Aung San
Suu Kyi e’ stata liberata sabato 13 novembre. Una volta tanto il governo del
Myanmar ha mantenuto le sue promesse. Poco dopo il suo rilascio, ho avuto
l’opportunita’ di avvicinarla e farle qualche domanda preliminare in previsione
di effettuare un’ intervista piu’ approfondita in seguito. Subito dopo
l’incontro con la Premio Nobel per la Pace, l’epulsione notificatami dal
governo, perche” il visto turistico impedisce di effettuare attvita’
giornalistica, ha impedito che l’intervista possa avere luogo. Questa e’ la
breve conversazione avuta con Aung San Suu Kyi.
Finalmente
libera. Ci credeva o pensava che la Giunta ritirasse all’ultimo momento anche
questa promessa?
ASSK: Non
mi sono mai posta il problema. La giunta ed io abbiamo idee contrapposte sulla
democrazia ed ho sempre sostenuto che la mia liberta’ non dovesse essere un
pegno utilizzato dalla giunta per raggiungere compromessi.
Liberta’
significa anche azione, responsabilita’ e quindi essere oggetto di critiche.
Cosa fara’ come prima cosa?
ASSK:
Vorrei girare il Paese, incontrare gente, sentire I loro problem direttamente
da loro. Fare, insomma, quello che ho sempre fatto quando la Giunta me lo
permetteva.
In carcere
ci sono ancora piu’ di 2.000 prigionieri politici. La sua liberazione non
rischia di far dimenticare al mondo queste persone dai nomi meno noti del suo?
ASSK: Ha
ragione, la mia liberta’ non deve far dimenticare che questi difensori della
democrazia che, per le loro idee, sono ancora incarcerate e io mi battero’
affinche’ anche loro possano vedere aprirsi le spranghe delle celle.
La Lega
nazionale per la Democrazia non si e’ presentata alle elezioni e quindi non
avra’ nessun rappresentante al Parlamento. Come pensa di continuare la sua
lotta politica dall’esterno?
ASSK: Il
problema non e’ l’assenza dei nostri rappresentanti al Parlamento. Del resto la
nostra posizione e’ stata chiara fin dal principio: chi l’avesse voluto, poteva
candidarsi liberamente alle elezioni. Il problema pero’, e’ che le
consultazioni del 7 novembre, cosi’ come la Costituzione, si sono dimostrate un
colossale imbroglio. Parteciparvi significava accettare la Costituzione e
ingannare il popolo. Noi abbiamo scelto di stare dalla parte della democrazia e
della verita’.
L’incontro
termina qui, con la promessa di continuare piu’ estesamente la conversazione.
Purtroppo non sara’ piu’ possible, ma dalle poche parole scambiate, Aung San
Suu Kyi appare sempre piu’ determinata a continuare la sua attivita’ politica
che le e’ valsa la popolarita’ mondiale e un Premio Nobel per la Pace nel 1991.
Al tempo stesso, pero’, la leader del movimento democratico birmano e’ apparsa
invecchiata e logorata dal tempo. Anche le sue posizioni politiche, forse dopo
anni di attenta maturazione, stanno convergendo verso alternative meno rigide e
piu’ possibiliste verso un dialogo con gli oppositori, in particolare con il
generale Than Shwe. Cosa, questa, che molti suoi sostenitori non hanno
accettato completamente. Cosi’ come non hanno accettato la mano tesa gettata
dalla Lady verso la Cina, principale sostenitore del governo del Myanmar.
Secondo Suu Kyi, infatti, non vi sarebbe nessuna prova che Pechino stia
depredando le immense ricchezze naturali del Paese. Esattamente l’opposto di
quello che i governi europei, assieme a Stati Uniti e ai movimenti
pro-democrazia occidentali, vanno dicendo da sempre. In effetti l’Aung San Suu
Kyi che sabato scorso ha varcato il cancello del 54 di University Avenue, e’
una Aung San Suu Kyi piu’ diplomatica e meno impulsiva. Sa che per cambiare il
regime dei generali non serve il pugno di ferro, ma una tattica vincente, cosa
che le e’ sempre mancata. E la Cina, piu’ che Washington o l’Europa, potrebbe
fare a caso suo: Suu Kyi sa benissimo che Pechino, cosi’ come l’India, sta
trasformando il Myanmar in un immenso bacino per mantenere la sua economia, ma
l’alleanza con il colosso asiatico e’ fondamentale per mantenere aperto il
dialogo con la Giunta militare. Tanto piu’ che Than Shwe, il numero uno della
nazione, sembrerebbe sul punto di abbandonare la scena politica creandosi un
posto che gli permetta di ritirarsi onorevolmente senza per questo ricoprire
incarichi di potere. In questo caso la mediazione di Pechino sarebbe
indispensabile affinche’ il movimento democratico possa entrare a pieno diritto
nella nuova svolta politica del Myanmar. La Cina sara’ anche indispensabile
quando si dovranno affrontere i problemi delle minoranze etniche, che stanno
esplodendo con particolare violenza al confine con la Thailandia. Sara’ allora
che Aung San Suu Kyi, la quale ha gia’ lanciato la proposta di una conferenza
di riconciliazione, avra’ bisogno di tutto l’appoggio di quei Paesi che hanno
sempre sostenuto economicamente o politicamente il governo militare. Aung San Suu Kyi, a 65 anni, sembra abbia
davvero seguito la massima di Confucio secondo il quale “a 60 anni imparai
ad ascoltare con orecchio docile”. Saggezza asiatica.
Copyright ©Piergiorgio Pescali
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