di © Piergiorgio Pescali
Il 2014 sarà l'anno decisivo per la storia afghana, o almeno è questa la sensazione che viene trasmessa dai principali attori politici e militari operanti nel Paese.
Allo stesso modo era stato definito decisivo il 1973, quando il
re Zahir Shah fu detronizzato dal principe Mohammed Daud e la monarchia
venne trasformata in repubblica.
La corruzione dilagò e fu la volta del 1978 ad essere dichiarato
anno della svolta, con un Partito Democratico del Popolo Afghano che diede avvio
ad una riforma laica del Paese.
Ma il laicismo non piacque ai gruppi islamici che iniziarono a
organizzare una resistenza armata. Allora il popolo afghano venne informato che
il momento determinate sarebbe avvenuto nel 1979, quando le truppe sovietiche varcarono
il confine da nord per guarire l'alleato dalla dipendenza dell'oppio religioso.
Ma, ancora una volta, l'anno risolutivo venne spostato al 1989,
quando gli afghani osservarono le stesse truppe sovietiche ripercorrere a
ritroso la strada che dieci anni prima avevano calpestato con maggiore
spavalderia.
Quando anche il 1989 si rivelò un bluff, venne annunciato che la
rinascita della nazione avrebbe avuto inizio nel 1992, allorché migliaia di
afghani accolsero le truppe di Massud a Kabul nella speranza che portassero la
pace.
La capitale, che era rimasta intatta durante la guerra contro i
sovietici, fu pesantemente bombardata dagli stessi afghani, impazziti in una
guerra fratricida. E allora l'anno della rinascita afghana fu posticipato al
1996 con l'arrivo dei Taliban.
La società ripiombò in una sorta di oscurantismo religioso, ma
finalmente le armi, per la prima volta da più di due decenni, tacquero sull'85
per cento del territorio (il rimanente 15 per cento era controllato
dall'Alleanza del Nord di Ahmed Shah Massud e Burhanuddin Rabbani) e la
popolazione poteva guardare con più ottimismo al proprio futuro.
Una prospettiva che durò poco; arrivò nuovamente un anno
decisivo a sconvolgere le vite degli afghani. Fu il 2001, con l'attentato al
World Trade Center, al Pentagono, l'aereo diretto alla Casa Bianca, ma caduto a
Shanksville. Sembrava dovesse veramente ribaltarsi il mondo. In pochi mesi i
Taliban vennero scalzati dal potere e furono in molti a credere, questa volta
con sincera emozione, che qualcosa stesse cambiando. E per il meglio.
Poi la delusione, anzi le delusioni.
La prima, quella più amara perché inaspettata, la fallimentare
politica occidentale. Dopo la sconfitta del movimento Taliban tutti si
aspettavano che sarebbe cominciata la ricostruzione economica del Paese cosa
che, invece, è avvenuta al rallentatore o, addirittura, in alcune province, non
è mai stata avviata.
La seconda, questa, invece, prevista perché più difficile da
realizzare, la riedificazione di uno status politico e sociale. Le divisioni
etniche si sono espresse in tutta la loro dissennata potenza disgregatrice sia
nel parlamento nazionale che in quelli locali, influenzando l'intero processo
di pace sociale e rimettendo in gioco i Taliban, unica forza apparentemente in
grado di proporre un ideale nazionale univoco sotto la bandiera dell'islam.
A favorire il ritorno delle frange taliban ha contribuito
notevolmente la propaganda antireligiosa condotta dai movimenti integralisti
cristiani europei e statunitensi che ha indotto la popolazione afghana a
reagire alle offese gratuite verso la propria fede rifugiandosi in quei gruppi
che, secondo loro, più la difendevano.
Ed eccoci al 2014. L'ennesimo anno decisivo della storia afghana
che, naturalmente, decisivo non sarà.
Lo si è visto nelle elezioni presidenziali, celebrate in pompa
magna e, infine, risoltasi in una indecente baruffa tra i due candidati
principali: il tagiko Abdullah Abdullah, ex ministro degli esteri di Karzai,
fedelissimo di Massud e favorito alla vittoria finale, che non è arrivata, e il
pashtun Ashraf Ghani, ex funzionario della Banca Mondiale il quale, pur di
aggiudicarsi la maggioranza, non si è fatto scrupoli ad allearsi con un
carismatico criminale di guerra, l'uzbeko Rashid Dostum.
La geografia del voto parla chiaro: gli afghani hanno scelto
secondo appartenenza etnica più che sulla base dei programmi elettorali,
peraltro molto simili tra loro (entrambe i contendenti sono filoccidentali e si
sono pronunciati favorevolmente ad una continuazione della missione militare internazionale
confidando in un forte appoggio statunitense).
Le province meridionali, a maggioranza pashtun, assieme alle
quattro province settentrionali abitate in prevalenza dagli uzbeki (Kunduz,
Jawzjan, Faryab e Sari Pul) si sono espresse a favore di Ghani. Abdullah,
invece, ha ottenuto la vittoria nelle province tagike e in quelle sciite. Il
risultato è una nazione divisa nettamente in due che dovrà cercare di ritrovare
un'unità di programmi se non vuole far precipitare l'Afghanistan di nuovo nell'abisso
della guerra civile.
Con la scadenza del mandato Isaf-Nato alle porte, la situazione
sul campo militare si fa più pesante. Obama ha già annunciato che il 1° gennaio
2015 inizierà la Resolute Support Mission, in pratica l'appendice della
precedente missione militare, che permetterà a 9.800 truppe statunitensi di
permanere in Afghanistan fino al 2016.
Una delle prime mosse che i candidati presidenziali han detto di
voler fare sarà quella di firmare il Bilateral Security Agreement che, oltre
portare la nazione a diventare ufficialmente un alleato degli USA (e non più
della Nato) consegnerà alle forze armate afghane la direzione delle basi
militari.
Un passo decisivo per concludere l'inteqal, la
transizione iniziata nel luglio 2010 e che, nei piani di Washington, prevedeva
il controllo del territorio in mani afghane entro la fine del 2014.
La Resolute Support Mission, in qualsiasi modo la si voglia
presentare, è la dimostrazione del fallimento di questa transizione.
L'Afghan National Security Forces (ANSF), il corpo militare di
345.000 uomini che comprende l'esercito, le forze di polizia e i servizi
segreti, non ha dimostrato di essere in grado di subentrare all'Isaf/Nato, come
dimostra il conto dei morti: 8.200 membri dell'ANSF sono stati uccisi nel corso
del solo 2013 (contro un totale di 3.400 soldati dell'Isaf/Nato dal 2001 al
luglio 2014).
Kabul dovrebbe spendere ogni anno tra i cinque e i sei miliardi
di dollari per mantenere in vita il ciclopico apparato, ma le entrate annuali
ammontano a soli 2,3 miliardi di dollari.
Questo metterebbe a repentaglio la sopravvivenza (non si parla
di nuovi investimenti) dei pochi e mal gestiti progetti sociali sino ad oggi
avviati. Lo stesso governo afghano ha ammesso che il 60% degli aiuti
assistenziali provenienti dai Paesi donatori sono confluiti nel buco nero
dell'ANSF.
Il pericolo maggiore, però, non proviene dalla mancanza di
fondi, che potrebbero essere colmati con una migliore gestione degli aiuti. Le
forze militari afghane sono un vero concentrato di inefficienza e corruzione.
L'Afghan National Police (ANP) è considerato il sacco bucato dell'ANSF: nei
suoi registri sarebbero iscritti 151.000 poliziotti, ma secondo l'US Combined
Security Transition Command-Afghanistan almeno 54.000 nominativi sarebbero
fasulli per permettere agli ufficiali di intascare stipendi e bonus. Sempre
l'ANP sarebbe responsabile della maggioranza dei casi di corruzione e di
violenze ai danni dei cittadini, mentre i vari comandi, oltre che a concludere
patti di non belligeranza con i Taliban, venderebbero loro ingenti quantitativi
d'armi.
L'International NGO Safety Organization (INSO) ha rilasciato un
rapporto in cui si denunciano rapimenti e uccisioni di cooperanti (92 rapimenti
e 14 uccisioni nei soli primi cinque mesi del 2014, contro i 117 rapimenti e le
30 uccisioni di tutto il 2013), mentre la quasi totalità di operatori umanitari
si vede costretta a pagare veri e propri dazi alle autorità ed ai signorotti
locali per poter entrare nelle zone in cui operano.
Le difficoltà in cui operano le agenzie addette allo sviluppo
umano hanno relegato l'Afghanistan al 169° posto (su 187) nella classifica
dell'UN Development Index nel 2013.
Non sorprende, dunque, che le forze antigovernative stiano
riguadagnando terreno, anche se i contrasti all'interno della galassia Taliban
(se ancora esiste un movimento che si possa definire tale) sono ormai evidenti.
Ai vecchi Taliban, a cui fa capo la Shura Suprema, o Shura di
Quetta, dalla città pakistana in cui per lungo tempo hanno risieduto i leader,
tra cui il Mullah Omar, oggi si sono aggiunti e in molti casi sostituiti, i
cosiddetti “nuovi Taliban” che accolgono tra le loro file anche combattenti
pashtun pakistani. L'Hizb-e-Islami di Gulbedin Hekmatyar, che ha sede a Bajaur,
nella Federal Administration Tribal Area del Pakistan e il Network Haqqani,
guidato da Sirajuddin e Jalaluddin Haqqani, che ha posto il suo quartier
generale a Miramshah, nel Nord Waziristan si dividono le province afghane in
cui operano (Laghman, Kunar, Nuristan, Nagarhar, Paktia, Khost, Lodar, Wardak e
Paktika).
Le province di Uruzgan, Zabul, Kandahar e Helmand, che
storicamente hanno visto la nascita e lo sviluppo del movimento degli studenti
islamici, rimangono solide basi per la
Shura di Quetta.
Ma da questi tre tronconi principali si ramificano una miriade
di movimenti che, se da una parte indeboliscono la guerriglia, dall'altra
rendono problematico ogni possibile accordo tra i Taliban ed il governo di
Kabul, il quale si trova a dover dialogare con più leader senza avere la
sicurezza che gli eventuali accordi stipulati vengano rispettati.
Le rivalità tra i vari movimenti si sono evidenziate con
l'apertura da parte della Shura Suprema, della sede dell'Emirato Islamico di
Afghanistan (il nome del Paese sotto i Taliban) a Doha nel giugno 2013;
contestata da numerosi gruppi, tra cui il Mahaz-e-Fedayeen del Mullah
Najibullah, che ha tacciato di tradimento il gruppo del Mullah Omar.
Anche le alleanze con al-Qaida oggi sono quasi del tutto
scomparse tra i vecchi Taliban, mentre vengono rinsaldate tra i nuovi gruppi,
più disposti a stringere accordi interetnici su basi ideologici e religiosi.
Tutto questo ha prodotto un aumento degli attacchi Taliban, in
particolare dal 2012 ad oggi. In previsione del ritiro delle truppe straniere e
dell'indebolimento dell'apparato militare all'interno della nazione, anche le
tattiche ideologiche sono cambiate: gli obiettivi non sono più gli infedeli, ma
i munafiqeen, gli ipocriti religiosi.
Ecco, dunque, il fucile che cambia direzione mirando agli stessi
musulmani. E con i nuovi Taliban il jihad diventa internazionale: nelle
province settentrionali l'Islamic Movement of Uzbekistan, i cui mujahidin sino
al 2013 erano stato sempre respinti oltre i confini afghani, stanno avanzando
verso l'interno, prendendo posizione nei villaggi uzbeki.
Cambiano gli obiettivi, ma cambiano anche le fonti degli
approvvigionamenti. Gli stessi finanziamenti, se prima derivavano
principalmente dalla coltivazione dal traffico di droga, oggi provengono dal
contrabbando di beni da Dubai e Pakistan, oltreché da estorsioni e dazi imposti
al passaggio di merci e persone nei posti di blocco.
Secondo il rapporto dell'UNODC del 2012 (The Global Afghan
Opium Trade: A Threat Assesssment), i Taliban guadagnerebbero “solo”
140-170 milioni di USD dalle tasse imposte ai coltivatori e ai trafficanti. Al
contrario, l'aumento dei campi d'oppio, che nel solo 2013 sarebbero aumentati
del 36 per cento nonostante i governi della coalizione abbiano speso più di 7
miliardi di dollari in operazioni antidroga, sarebbe dovuto alla compiacenza
dei governatori e dei signori della guerra locali, in accordo con le forze
militari afghane.
In tutto questo quadro il Pakistan giocherà un ruolo
fondamentale per il ristabilimento degli equilibri politici e etnici. Il
governo di Kabul, dopo anni di accuse verso Islamabad per il suo appoggio dato
ai Taliban, sta oggi cambiando atteggiamento, cercando un dialogo che possa
portare ad una collaborazione reciproca.
Il governo di Muhammad Nawaz Sharif, però, dovrà fare i conti
con i potentissimi servizi segreti, una sorta di mina vagante nella storia
politica pakistana. Sono loro, con l'appoggio decisivo di Benazir Bhutto, che
negli anni Novanta hanno creato, finanziato ed addestrato i primi studenti
delle madrase trasformandoli in quelli che oggi sono noti come Taliban (il cui
nome, appunto, significa studenti). Sono loro che offrono protezione e aiuto ai
vecchi e nuovi Taliban nella speranza di influenzare e guidare la politica del
governo afghano.
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Piergiorgio Pescali
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