Non dimenticare la storia


Als die Nazis die Kommunisten holten, habe ich geschwiegen;
ich war ja kein Kommunist.
Als sie die Sozialdemokraten einsperrten, habe ich geschwiegen;

ich war ja kein Sozialdemokrat.
Als sie die Gewerkschafter holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Gewerkschafter.
Als sie die Juden holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Jude.
Als sie mich holten,
gab es keinen mehr, der protestierte.


Quando i nazisti vennero per i comunisti, io restai in silenzio;
non ero comunista.
Quando rinchiusero i socialdemocratici, rimasi in silenzio;
non ero un socialdemocratico.
Quando vennero per i sindacalisti, io non feci sentire la mia voce;
non ero un sindacalista.
Quando vennero per gli ebrei, non protestai;
non ero un ebreo.
Quando vennero per me, non era più rimasto nessuno che potesse far sentire la mia voce.

(Emil Gustav Friedrich Martin Niemöller; Lippstadt, 14 gennaio 1892 – Wiesbaden, 6 marzo 1984)



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Myanmar: spiragli di democrazia? (dicembre 2010)


MYANMAR: SPIRAGLI DI DEMOCRAZIA?

di Piergiorgio Pescali



1 . Introduzione: un percorso lungo e tortuoso

Il biennio appena trascorso è stato per il Myanmar un periodo di transizione culminato, nel mese di novembre 2010, in due episodi politicamente significativi: le elezioni generali e la liberazione di Aung San Suu Kyi.

Le premesse di questi importanti eventi si erano delineate già alla metà del 2008 quando, un discusso referendum tenutosi poche settimane dopo il devastante ciclone Nargis, approvò la nuova costituzione birmana con un improbabile 93,82% di voti favorevoli [1]. Subito dopo, l’SPDC (State Peace and Development Council), l’acronimo dietro al quale si cela la giunta militare al potere in Myanmar, fissò per il 2010 le consultazioni, senza però indicare né mese né giorno. Sarebbero state le prime votazioni nazionali dopo quelle tenutesi il 27 maggio 1990, quando l’NLD (National League for Democracy), il partito di cui Aung San Suu Kyi è Segretario Generale, aveva sbaragliato tutti gli avversari conquistando 392 dei 492 seggi del Pyithu Hlutlaw (il parlamento del Myanmar) [2]. In seguito, la giunta militare birmana riuscì comunque a trovare lo stratagemma per mantenere il potere, affermando che i candidati eletti a maggio avrebbero avuto il solo compito di redigere la Costituzione, ossatura del futuro stato democratico [3]. Il rifiuto dell’NLD ad accettare il voltafaccia dei generali e le veementi proteste levatesi dal mondo occidentale, indussero i militari ad interrompere il processo di democratizzazione, continuando la violenta repressione di chi si opponeva alla loro politica.

Il boicottaggio economico, invocato dalla stessa dissidenza birmana ed attuato da Stati Uniti ed Unione Europea, contribuì a proiettare il Myanmar tra le braccia cinesi. Come ebbe a dire l’arcivescovo di Yangon, Mons. Charles Bo: «continuando a criticare la giunta, la comunità internazionale e gli Stati Uniti ottengono come unico risultato quello di spingere sempre più la nazione verso la Cina. Ecco quindi due chiavi che si potrebbero utilizzare per riportare il paese al dialogo: l’Occidente deve cercare di influenzare Pechino affinché questi induca i militari ad accettare i cambiamenti e gli Stati Uniti devono cessare di criticare violentemente il Myanmar imponendo un embargo che danneggia solo la popolazione » [4].

Come vedremo, sarà proprio Aung San Suu Kyi che, appena liberata, riprenderà queste tesi, spiazzando molti dei suoi stessi sostenitori.

2. Primi segnali di apertura

Dopo i due anni più critici della recente storia birmana (nel 2007 le manifestazioni dei monaci e nel 2008 il ciclone Nargis), il 2009 è stato caratterizzato da una serie di segnali e di contatti bilaterali tra governo birmano e statunitense; un indizio sul fatto che, all’interno della giunta, gli equilibri di potere sono, a tutt’oggi, in via di trasformazione.

Il 18 febbraio il Segretario di Stato Hillary Clinton, prendendo atto dell’inutilità dell’embargo nel mutare l’atteggiamento dei militari al potere in Myanmar, dichiarava la disponibilità da parte dell’amministrazione Obama di alleggerire le sanzioni [5]. Due giorni dopo il segnale di approvazione giungeva da Nay Pyi Taw: un’amnistia concedeva la libertà a 6.313 detenuti. A questo primo rilascio ne seguì un secondo in settembre, quando le celle birmane si aprirono per altri 7.144 carcerati. Della totalità di questi, però, solo 161 erano prigionieri politici; una minima parte dei 2.200 attivisti rinchiusi nelle carceri della nazione [6].

Veniva invece a complicarsi la situazione di Aung San Suu Kyi, che il 10 agosto fu giudicata colpevole di aver violato i termini degli arresti domiciliari a cui era soggetta dal 2003. Alla Lady si contestava l’ospitalità offerta a John Yettaw, uno squilibrato statunitense veterano del Vietnam, intrufolatosi illegalmente nella residenza il 3 maggio. I tre anni di lavori forzati sentenziati dalla corte, vennero commutati in diciotto mesi di arresti domiciliari dallo stesso Than Shwe [7]. Il cambio del verdetto fu sicuramente un espediente per impedire ad Aung San Suu Kyi di partecipare attivamente alle elezioni del 2010 senza gravare sulla sua cagionevole salute, ma anche un segnale di dialogo lanciato della giunta militare verso l’amministrazione Obama. Questa, difatti, si era mostrata più flessibile e aperta di quella Bush, ma era anche allarmata dalle notizie di un accordo tra il Myanmar e la Corea del nord per una collaborazione nucleare. Collaborazione, del resto, non ancora dimostrata, costringendo i principali accusatori a riferire solo di «attività sospette» nordcoreane in Myanmar [8].

3. Il programma nucleare del Myanmar

In realtà, le ambizioni nucleari del Myanmar affondavano le radici già nel 1955, quando l’allora governo civile  birmano di U Nu fondò la Union of Burma Atomic Energy Center [9]. Furono gli stessi militari nel 1962 con il generale Ne Win, ad arrestare il programma, ritenuto dispendioso e inutile, per poi riattivarlo nel 2001. Il basso livello di conoscenze tecnologiche degli ingegneri birmani, sommato ad una scarsa disponibilità finanziaria, renderebbe tutto il progetto molto aleatorio, tanto da far nascere seri dubbi sulla reale fattibilità.

Lo stesso rapporto di Robert E. Kelly, un ex ispettore della IAEA (International Atomic Energy Agency)  sulla base del quale si fondavano le tesi di una proliferazione nucleare birmano-nord coreana, affermava che la qualità delle parti meccaniche esaminate nelle foto e nei video trafugati da un tecnico militare, era molto basso: «Se qualcuno sta realmente programmando di costruire un’arma nucleare, un ordigno complesso fatto di componenti al alta precisione, allora la Birmania non è pronta» scriveva Kelley [10].

Inoltre, la principale fonte su cui si basava il rapporto era Sai Thein Win, un alto ufficiale dell’esercito birmano fuggito dal proprio paese, il quale non era un esperto nucleare, bensì un ingegnere meccanico [11]. Apparve infine molto improbabile che in soli tre anni le due nazioni abbiano potuto sviluppare programmi scientifici così sofisticati. Le relazioni diplomatiche tra Corea del nord e Myanmar, infatti, furono ristabilite nel 2007 dopo che nel 1983 un attentato organizzato da Pyongyang aveva decimato una delegazione ministeriale sud coreana in visita a Rangoon, inducendo il governo birmano a tranciare ogni rapporto con Kim Il Sung.

Occorre poi aggiungere che un Myanmar potenza nucleare sarebbe difficilmente accettato dai paesi limitrofi, dall’Asean e in particolare dalla stessa Cina, già impegnata ad imbrigliare le ambizioni atomiche della Corea del nord. Non è neppure pensabile che il possesso della tecnologia nucleare possa ridare ai generali birmani quella popolarità che hanno avuto, ai tempi, Mao Zedong o Indira Gandhi. Oltre a mancare il consenso ideologico, i 55 milioni di birmani non hanno uno spirito nazionalistico spiccato, come dimostrano i conflitti etnici che dilaniano la periferia della nazione sin dalla sia nascita e che, nella metà del 2009, sono sfociati nella guerra del Kokang, una regione al confine tra la Cina e lo stato Shan.

4. Le Guardie di Frontiera Armate e il conflitto del Kokang

Causa dello scatenarsi delle ostilità fu il nuovo assetto militare disegnato dalla costituzione del 2008, che prevedeva la trasformazione degli eserciti etnici in Guardie di Frontiera Armate (GFA) sotto l’autorità del comandante in capo del Tatmadaw, il generale Than Shwe [12]. Ogni battaglione di GFA sarebbe stato formato da 305 soldati e diciotto ufficiali sotto il comando di tre maggiori, due dei quali appartenenti al gruppo armato etnico. Tutto l’apparato militare avrebbe, infine, obbedito a generali birmani, eliminando di fatto l’autonomia che i singoli stati etnici si erano ritagliati con gli accordi di cessate il fuoco stipulati tra la fine degli anni Ottanta e la metà degli anni Novanta.

La richiesta, formulata nell’aprile 2009 ai diciassette gruppi etnici con cui esisteva uno stato di non belligeranza, di iniziare convertire le forze militari in Guardie di Frontiera Armate, trovò la ferma opposizione dei sei eserciti più forti: l’UWSA (United Wa State Army), il KIO (Kachin Independence Organization) e l’MNDAA (Myanmar National Democratic Alliance Army) lungo il confine cinese; il KNU (Karen National Union), l’NMSP (New Mon State Party), il KPC (Karen Peace Council) lungo il confine thailandese. Nel giro di poche settimane, circa duemila soldati dell’MNDAA ingaggiarono cruenti combattimenti con l’esercito birmano, costringendo trentamila profughi a varcare la frontiera sino-birmana per riversarsi nella provincia cinese dello Yunnan. La marea di fuggiaschi preoccupò a tal punto il governo centrale cinese, da indurlo ad istituire una speciale commissione per la risoluzione del conflitto destituendo, di fatto, il governo di Kunming dalla gestione dei rapporti con le etnie di frontiera. La Cina, come tutti gli stati confinanti il Myanmar, paventava che una recrudescenza delle istanze autonomiste avrebbe contagiato anche le minoranze culturali e linguistiche dello Yunnan; dopo il Tibet e lo Xinjiang, Pechino non aveva certo bisogno di aprire altri fronti autonomisti.

Inoltre, a seguito della sconfitta subita dall’MNDAA nell’agosto 2009, il KIO e l’UWSA, timorosi che il Tatmadaw potesse sferrare un’offensiva anche nelle aree da loro amministrate, allertarono le truppe, forti rispettivamente di diecimila e ventimila uomini e consigliarono le famiglie dei funzionari del governo centrale di stanza entro i loro confini etnici, di abbandonare le regioni.

Sotto gli auspici del governo cinese, i Wa ed i Kachin accettarono di tornare al tavolo delle trattative, allentando la tensione, ma la lezione del Kokang indusse Pechino a intervenire direttamente e con più incisività nella politica etnica di Nay Pyi Taw.

5. Gli interessi economici cinesi e indiani in Myanmar

Il Myanmar è, infatti, troppo importante dal punto di vista economico perché la Cina possa abbandonarlo. La sua posizione geografica ne fa un baluardo naturale e militare contro l’India, l’altra grande potenza asiatica che contende all’economia cinese lo sfruttamento delle immense risorse naturali birmane. La competizione tra i due giganti asiatici è infuocata e la giunta birmana deve continuamente mediare per non scontentare l’uno o l’altro paese. Se la Cina fa la parte del leone per quanto riguarda gli investimenti in Myanmar, l’India è indispensabile al regime per mantenere i legami con le potenze occidentali.

A differenza dei suoi predecessori, Than Shwe ha una spiccata simpatia per Nuova Delhi, ma la potente lobby filocinese all’interno dell’SPDC è sempre riuscita a far spostare l’ago della bilancia verso Pechino [13]. La necessità di mantenere una politica equilibrata, ha portato Than Shwe, notoriamente refrattario ai viaggi all’estero, a visitare l’India tra il 25 e il 29 luglio 2010 e poi la Cina tra il 7 e l’11 settembre successivo. Con Nuova Delhi la delegazione birmana ha concluso accordi in campo culturale, archeologico e scientifico, mentre dal punto di vista economico il Myanmar è riuscito ad ottenere un prestito di 60 milioni di dollari per la costruzione di una linea ferroviaria, di altri 10 milioni di dollari per l’acquisto di attrezzature agricole e un aumento degli investimenti pari a 6,3 miliardi di dollari [14].

Ben poca cosa di fronte agli 8,17 miliardi di dollari investiti dalle compagnie cinesi nei soli primi sei mesi dell’anno fiscale 2010 (aprile-agosto) [15]. In questa cifra, che equivale alla metà dell’intero ammontare degli investimenti cinesi effettuati in Myanmar negli ultimi vent’anni, non sono inclusi i capitali spesi nelle aree di confine, dove il governo centrale ha uno scarso controllo. La quasi totalità degli interessi cinesi nel paese sono concentrati nel campo energetico: le cinque compagnie elettriche statali cinesi hanno investito 5,03 miliardi di dollari per la costruzione di due centrali idroelettriche, mentre la China National Petroleum Corporation sta realizzando un oleodotto e un gasdotto per 2,15 miliardi di dollari che collegheranno il porto di Kyaukphyu, nello stato Rakhine, a Kunming, abbreviando il tempo di trasferimento di petrolio e gas naturale proveniente da Medio Oriente ed Africa evitando al contempo l’attraversamento dello stretto di Malacca, infestato dai pirati. Le linee saranno pronte entro il 2012 e trasporteranno l’85% dell’energia importata da Pechino per alimentare il proprio sistema produttivo.

5. Le sanzioni economiche

Cina e India non sono le sole economie che traggono profitto dal Myanmar. La Thailandia importa da sola il 46,9% delle esportazioni birmane e il fabbisogno energetico dei thailandesi dipende per il 25% dal gas della nazione confinante, mentre la minuscola Singapore è il terzo partner commerciale [16]. Facile, quindi, ipotizzare che sono numerose le aziende europee e statunitensi che si avvalgono di paesi terzi (come, appunto, Singapore) per fare affari con  i generali, nonostante la Comunità Europea abbia rinnovato il boicottaggio il 26 aprile 2010 e gli Stati Uniti mantengano ancora attivo il Burmese Freedom and Democracy Act del 2003 [17] [18].

La francese Total e la statunitense Chevron, entrambe impegnate nello sfruttamento di gas naturale nel giacimento off shore di Yadana, sono le aziende più pesantemente coinvolte in Myanmar e per questo anche le più criticate dalle associazioni che appoggiano il boicottaggio. Nel settembre 2009 ha fatto scalpore il rapporto dell’ONG thailandese Earth Rights International, che rimproverava alle due multinazionali di aver portato nelle tasche dei generali 4,83 miliardi di dollari [19]. Più pesantemente, l’associazione giungeva ad accusare la Total e la Chevron di essere implicate nella violazione dei diritti umani contribuendo persino ad assassini, torture e violenze sessuali compiute dall’esercito birmano [20]. Jean François Lassalle, portavoce della Total, rimandò le accuse (peraltro non nuove) al mittente dicendo che «la francese Total ha avviato numerosi progetti sanitari e educativi parallelamente all’estrazione del gas naturale ed il nostro Collaborative Learning Project, criticato dalla ERI nel suo rapporto, è riconosciuto a livello mondiale come uno dei programmi etici più avanzati» [21].

Vero è che un paese vergine e poco sfruttato come il Myanmar, rappresenta una manna per i mercati europei e americani, spossati da una crisi economica incalzante. L’embargo imposto alla nazione, ha permesso alla sua economia di non risentire del crollo mondiale. Nonostante il ciclone Nargis sia costato più di due punti percentuali, il PIL nel 2009 è aumentato dell’1,8%, mentre per il 2010 e il 2011 si prevede un balzo compreso tra il 3 e il 5% [22] [23].

6. Verso le elezioni: la costituzione contestata

Queste proiezioni godono anche del conforto delle recenti elezioni e, ancor più, del rilascio di Aung San Suu Kyi preceduto, nel febbraio 2010, da quello dell’ex generale Tin Oo, vice presidente dell’NLD.

Tin Oo ha giocato un ruolo importante nella decisione del partito democratico di non partecipare alle consultazioni nazionali. Teatro della discordia è stata principalmente la costituzione, la quale garantiva il 25% dei seggi di entrambe le camere (la Amyotha Hluttaw e la Pyithu Hluttaw) ai militari designati dal Consiglio nazionale di Difesa e Sicurezza [24]. Gli emendamenti sarebbero stati approvati con il voto favorevole dei tre quarti dell’assemblea, il che significava che i generali avrebbero continuato ad avere il controllo delle due camere parlamentari.

Particolarmente criticato era anche il capitolo dedicato ai requisiti richiesti al presidente del Myanmar, il quale avrebbe ricoperto anche la carica di capo del governo [25]. Alcuni di questi titoli erano contemplati anche nella costituzione democratica del 1947 (cittadinanza birmana, avere entrambe i genitori nati in Birmania, fedina penale pulita, non avere rapporti o appoggi da enti o governi stranieri), mentre altri, in particolare il risiedere nella nazione da almeno da vent’anni, non essere sposato con stranieri e non avere figli stranieri, erano caratteristiche introdotte ex novo [26]. Contrariamente a quanto affermato e scritto da numerosi commentatori e media, Aung San Suu Kyi sarebbe esclusa dalla carica non in quanto sposata con il tibetologo inglese Michael Aris (morto nel 1999), ma perché ha due figli con passaporto britannico.

Alla fine di marzo 2010, al termine di un acceso dibattito interno, il Comitato Centrale dell’NLD decideva di non partecipare alle elezioni [27]. Il successivo 7 maggio, ultimo giorno utile per presentare l’iscrizione alle liste elettorali, un gruppo di membri dell’NLD, tra cui Than Nyein e Khin Maung Swe risolveva di formare un nuovo partito, l’NDF (National Democratic Force) per prendere parte alle consultazioni. L’NLD, assieme ad un’altra decina di partiti, veniva sciolto ufficialmente dalla Commissione Elettorale il 14 settembre [28].

Il 1° ottobre il governo informava la stampa estera che nessun giornalista non accreditato sarebbe potuto entrare nel paese per seguire le elezioni: «Dato che abbiamo molta esperienza nelle elezioni, non abbiamo bisogno di esperti in materia» rendeva noto, neppure ironicamente, Thein Soe, presidente della Commissione Elettorale [29]. Qualche settimana prima era stata annullata la procedura, introdotta solo in maggio, per l’ottenimento del visto direttamente all’arrivo in aeroporto. Le porte del paese si stavano chiudendo per evitare che occhi indiscreti potessero far trapelare notizie «non controllate». Secondo il rapporto annuale di Reporter Sans Frontieres, il Myanmar sarebbe al 174° posto su 178 nella lista della libertà di stampa [30].

  L’ultima tappa verso le elezioni fu l’adozione della bandiera e dello stemma nazionale, secondo quando riportato dalla costituzione [31]. La nuova bandiera riprendeva le bande e i colori del primo stato birmano indipendente, proclamato il 1° ottobre 1943 sotto la sfera d’influenza giapponese. Ba Maw ne era il presidente, mentre Aung San, padre di Aung San Suu Kyi, era ministro della Difesa [32]. Il giorno stesso dell’indipendenza, il direttivo birmano dichiarò guerra alla Gran Bretagna e agli Stati Uniti [33].

7. Le elezioni del 7 novembre 2010

Il 7 novembre, 27 milioni di birmani vennero chiamati a dare il loro voto su una rosa di 37 partiti, la maggior parte dei quali simpatetici al regime militare. Numerose associazioni indipendenti accusarono brogli e intimidazioni. L’assenza dell’NLD dalla scheda elettorale, giocò un ruolo decisivo per molti elettori, i quali decisero di boicottare le urne. Secondo dati non ufficiali, il 73,8% degli aventi diritto avrebbe votato, ma la percentuale varierebbe da stato a stato per via del disinteresse mostrato dalle minoranze etniche verso la politica di Nay Pyi Taw e della difficoltà, in alcune regioni, nel raggiungere i seggi elettorali. Dei 37 partiti, 15 non hanno ottenuto alcun seggio, mentre 17 dei 24 movimenti etnici sono riusciti a far eleggere almeno un loro rappresentante. I risultati, resi noti il 17 novembre, non hanno serbato sorprese: l’USDP (Union Solidarity and Development Party), ha conquistato la maggioranza assoluta in entrambe le camere; sarà quindi questo partito, il cui leader è il primo ministro uscente Thein Sein, che dominerà la vita politica birmana nei prossimi anni [Tab. A e Tab B]. I seggi occupati dall’USDP, sommati a quelli che spettano di diritto ai militari, permetteranno al partito della giunta di eleggere il futuro presidente birmano senza cercare alcun appoggio esterno. Ma l’USDP, lungi dall’essere un partito monolitico, annovera tra i suoi membri anche uomini d’affari, commercianti, arrivisti politici, amministratori opportunisti; gente, insomma, che non ha una precisa idea politica e che antepone i propri interessi alla fedeltà ideologica. Il maggiore partito d’opposizione, l’NDF, sarà presente con quattro seggi nella Amyotha Hluttaw (la Camera Alta, equivalente grosso modo al nostro Senato) e con 12 nella Pyithu Hluttaw (la Camera Bassa, equivalente alla nostra Camera dei Deputati).

Le elezioni di novembre, pur caratterizzate da una gestione monopolistica del potere, hanno comunque segnato un passo avanti verso la via per la «democrazia disciplinata» lanciata dal generale Khin Nyunt nel 2003 [34]. La soglia del 25% di seggi assegnata di diritto ai militari, secondo alcuni osservatori, potrebbe essere il primo passo verso una transizione democratica indolore (il 25% è sempre meglio che il 100% attuale). Dopotutto il Tatmadaw è l’unica organizzazione in Myanmar in grado di mantenere unito il paese. Neppure l’NLD e la figura di Aung San Suu Kyi hanno una struttura così ramificata e organizzata quanto quella del Tatmadaw, senza contare che il movimento democratico birmano al di fuori dei confini etnici bamar non ha un sostegno significativo [35]. Il ritiro improvviso delle forze armate dalla vita pubblica e politica, rischierebbe di far piombare la nazione in una guerra civile ancor più sanguinosa di quella attuale, destabilizzando l’intera regione del Sudest asiatico. Anche Aung San Suu Kyi ha ammesso che la transizione è d’obbligo e in più occasioni ha ripetuto che i militari dovranno continuare ad avere un ruolo importante nel futuro della politica nazionale [36] [37]. Gli stessi rappresentanti delle nazioni che più criticano il regime di Than Shwe e la mancanza di una democrazia nel paese, in privato mostrano una visione assai differente della realtà: «I birmani non sono ancora pronti a gestire il Paese con la democrazia; il rischio è che la Birmania cada in uno stato di caos incontrollato simile a quello che ha portato alla dissoluzione della Yugoslavia e nessuno, neppure il mio governo, accetterebbe questa destabilizzazione» [38].

Infine c’è l’incognita del futuro dell’SPDC: c’è una nuova generazione di militari pronta a rimpiazzare Than Shwe e Maung Aye, rispettivamente numero uno e due della giunta, i quali si dimetteranno presto a causa della loro età. Tutte e due sanno che in Myanmar non è mai accaduto che vi fosse un trasferimento di poteri pacifico (Ne Win e Khin Nyunt, loro predecessori, sono stati posti agli arresti domiciliari quando erano al vertice). La loro preoccupazione, quindi, è trovare il modo di mettersi da parte volontariamente, preservando gli interessi economici e politici delle loro famiglie ritagliandosi un posto onorifico e di poco impegno. Occorrerà vedere chi, dopo loro, prenderà il potere ed in che modo lo gestirà.

Sarà anche questa la grande scommessa dell’NLD e di Aung San Suu Kyi, che il 13 novembre, una settimana dopo le elezioni, venne rilasciata dagli arresti domiciliari a cui era confinata dal 2003.

8. La liberazione di Aung San Suu Kyi

La liberazione è stata salutata, a ragione, con soddisfazione da governi e organizzazioni di tutto il mondo, ma sin  dalle sue prime battute, la Lady ha mostrato un cambiamento della sua politica.

Sembra che i lunghi anni di segregazione le abbiamo insegnato che per cambiare il regime dei generali non serve il pugno di ferro, ma una tattica vincente, una prerogativa indispensabile per ogni politico, ma che a lei è sempre mancata. Sono sempre più, all’interno dell’NLD, coloro che si chiedono quali frutti abbia portato l’intransigenza mostrata sino ad oggi dal loro segretario generale. Troppe, infatti, sono le occasioni mancate, a partire dal fallimento dei colloqui con Khin Nyunt, nel 2003, considerato da molti, e a ragione, come l’unico militare in grado di cambiare le sorti della nazione. Pur continuando a rappresentare la maggioranza dell’elettorato birmano, l’NLD sta perdendo pezzi. Un primo gruppo è stato espulso dalla stessa Aung San Suu Kyi nel 1997, un secondo, più consistente, nel 2003 all’indomani della rottura dei negoziati con Khin Nyunt. Nell’ottobre 2008, cento membri dell’ala giovanile dell’NLD hanno lasciato il partito perché il nepotismo non lasciava loro spazio; infine, nel maggio 2010, la formazione dell’NDF.

Anche l’assoluzione data alla Cina riguardo al suo coinvolgimento nella gestione economica delle risorse del Myanmar, è apparsa a molti incomprensibile. La dichiarazione secondo cui «non vi è alcuna prova che la Cina stia depredando le ricchezze della Birmania» ha dell’incredibile, se non dell’eresia, per le centinaia di organizzazioni che in Occidente da anni si battono a fianco del Premio Nobel per la Pace e che hanno sempre sostenuto che Pechino, uno dei principali alleati di Nay Pyi Daw, sia complice di un bracconaggio economico ai danni del popolo birmano [39]. Ma Aung San Suu Kyi, pur essendo stata agli arresti domiciliari negli ultimi sette anni, non può non sapere che la più grande economia asiatica è pesantemente coinvolta nel depauperamento delle risorse naturali birmane. La Signora ha semplicemente capito che la chiave della svolta politica nel suo paese si trova proprio in Cina ed è con essa, più che con i governi occidentali, che dovrà trovare un modus vivendi.

9. I conflitti etnici chiave della democratizzazione

Lo stesso governo cinese ha tutto l’interesse affinché il processo di democratizzazione proceda.

La Cina è indispensabile affinché i gruppi minoritari abbiano un interlocutore valido e affidabile. Aung San Suu Kyi, in quanto bamar e figlia di Aung San, le cui gesta contro le minoranze non lo fanno certo ricordare come un eroe, non ha potere sulle periferie del paese. La Cina potrebbe fare da mediatore tra il governo centrale, i movimenti democratici e le spinte autonomiste delle minoranze etniche, rivalutando così la propria posizione internazionale agli occhi dei governi occidentali. A nulla, infatti, servirebbe una Conferenza di Panglong II come richiesto dalla leader dell’NLD [40]. La quasi totalità dei gruppi etnici ha già fatto sapere che, anche nel caso fosse indetta, non intendono parteciparvi.

I conflitti in Myanmar non sono diretti solo contro il governo centrale, ma sono multietnici e a volte addirittura tribali all’interno di una stessa componente culturale o linguistica come hanno dimostrato i violenti scontri avvenuti in novembre lungo il confine thailandese, quando un gruppo di Karen contrari alla trasformazione del DKBA (Democratic Karen Buddhist Army) in Guardie di Frontiera Armate, ha attaccato la cittadina di frontiera di Myawaddy, causando la fuga in Thailandia di 10.000 profughi.

La necessità di mantenere alto lo stato d’allarme e di procurarsi armi, cibo e logistica per le proprie popolazioni, sarebbe, secondo la maggior parte dei gruppi etnici, il motivo per cui la superficie di terreno destinata alla coltivazione d’oppio in Myanmar sia, tra il 2009 e il 2010, aumentata del 20%. Si calcola che il valore potenziale dell’oppio ricavato nel 2010, sia di 177 milioni di dollari, il 69% in più rispetto al 2009 [41]. A questo si deve aggiungere il guadagno, ben superiore, del commercio di meta-anfetamine, la cui facile preparazione chimica e smercio, sta soppiantando la coltivazione di papaveri.

Il perdurare dello stato di belligeranza, oltre a portare una pericolosa instabilità economica e politica in tutta la regione, comporta anche continue violazioni dei diritti umani tra cui quelli, particolarmente deplorevoli, dei bambini soldato, della violenza sulle donne e l’allontanamento forzato dai villaggi di appartenenza. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, sia il Tatmadaw che altri 15 gruppi militari etnici, recluterebbero bambini inquadrandoli nelle loro brigate, confermando che il problema è comune a tutte le fazioni in lotta [42].

10. Il 2011: quale futuro per il Myanmar?

Il 2011 continuerà ad essere un anno di transizione per il Myanmar. In febbraio, stante a quanto afferma la costituzione, l’SPDC dovrebbe cedere i poteri ad un governo civile (in realtà all’ala politica dei militari, dato che il vincitore delle elezioni è l’USDP) [43].

Il nuovo presidente avrà libertà d’azione o sarà una marionetta in mano al Tatmadaw?

Than Shwe e Maung Aye si ritireranno a vita privata lasciando che la nuova generazione di militari, alcuni dei quali più disposti al dialogo di quanto lo siano stati i loro predecessori, prendano il potere al loro posto?

Il dialogo appena iniziato con l’amministrazione Obama, si estenderà anche all’Unione Europea o tutto si concluderà con un nulla di fatto?

Infine occorrerà osservare se Aung San Suu Kyi avrà realmente la libertà di espressione e di movimento promessa dalla giunta all’atto della sua liberazione. In ogni caso, il Premio Nobel per la Pace dovrà cominciare a fare delle scelte in campo politico e sociale. E le scelte, si sa, portano sempre nuove responsabilità e, immancabilmente, critiche, alla quali Suu Kyi oltre a non essere abituata, non accetta neppure volentieri [44]. I compromessi ai quali dovrà cedere, coglieranno di sorpresa molti suoi sostenitori. Nelle poche settimane di libertà trascorse dal 13 novembre alla fine del 2010, ha già messo in discussione alcuni dei suoi punti fermi, tra cui le stesse sanzioni [45].

E’ con questa nuova Aung San Suu Kyi che la giunta militare e i governi occidentali dovranno confrontarsi.











Tab. A - Risultati e seggi alla Amyotha Hluttaw (Casa delle Nazionalità o Camera Alta)

Partito
% voti
Seggi
USDP (Union Solidarity and Development Party) (*)
76,79%
129
RNDP (Rakhine Nationalities Development Party)
4,17%
7
NUP (National Unity Party) (*)
2,98%
5
NDF (National Democratic Force)
2,38%
4
CPP (Chin Progressive Party)
2,38%
4
SNDP (Shan Nationalities Democratic Party)
1,78%
3
All Mon Region Democracy Party
1,78%
3
Phalon-Sawaw Democratic Party
1,78%
3
CNP (Chin National Party)
1,19%
2
WDP (Wa Democratic Party) (*)
0,60%
1
Altri partiti
4,17%
1
Militari

56



Totale

224

Fonte: Myanmar Union Election Commission, 17 November 2010

(*) Partiti vicini alla giunta militare













Tab. B - Risultati e seggi alla Pyithu Hluttaw (Casa dei Rappresentanti o Camera Bassa)

Partito
% voti
Seggi
USDP (Union Solidarity and Development Party) (*)
78,48%
259
SNDP (Shan Nationalities Democratic Party)
5,45%
18
NUP (National Unity Party) (*)
3,64%
12
NDF (National Democratic Force)
3,64%
12
RNDP (Rakhine Nationalities Development Party)
2,72%
9
All Mon Region Democracy Party
0,91%
3
Pa-O National Organization (*)
0,91%
3
CNP (Chin National Party)
0,61%
2
CPP (Chin Progressive Party)
0,61%
2
WDP (Wa Democratic Party) (*)
0,61%
2
Phalon-Sawaw Democratic Party
0,61%
2
Unity and Democracy Party of Kachin State (*)
0,30%
1
Kyain People Party (*)
0,30%
1
Inn Nationalities Development Party
0,30%
1
Taaung (Palaung) National Party (*)
0,30%
1
Altri
0,61%
2
Militari

110



Totale

440

Fonte: Myanmar Union Election Commission, 17 November 2010

(*) Partiti vicini alla giunta militare









NOTE

[1] Union of Myanmar – Commission for Holding the Referendum – Announcement No. 12/2008 – 26 May 2008

[2] Khin Kyaw Han - Democratic Voice of Burma 1990 Multi-Party Democracy General Elections

[3] SLORC Declaration No. 1/90 – 27 July 1990

[4] Intervista dell’autore a Mons. Charles Bo, Pathein, febbraio 2008

[5] Developing a Comprehensive Partnership With Indonesia. Remarks by Hillary Rodham Clinton With Indonesian Foreign Minister Noer Hassan Wirajuda, Jakarta, February 18, 2009

[6] Human Rights Watch - Country Summary – Burma, January 2010, p. 2

[7] Union of Myanmar - Office of the Chairman of the State Peace and Development Council. Letter No 04/NaYaKa (Oo)/La Nga Hka del 10 agosto 2009

 [8] Report to the Security Council from the Panel of Expert Estabilished Pursuant to Resolution 1874 (2009), p. 19

[9] Bulletin of the Atomic Scientists, Dec. 1956, p. 380

[10] Nuclear Activities in Burma, by Robert E. Kelley, Ali Fowle, Democratic Voice of Burma, May 25, 2010, p. 11

[11] Nuclear Activities in Burma, by Robert E. Kelley, Ali Fowle, Democratic Voice of Burma, May 25, 2010, pp. 8-9

[12] Constitution of the Republic of the Union of Myanmar (Official English Translation), Cap.VII § 338

[13] Joseph Allchin, Burmese generals “hate China”, says India, Democratic Voice of Burma, December 27, 2010

 [14] India Ministry of External Affair, Joint Statement during the visit of Chairman, State Peace and Development Council of Myanmar, July 27, 2010

[15] Thomas Kean e Kyaw Thu, New Chinese foreign investment commitments exceed $8 billion, The Myanmar Times, Aug. 16-22, 2010

[16] International Monetary Found, DoTS, 2010

[17] European Union – Council Decision 2010/232/CFSP of 26 April 2010 renewing restrictive measures against Burma/Myanmar

[18] Congress of United States of America, Burmese Freedom and Democracy Act of 2003

[19] Earth Rights International, Getting it Wrong: Flawed “Corporate Social Responsibility” and Misrepresentation Surrounding Total and Chevron’s Yadana Gas Pipeline in Military-Ruled Burma (Mynamar), September 2009, p. 36

[20] Earth Rights International, Getting it Wrong: Flawed “Corporate Social Responsibility” and Misrepresentation Surrounding Total and Chevron’s Yadana Gas Pipeline in Military-Ruled Burma (Mynamar), September 2009, p. 39

[21] Intervista dell’autore, 12 settembre 2009

[22] Asia Development Bank, Myanmar Fact Sheet as of 31 December 2009, p.2

[23] IMF, World Economic Outlook, Recovery, Risk and Rebalancing, October 2010 – Table A4 - Emerging and Developing Economics: Real GDP, p. 201

[24] Constitution of the Republic of the Union of Myanmar (Official English Translation), Cap.IV §§ 109 (b) e 141 (b)

[25] Constitution of the Republic of the Union of Myanmar (Official English Translation), Cap.I § 16

[26] Constitution of the Republic of the Union of Myanmar (Official English Translation), Cap.III §§ 59 (b-d-e-f)

[27] NLD, A Message to the People of Burma, April 6, 2010

[28] Union Election Commission, Notification No. 97/2010, September 14, 2010

[29] Union Election Commission Press Conference, Nay Pyi Taw, October 18, 2010

[30] Reporter Sans Frontieres, Classement mondial 2010

[31] Constitution of the Republic of the Union of Myanmar (Official English Translation), Cap. XIII §§ 437 (a) e 438 (a)

[32] Aung San Suu Kyi, Libera dalla paura, Sperling&Kupfer Editori, Milano, 1996 p. 20

[33] Justin Wintle, Perfect Hostage-A Life of Aung san Suu Kyi, Hutchinson, London, 2007 p.116

[34] Myanmar Information Committee, General Khin Nyunt’s Speech on Development and Progressive Changes in Myanmar, Sheet N° C-2746, 30 August 2003

[35] I bamar, chiamati anche birmani sono l’etnia maggioritaria del Myanmar, rappresentando il 68% della popolazione.

[36] John Simpson, Aung San Suu Kyi Aims For Peaceful Revolution, BBC, November 15, 2010

[37] AFP, Call for peaceful devolution, November 15, 2010

[38] Colloquio privato tra l’autore e l’ambasciatore di un paese occidentale che appoggia apertamente Aung San Suu Kyi, Yangon, 4 novembre 2010

[39] Intervista dell’autore, Yangon, 15 novembre 2010

[40] Conferenza stampa di Aung San Suu Kyi, Yangon, 14 Novembre 2010

[41] UNODC, South-East Asia Opium Survey 2010 – Lao PDR, Myanmar, December 2010

[42] UN Security Council, Report of the Segretary-General on children and armed conflict in Myanmar, 1 June 2009

[43] Constitution of the Republic of the Union of Myanmar (Official English Translation), Cap. IV § 123

[44] Justin Wintle, Perfect Hostage-A Life of Aung san Suu Kyi, Hutchinson, London, 2007 pp.216-217

[45] Intervista dell’autore, Yangon, 15 novembre 2010

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