Non dimenticare la storia


Als die Nazis die Kommunisten holten, habe ich geschwiegen;
ich war ja kein Kommunist.
Als sie die Sozialdemokraten einsperrten, habe ich geschwiegen;

ich war ja kein Sozialdemokrat.
Als sie die Gewerkschafter holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Gewerkschafter.
Als sie die Juden holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Jude.
Als sie mich holten,
gab es keinen mehr, der protestierte.


Quando i nazisti vennero per i comunisti, io restai in silenzio;
non ero comunista.
Quando rinchiusero i socialdemocratici, rimasi in silenzio;
non ero un socialdemocratico.
Quando vennero per i sindacalisti, io non feci sentire la mia voce;
non ero un sindacalista.
Quando vennero per gli ebrei, non protestai;
non ero un ebreo.
Quando vennero per me, non era più rimasto nessuno che potesse far sentire la mia voce.

(Emil Gustav Friedrich Martin Niemöller; Lippstadt, 14 gennaio 1892 – Wiesbaden, 6 marzo 1984)



S-21 - Nella prigione di Pol Pot

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S-21; un romanzo storico, una narrazione viva e potente che porta il lettore in una struttura detentiva istituita dal regime degli Khmer Rossi, una prigione da cui pochi sono tornati, seppur segnati nel corpo e nello spirito, vivi.

IL CUSTODE DI TERRA SANTA - un colloquio con padre Pierbattista Pizzaballa

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FESTIVAL FRANCESCANO 2014 - Rimini, piazza Tre Martiri,SABATO 27 SETTEMBRE - ORE 15.00 Presentazione del libro Il Custode di Terra Santa

INDOCINA - Un libro, una saggio, una guida per chi vuole approfondire

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Dopo Nizza: cercano valori, gli offriamo frivolezze

Quanto impariamo dalla storia e quanto traiamo frutto dalle esperienze? Poco, a quanto pare. L’uomo, per sua natura, tende a ripetere gli errori commessi nel passato; non perché non sia consapevole delle sue mancanze, ma perché, specialmente nel nostro modo di pensare ed agire, lasciamo che siano le emozioni a prevalere sulla ragione.






E l’emotività, spesso immantinente, dettata dal momento e dai fatti che ci coinvolgono nella vita quotidiana, è la principale causa dei nostri ripetuti sbagli. Rifiutiamo di riflettere, di calcolare, di discutere. 
Madrid, Londra, Parigi, Bruxelles, Nizza hanno insegnato ben poco.
A poche ore dai fatti, autoreferenziati esperti di islam e Medio Oriente (che di islam e di Medio Oriente spesso conoscono solo gli stereotipi), autocelebrati moralisti e difensori di un cristianesimo a cui loro stessi non credono, si sono sentiti in dovere di dire la loro su tutto e su tutti, assolvendo in modo perentorio la nostra società da ogni colpa.
Secondo le teorie di questi gaudenti “esperti” noi siamo le uniche e sole vittime. “Loro” (gli islamici) sono gli unici e soli colpevoli, aguzzini, terroristi.
Pochi tra gli “esperti” e i moralisti si sono chiesti se anche noi abbiamo delle colpe e come si sia giunti a questa situazione. Tutti hanno trovato lo stesso ed unico capro espiatorio: la matrice islamica che, a seconda dei periodi e degli umori, può essere talebana (senza sapere che i talebani non hanno mai compiuto attentati al di fuori dall’Afghanistan e dal Pakistan), al-Qaeda, Isis, Fratelli Musulmani e chi più ne ha più ne metta.
L’attentatore di Nizza ha, con tutta probabilità, agito da solo. Il fatto che l’Isis, o chi per essa, abbia esultato e recriminato la paternità dell’atto, significa solo che l’organizzazione, così come al-Qaeda, si trova in grosse difficoltà. Quella di Nizza è stata una strage logisticamente non certo degna di particolari e sofisticati preparativi. Un camion che falcidia all’impazzata decine di persone lungo un viale, non si può dire sia opera di un fine cervello terrorista. Nessun controllo, nessuna pianificazione, nessuna bomba; solo un semplice camion e un autista che preme il piede sull’acceleratore.
Ma Nizza ci ha insegnato, ancora una volta, che la nostra democrazia, la nostra società, i nostri valori, non possono essere esportati. Gli attentatori non sono quasi mai persone nate e vissute all’ombra delle moschee in Siria, Afghanistan, Tunisia, Egitto. In Afghanistan ho conosciuto taleban molto più aperti e tolleranti di certi nostri defensor fidei; in Libano ho frequentato Hezbollah che in casa, accanto al Corano, avevano la Bibbia. Coloro che si ergono a shahid sono persone nate e vissute in Europa, hanno vissuto una vita da laici, frequentato ambienti anche moralmente discutibili, hanno spacciato. Persone che hanno condiviso proprio quegli stili di vita che, ad un certo punto, non li hanno più soddisfatti.
E qui dobbiamo chiederci quali valori abbiamo loro offerto in alternativa alle frivolezze della nostra società. È significativo che gli attentati in Europa siano sempre stati diretti, non contro chiese o centri religiosi, ma contro luoghi di divertimento (discoteche, stadi, aeroporti, spettacoli).
Davvero non sappiamo offrire altro a persone che cercano qualcosa di più profondo?
Significativo è un sondaggio fatto su Facebook dagli amministratori del mio paese sulla possibile nuova destinazione di un impianto inizialmente destinato a centro natatorio, ma che ora si vorrebbe tramutare in qualcosa di meno costoso e più usufruibile. Tra le numerose proposte quella più gettonata sembra essere la destinazione ad un’area da adibire per le feste o a centri commerciali, come se di feste e centri commerciali non ce ne fossero già abbastanza. A quanto pare abbiamo perso anche una delle poche risorse per cui eravamo apprezzati nel mondo: la fantasia. Eppure, proprio tra gli elettori che sostenevano la lista che oggi guida il comune, una delle critiche che si faceva alla passata amministrazione era la scarsa (direi totale) mancanza di attenzione verso la cultura. Ma, ora che se ne ha l’occasione, quasi nessuno ha proposto un polo culturale, un luogo dove poter discutere, una nuova destinazione per l’attuale fatiscente e poco funzionale biblioteca. Sembra davvero che nel momento in cui si parla di cultura (che non significa ore passate a studiare sui libri o ad ascoltare noiose conferenze), non ci sia differenza: da qualunque parte la si guardi, non interessa. Salvo poi lamentarci con chi i vari governi (nazionali, regionali, comunali) perché non pongono abbastanza attenzione alla cultura.
Ed è questa mentalità che alimenta l’insoddisfazione da parte di chi vede che, mentre parte del mondo fatica a trovare stabilità, sicurezza, dignità, l’altra parte pensa solo a se stessa.
Rifiutare la cultura è rifiutare il dialogo. Questo, in sintesi, è il messaggio che lanciamo a questi ragazzi che, per noi incomprensibilmente, si lanciano verso la morte per dare significato alla loro vita.
Loro cercano valori, noi gli proponiamo frivolezze, o, nel migliore dei casi, epitaffi culturali del tipo “Fate i sermoni nella lingua del Paese che vi ospita e non in arabo”.
La pazzia si è impossessata di noi. Siamo veramente fuori da ogni logica.
In pratica stiamo dicendo a queste persone che la loro lingua, preziosa perché parlata dal loro profeta, è un’accozzaglia di suoni gutturali e aspirati, una cacofonia inascoltabile e che a noi non fa piacere che venga parlata neppure tra loro stessi. Cosa diremmo se in Bangladesh obbligassero a celebrare tutte le messe in bengalese (abolendo quelle in inglese o in italiano) perché le autorità non capiscono le prediche? Giustamente ci ribelleremmo.
Così, altrettanto giustamente, i musulmani presenti in Europa, si chiedono per quale motivo dovrebbero pregare in italiano, francese, tedesco, fiammingo, magari in bergamasco o gaelico.
Abbiamo abolito il latino dalle chiese perché nessuno ne capiva il significato; nella nostra logica “democratica” vogliamo imporre lingue altrettanto incomprensibili a chi ripone nella lingua un significato del tutto particolare.
Non giustifico chi attenta alla vita degli altri per salvare la sua, ma sono dalla parte di chi, con tutta onestà religiosa, vuole pregare il suo Dio in santa pace e nel linguaggio a lui più consono.


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