La Shoah? Ebrei
e nazisti vittime uguali.
È questo il
senso ultimo del film «Il bambino con il pigiama a righe» che Retequattro manderà
in onda martedì 27 gennaio, Giorno della Memoria.
Il film
rimane non solo uno delle peggiori pellicole girate sulla Shoah, ma anche un
concentrato di disinformazione su cosa erano e come funzionavano i campi di
concentramento.
Cosa ben
più grave, il lungometraggio, accomunando il dolore e la sofferenza di un
intero popolo con quello della famiglia nazista, è anche un’ignobile
assoluzione del popolo tedesco e della sua classe dirigente dalle
responsabilità avute durante il periodo del Terzo Reich.
Assurda
anche la figura della moglie del Comandante del campo che, a pochi metri dal
“luogo di lavoro” del marito, per anni ha continuato a pensare che nulla di
atroce accadesse al di là del suo giardino (e, magari, che l’odore di carne
bruciata portata dal vento sin sotto le finestre della dimora fossero allegri
barbecue organizzati dal suo consorte per i prigionieri).
La verità,
purtroppo, era ben altra: tutte le amministrazioni dei Lager da me visitati
(ripeto, TUTTE), tutti gli studiosi della Shoah interpellati hanno sottolineato
che il popolo tedesco era perfettamente a conoscenza di ciò che accadeva nei
campi di concentramento e quale fosse il destino delle popolazioni ebraiche
rinchiuse nei ghetti o rastrellate nelle città e nei paesini, smontando così la
favola di un popolo ignaro e innocente mostrata nel film di Mark Herman.
Bellissima
ed emblematica, in questo senso, l’immagine del bambino che ostenta il segno
della gola tagliata mentre passa il treno diretto ad Auschwitz in «Schindler’s
List”, capolavoro (questo sì, di informazione) di Spielberg.
Il film di
Mark Herman (che pur ha scritto e diretto film magnifici come «Grazie, signora
Thatcher») è, invece, la mistificazione e lo stravolgimento di una realtà ormai
appurata ma che il tempo rischia di far dimenticare.
Inutile
dire che durante il periodo nazista anche i bambini, “addomesticati”
all’ideologia di regime sin dalla più tenera infanzia, erano parte integrante
dell’odio verso le razze considerate inferiori (ancora oggi in Germania il
sentimento antisemita è tangibile in molti strati della società).
La
testimonianza tangibile dei campi di concentramento perpetuata ancora oggi è
stata resa possibile solo grazie al provvidenziale arrivo dei sovietici e degli
Alleati. I tedeschi avevano già iniziato a smantellare le scomode verità nel
tentativo di cancellare, così come è stato fatto sistematicamente con il Muro
di Berlino, un passato scomodo da ricordare e, soprattutto, da vedere.
Ciò che
preoccupa maggiormente è che «Il bambino con il pigiama a righe», oltre ad
essere stato trasmesso su numerose reti televisive, viene anche mostrato alle
scuole: che idea si potranno fare i ragazzi nell’osservare le scene inventate,
addirittura stravolte e per nulla appartenenti alla Storia mostrate nel film?
Quale Shoah verrà loro raccontata?
Eppure, di
film di REALE informazione su ciò che è accaduto durante quegli anni, non
mancano. A cominciare dallo stupendo (e quasi sconosciuto) «Senza destino», di
Lajos Koltai, per continuare con «Il pianista» di Roman Polanski o «La Tregua»
di Francesco Rosi.
Ma «Il
bambino con il pigiama a righe», per favore, non definitelo un film sulla
Shoah.
©Piergiorgio Pescali
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