Il recente
incontro tra i leaders delle comunità greco e turco cipriota, Nicos
Anastasiades e Dervis Eroglu, non ha solo riproposto il problema della divisione
di Cipro, tema particolarmente delicato all’interno dell’Unione Europea, ma ha
presentato all’intera comunità internazionale la realtà di un mondo ben più frazionato e diviso politicamente di
quanto si sia portati a pensare.
La caduta
del Muro di Berlino, avvenuta nel 1989, fu festeggiata dal mondo Occidentale e
dall’Est Europeo come uno dei passi più importanti per la conquista della pace
nel mondo. Est ed Ovest, nazioni e popoli retti da sistemi politici ed economici
antagonisti si ritrovarono improvvisamente accomunati in un’unica terra che
correva da Lisbona a Mosca. La Cortina di Ferro, quella striscia fatta di fili
spinati, torrette di avvistamento, fossati, steccati, muri di cemento era stata
finalmente abbattuta ponendo fine all’eredità della Seconda Guerra Mondiale.
O, almeno,
questo era quello che quasi la totalità dei media affermavano.
Ci volle,
però, poco per accorgersi che la divisione tra capitalismo e socialismo, era
solo una delle tante sezioni in cui era spezzettato il mondo; la punta di un
iceberg ben più massiccio e duro da sciogliere.
Nel corso
dei cinque decenni che trascorsero tra la caduta del Terzo Reich e la pacifica
invasione di Berlino Ovest da parte dei berlinesi dell’Est, altre barriere
furono costruite tra l’indifferenza di gran parte dell’opinione pubblica e
della classe politica internazionale ed altre ancora ne sono state erette
subito dopo.
Così, se all’atto della caduta del Muro di Berlino, nel mondo esistevano
una quindicina di sbarramenti fisici, oggi ve ne sono più del triplo ed altri
se ne stanno costruendo.
All’ultimo retaggio della Guerra Fredda ancora oggi esistente, il muro
che divide le due Coree, se ne sono aggiunti altri, sicuramente più
paradossali. Come definire, altrimenti, gli
sbarramenti esistenti all’interno della Comunità Europea che impediscono ai
suoi cittadini la libera circolazione nei loro stessi stati o addirittura nelle
loro stesse città? La Linea Verde di Cipro e il Muro della Pace di Belfast
sono i più celebrati dai media, ma ne esiste uno anche tra Spagna e Gibilterra.
E’ interessante notare che l’erezione di questi nuovi divisori sta
seguendo la traslazione del fulcro economico mondiale dall’Europa all’Asia, E’
in questo continente che, attualmente, si concentrano la maggioranza delle
barriere fisiche. Ai muri tra India e Pakistan, Uzbekistan, Kirghizistan e
Kazakhstan, Arabia Saudita e Iraq, a breve si aggiungeranno nuove palizzate che
divideranno il Pakistan dall’Iran e dall’Afghanistan, mentre la Russia ha in
progetto la costruzione di un muro con la Cecenia per fronteggiare l’impeto
indipendentista e jihadista.
La guerra civile siriana ha visto nascere numerose palizzate che
dividono città in piccole zone religiose. E’ il caso del muro che separa i
quartieri di Bab Amr e al-Insha’at ad Homs.
Molti muri sono stati oggetto di
reportage e di cronache da parte dei media o di proteste dei movimenti
d'opinione (ad esempio il muro tra Israele e Palestina), altri, invece, sono
passati inosservati. Come il cosiddetto Muro dei Rohingya che il Myanmar sta
costruendo al confine con il Bangladesh per impedire ai musulmani Rohingya di
"invadere" il paese e preservare lo spirito buddista o, per lo stesso
motivo religioso, il progetto della costruzione di un muro che dividerà la
Malesia musulmana dalla Tailandia buddista.
Più tristemente famosa è la
barriera fatta di sassi, sabbia, reti metalliche costruita dal Marocco lungo i
2.700 chilometri di frontiera tra il Sahara Occidentale e gli stati della
Mauritania ed Algeria per fronteggiare eventuali attacchi Sahawari. Dal 1975
l’esercito di Rabat occupa l’intero territorio (266.000 kmq) nonostante le
Nazioni Unite continuino ad insistere affinché ai 500.000 abitanti venga
concesso il diritto di scegliere quale possa essere il loro destino.
Col tempo, le recinzioni hanno cambiato anche la loro funzione. Se, fino
alla fine del XX secolo, la maggioranza di esse aveva un carattere prettamente
politico e antiterroristico, al passaggio del millennio si sono moltiplicati i
muri antimmigrazione.
I primi
sbarramenti costruiti a tale scopo sono stati piantati nel 1975 dal Sud Africa
al confine con il Mozambico. Nel 1998 è stata la Spagna a erigere le ormai note
palizzate che separano le enclavi di Ceuta e Melilla dal Marocco, mentre dal
2002 gli Stati Uniti continuano ad allungare la serie di sbarramenti al confine
con il Messico, che oggi hanno raggiunto la lunghezza complessiva di 560
chilometri.
Anche la
Cina, preoccupata per una sempre più massiccia immigrazione clandestina di
nordcoreani, dal 2006 ha in fase di costruzione sbarramenti con la Corea del
Nord. La maggiore facilità di movimento oggi esistente all’interno della
Repubblica Democratica di Corea ha intensificato l’afflusso di coreani verso le
regioni di confine creando non pochi problemi alle autorità di Pechino.
Il boom
economico dei piccoli paesi del Golfo Persico ha indotto Emirati Arabi ed Oman
a separare i loro confini per evitare la porosità degli stessi e impedire
l’osmosi di immigrati asiatici tra le due nazioni. Così è stato tra Arabia
Saudita e Yemen; Turkmenistan ed Uzbekistan; Brunei e Malesia; Botswana e
Zimbabwe; Israele ed Egitto, Grecia e Turchia.
Ma il
record assoluto spetta all’India, paese che, pur continuando a recitare il
ruolo di patria del pacifismo gandhiano, sta circondando l’intero Bangladesh di
una serie di sbarramenti formati da filo spinato e cemento che, una volta
ultimati, raggiungeranno la lunghezza di 3.200 chilometri ed isoleranno i 155
milioni di abitanti della nazione musulmana dal resto del continente.
Una terza tipologia di pareti divisorie tra stati sono quelle che vengono costruite ufficialmente a puro scopo di difesa da catastrofi naturali o per rallentare una desertificazione in atto.
Una terza tipologia di pareti divisorie tra stati sono quelle che vengono costruite ufficialmente a puro scopo di difesa da catastrofi naturali o per rallentare una desertificazione in atto.
Ne sono un esempio i muri costruiti
dall’Arabia Saudita al confine con l’Oman, gli Emirati Arabi, il Qatar e la
Giordania, o quello tra Zimbabwe e Zambia e Sud Africa e Zimbabwe. Israele sta
progettando di innalzare una palizzata lungo il confine meridionale con la
Giordania che, se realizzata, autoisolerebbe completamente lo stato di Tel Aviv
dalle nazioni confinanti.
Caratteristica comune di questi
nuovi steccati costruiti “per difese naturali”, è che sono tutti prolungamenti
di barriere già esistenti rendendo, di conseguenza, difficile separare
l’effettiva utilità preventiva nei confronti di cataclismi, da quelle
prettamente politiche o sociali.
I muri dovrebbero, nell’ottica di
chi li costruisce, garantire un senso di sicurezza alla comunità tenendo
lontani i pericoli (umani, naturali o di qualunque altro genere) contro cui
sono stati eretti. Forse, per un breve lasso di tempo, è così, ma a lungo
andare l’autoisolamento rende la comunità più debole e insicura perché un muro,
per qualunque motivo venga costruito, impedisce di vedere al di là del proprio
orticello.
Copyright ©Piergiorgio
Pescali
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