«Il pericolo delle democrazie è il suffragio universale. Lasciare libertà alle masse significa perdere libertà» diceva Leo Longanesi. Sono, una volta tanto, d’accordo con lui.
La libertà è una forma di disciplina, cantavano i CCCP.


Karl Marx - Museo di Arte Socialista di Sofia, Bulgaria
Foto  ©Piergiorgio Pescali

Mi chiedo perché il voto di una persona che si impegna per il proprio paese (che sia nazione, città, quartiere, poco importa) togliendo tempo alla famiglia, agli interessi, agli hobby deve avere lo stesso peso di quello di una persona che, invece, non partecipa mai alla vita comune se non una tantum per tracciare una X su un pezzo di carta.

E allora massimo rispetto per il voto, qualunque esso sia, di questa persona impegnata; che sia una preferenza che rispecchi le mie idee o che sia in contrapposizione ad esse. E, al tempo stesso, massimo disprezzo per il voto, qualunque esso sia, di una persona farfallona e qualunquista; che sia una preferenza che rispecchi le mie idee o che sia in contrapposizione ad esse.

Il voto non è un solo un dovere: è, ancora prima, un diritto e come tale bisogna guadagnarselo.

Libertà è partecipazione, ci ricorda(va) Gaber.


Copyright ©Piergiorgio Pescali

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