Non dimenticare la storia


Als die Nazis die Kommunisten holten, habe ich geschwiegen;
ich war ja kein Kommunist.
Als sie die Sozialdemokraten einsperrten, habe ich geschwiegen;

ich war ja kein Sozialdemokrat.
Als sie die Gewerkschafter holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Gewerkschafter.
Als sie die Juden holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Jude.
Als sie mich holten,
gab es keinen mehr, der protestierte.


Quando i nazisti vennero per i comunisti, io restai in silenzio;
non ero comunista.
Quando rinchiusero i socialdemocratici, rimasi in silenzio;
non ero un socialdemocratico.
Quando vennero per i sindacalisti, io non feci sentire la mia voce;
non ero un sindacalista.
Quando vennero per gli ebrei, non protestai;
non ero un ebreo.
Quando vennero per me, non era più rimasto nessuno che potesse far sentire la mia voce.

(Emil Gustav Friedrich Martin Niemöller; Lippstadt, 14 gennaio 1892 – Wiesbaden, 6 marzo 1984)



S-21 - Nella prigione di Pol Pot

S-21 - Nella prigione di Pol Pot
S-21; un romanzo storico, una narrazione viva e potente che porta il lettore in una struttura detentiva istituita dal regime degli Khmer Rossi, una prigione da cui pochi sono tornati, seppur segnati nel corpo e nello spirito, vivi.

IL CUSTODE DI TERRA SANTA - un colloquio con padre Pierbattista Pizzaballa

IL CUSTODE DI TERRA SANTA - un colloquio con padre Pierbattista Pizzaballa
FESTIVAL FRANCESCANO 2014 - Rimini, piazza Tre Martiri,SABATO 27 SETTEMBRE - ORE 15.00 Presentazione del libro Il Custode di Terra Santa

INDOCINA - Un libro, una saggio, una guida per chi vuole approfondire

INDOCINA - Un libro, una saggio, una guida per chi vuole approfondire
Per ordinarne una copia: 3394551575 oppure yasuko@alice.it
© COPYRIGHT Piergiorgio Pescali - E' vietata la riproduzione anche parziale senza il consenso dell'autore

Il Giappone è meno pacifista. E l'Asia si preoccupa

 “Aspirando sinceramente ad una pace internazionale fondata sulla giustizia e sull'ordine, il popolo giapponese rinunzia per sempre alla guerra quale diritto sovrano della nazione ed alla minaccia o all'uso della forza quale mezzo per risolvere le controversie internazionali. Per conseguire l'obiettivo proclamato nel comma precedente, non saranno mantenute forze di terra, di mare e di aria e neppure altri potenziali bellici. Il diritto di belligeranza dello stato non sarà riconosciuto”.
Questo è l'articolo 9 della costituzione giapponese, considerato da molti sudditi dell'impero come la pietra fondamentale dell'etica nazionale formatasi dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale.
Questo stesso articolo 9 rischia di non avere più la stessa valenza morale dopo che il governo liberaldemocratico di Shinzo Abe ha iniziato il processo di riforma costituzionale già da tempo annunciato.
E per evitare ogni fraintendimento sulle reali intenzioni del discusso premier spianando la strada a successive revisioni in programma, la prima modifica riguarderà l'articolo ritenuto più intoccabile di tutti. La mossa è chiara: una volta tolta la barricata principale, tutto sarà fattibile e passibile di cambiamento senza grandi obiezioni. Il trambusto politico e sociale creato dalla decisione di Shinzo Abe è, comprensibilmente, elevato.
Voluto dagli Stati Uniti al termine della Seconda Guerra Mondiale per evitare un rigurgito nazionalista e militare dell'impero nipponico e legare indissolubilmente Tokyo alla linea politica di Washington, l'articolo ha due funzioni principali. La prima è impedire al Giappone di dotarsi di forze armate offensive, in grado, cioè, di intervenire in contesti che esulino dalla difesa nazionale. La seconda, considerata più limitante e, in certo qual modo, rassicurante per le nazioni che nel passato hanno subito la colonizzazione giapponese, obbliga l'impero a non inviare forze militari al di fuori dei propri confini territoriali.
In realtà il potenziale bellico di Tokyo è già tra i più potenti al mondo, se non per quantità, sicuramente per qualità. Le Forze di Autodifesa sono tecnicamente, in tutto e per tutto, vere e proprie forze armate, capaci di colpire qualsiasi nazione limitrofa oltre i confini marittimi giapponesi. Legalmente, però, sono estensione delle forze nazionali di polizia e questo limita di molto la capacità di offesa.

Ship JS Hyuga (DDH-181) - US Navy Photo

Il dibattito sulla necessità di seguire alla lettera il secondo comma dell'articolo 9 e, quindi, di vietare al Giappone il mantenimento di queste Forze di Autodifesa, è stato una controversia che ha impegnato a lungo la sinistra dell'arcipelago sin dagli anni Cinquanta. Da una parte Partito Comunista e Partito Socialista erano schierati su posizioni radicali, chiedendo alla nazione di non mantenere alcun tipo di forza militare, anche solo difensiva. Dall'altra i partiti di centro e della destra nazionalista sbandieravano la vicinanza del pericolo comunista rappresentato dalla Cina, dalla Corea del Nord e dall'URSS (Paese, quest'ultimo con cui il Giappone è ancora formalmente in guerra), dichiarando la necessità di possedere un esercito in grado quantomeno di contrastare un eventuale attacco proveniente da questi Paesi. Possedere un deterrente militare avrebbe, inoltre, garantito una difesa anche all'interno dello stato contro un'eventuale vittoria della Sinistra alle elezioni nazionali evitando di consegnare il baluardo giapponese ai comunisti sovietici o cinesi.
Attorno della fazione militarista gravitava una miriade di gruppuscoli nostalgici dell'impero e movimenti nazionalisti guidati da leader istrionici e fortemente influenti a livello popolare, come Shintaro Ishihara, scrittore di successo ed ex governatore di Tokyo o Akio Morita, presidente della Sony il cui libro, Japan Can Refuse, dopo essere stato un bestseller negli anni Novanta, ancora oggi è la Bibbia di molti giapponesi (non solo di centro e di destra) che rifiutano la sottomissione psicologica e morale agli Stati Uniti.
Secondo Ishihara e Morita un Giappone forte militarmente avrebbe la fermezza, il coraggio e la potenza di sganciarsi dall'orbita ingombrante degli Stati Uniti, garantendo alla nazione un posto autonomo e di prestigio nella scena internazionale.
Negli anni Ottanta il fronte di opposizione alla legalizzazione delle Forze di Autodifesa si spaccò per il cambio di orientamento del Partito Socialista, che approvò la legalizzazione delle Forze di Autodifesa e chiudendo definitivamente un dibattito che si prolungava da quarant'anni.
Un altro momento topico che permise di gettare le basi al cambiamento dell'Articolo 9 è stata la partecipazione giapponese alla missione di pace delle Nazioni Unite in Cambogia (UNTAC, United Nations Transitional Authority in Cambodia) permettendo, per la prima volta dal 1945, ai militari nipponici di andare in missione all'estero. Il dibattito sull'opportunità o meno di contribuire a questa operazione internazionale fu lungo e, a tratti, violento. I partiti favorevoli garantivano la supervisione delle Nazioni Unite sul contingente, che era peraltro disarmato, mentre i contrari richiamavano alla possibilità che quella potesse rappresentare un'altra breccia alla revisione dell'Articolo 9. In pochi anni le missioni dell'ONU a cui di aggregarono militari giapponesi si moltiplicarono: nel 1993 in Mozambico, nel 1994 in Zaire, nel 1996 nelle Alture del Golan e poi ancora a Timor Est, Iraq, Afghanistan, Sud Sudan, Nepal.
Con tutti questi squarci compiuti già all'indomani della redazione della costituzione, i baluardi attorno all'Articolo 9 non potevano resistere a lungo.
L'attacco finale, che ha portato alla proposta di revisione attuale, è iniziato nel 2007, sotto la conduzione di Shinzo Abe, il quale ha poi dovuto abbandonare (temporaneamente) la battaglia per la caduta del suo governo.
La preoccupazione maggiore nell'idea di rivisitazione costituzionale è che il Giappone potrà partecipare alle missioni militari internazionali quando la sicurezza del Paese lo richieda. Il grosso problema che ci si pone sempre in questi casi è dove porre i limiti della sicurezza nazionale. Il dubbio è legittimo se si pensa che, proprio in questi anni, cresce sempre più la contesa internazionale degli arcipelaghi nel Mar Cinese, dove un nugolo di nazioni (Giappone, Taiwan, Cina, Vietnam, Filippine, Malesia, Indonesia, Brunei) continuano a recriminare scogli e isolotti occupati da altri.
E' comunque vero che il Giappone non ha mai abbracciato il pacifismo: il budget della difesa è continuato a crescere sino a diventare, attualmente il sesto al mondo con 60 miliardi di dollari all'anno. Le Forze di Autodifesa hanno a disposizione aerei F-15, F-2, F-4 prodotti da case locali come la Mitsubishi, e hanno in ordine settanta F-35; la marina, simbolo della potenza militare giapponese durante il periodo colonialista, conta su sommergibili tecnologicamente avanzati e due portaelicotteri. Nel 2010 l'allora governo guidato dal Partito Democratico (oppositore del PLD di Abe), ha approvato l'ampliamento della flotta sommergibilistica giapponese.

F-15 (Japanese Air Self Defence Forces photo)

Da parte sua Shinzo Abe ha recentemente anche raddoppiato gli aiuti militari al Vietnam alle Filippine in funzione anticinese.
Se gli Stati Uniti nel 1947 avevano sponsorizzato l'Articolo 9 all'interno della costituzione giapponese, oggi sono ancora loro ad intervenire, seppur indirettamente, affinché questo stesso articolo venga cambiato. Da anni, infatti, il Pentagono sta chiedendo a Tokyo un maggior coinvolgimento all'interno dello scacchiere dell'Asia Orientale per contrastare la sempre più ingombrante potenza cinese.
La Corea del Nord con la sperimentazione di testate nucleari ha dato all'alleanza nippo-americana la scusa di dotarsi di un sofisticato sistema di intercettazione missilistica Aegis per abbattere missili balistici, scatenando l'ira di Pechino che ha sempre contestato il TMD (Theater Missile Defence) perché (in effetti) utilizzato in funzione anticinese più che anticoreana.
Cina, Corea del Nord e del Sud e Taiwan temono il riarmo giapponese perché nella nazione non vie è mai stato, anche a livello sociale, un sincero pentimento per ciò che è stato fatto nei primi quattro decenni del XX secolo. La società giapponese non ha mai mostrato segni reali di pentimento per il passato ed ultimamente le manifestazioni nazionalistiche si sono moltiplicate. Durante alcune di queste si sono viste sventolare bandiere nazionalsocialiste, segno evidente che il sentimento xenofobo e sciovinista sta aumentando in modo preoccupante tra la popolazione.
Una grande responsabilità di questo revanscismo viene addossata al Partito Liberal Democratico che ha governato quasi ininterrottamente dal dopoguerra ad oggi. Tutti i suoi primi ministri hanno regolarmente visitato ogni anno il santuario di Yasukuni omaggiando i morti nelle battaglie combattute per l'armata imperiale giapponese. Nulla di male, se non fosse per 1.068 criminali di guerra, di cui 14 di classe A, la cui venerazione genera malcontento nelle diplomazie dei paesi in cui questi soldati hanno commesso i loro crimini.
La rivisitazione dell’articolo 9 terrorizza anche per il senso di legittimazione che viene dato proprio da queste visite ufficiali, a questi movimenti nostalgici. E da qui a richiedere un riarmo anche nucleare del Giappone, il passo è breve. Sono già diversi i politici che hanno espresso opinioni favorevoli in questo senso, suscitando le comprensibili reazioni di Cina, Corea del Sud, Corea del Nord e Taiwan, i Paesi che, storicamente, si sentono più minacciati da un rigurgito nazionalista del Sol Levante.

Copyright ©Piergiorgio Pescali

Nessun commento: