MYANMAR:
SPIRAGLI DI DEMOCRAZIA?
di
Piergiorgio Pescali
1
. Introduzione: un percorso lungo e
tortuoso
Il
biennio appena trascorso è stato per il Myanmar un periodo di transizione culminato,
nel mese di novembre 2010, in due episodi politicamente significativi: le
elezioni generali e la liberazione di Aung San Suu Kyi.
Le
premesse di questi importanti eventi si erano delineate già alla metà del 2008
quando, un discusso referendum tenutosi poche settimane dopo il devastante
ciclone Nargis, approvò la nuova costituzione birmana con un improbabile 93,82%
di voti favorevoli [1]. Subito dopo, l’SPDC (State Peace and Development Council), l’acronimo dietro al quale si
cela la giunta militare al potere in Myanmar, fissò per il 2010 le
consultazioni, senza però indicare né mese né giorno. Sarebbero state le prime
votazioni nazionali dopo quelle tenutesi il 27 maggio 1990, quando l’NLD (National League for Democracy), il
partito di cui Aung San Suu Kyi è Segretario Generale, aveva sbaragliato tutti
gli avversari conquistando 392 dei 492 seggi del Pyithu Hlutlaw (il parlamento
del Myanmar) [2]. In seguito, la giunta militare birmana riuscì comunque a trovare
lo stratagemma per mantenere il potere, affermando che i candidati eletti a
maggio avrebbero avuto il solo compito di redigere la Costituzione, ossatura
del futuro stato democratico [3]. Il rifiuto dell’NLD ad accettare il voltafaccia
dei generali e le veementi proteste levatesi dal mondo occidentale, indussero i
militari ad interrompere il processo di democratizzazione, continuando la
violenta repressione di chi si opponeva alla loro politica.
Il
boicottaggio economico, invocato dalla stessa dissidenza birmana ed attuato da
Stati Uniti ed Unione Europea, contribuì a proiettare il Myanmar tra le braccia
cinesi. Come ebbe a dire l’arcivescovo di Yangon, Mons. Charles Bo: «continuando
a criticare la giunta, la comunità internazionale e gli Stati Uniti ottengono
come unico risultato quello di spingere sempre più la nazione verso la Cina. Ecco
quindi due chiavi che si potrebbero utilizzare per riportare il paese al
dialogo: l’Occidente deve cercare di influenzare Pechino affinché questi induca
i militari ad accettare i cambiamenti e gli Stati Uniti devono cessare di
criticare violentemente il Myanmar imponendo un embargo che danneggia solo la
popolazione » [4].
Come
vedremo, sarà proprio Aung San Suu Kyi che, appena liberata, riprenderà queste
tesi, spiazzando molti dei suoi stessi sostenitori.
2. Primi segnali di apertura
Dopo
i due anni più critici della recente storia birmana (nel 2007 le manifestazioni
dei monaci e nel 2008 il ciclone Nargis), il 2009 è stato caratterizzato da una
serie di segnali e di contatti bilaterali tra governo birmano e statunitense;
un indizio sul fatto che, all’interno della giunta, gli equilibri di potere sono,
a tutt’oggi, in via di trasformazione.
Il
18 febbraio il Segretario di Stato Hillary Clinton, prendendo atto
dell’inutilità dell’embargo nel mutare l’atteggiamento dei militari al potere
in Myanmar, dichiarava la disponibilità da parte dell’amministrazione Obama di
alleggerire le sanzioni [5]. Due giorni dopo il segnale di approvazione
giungeva da Nay Pyi Taw: un’amnistia concedeva la libertà a 6.313 detenuti. A
questo primo rilascio ne seguì un secondo in settembre, quando le celle birmane
si aprirono per altri 7.144 carcerati. Della totalità di questi, però, solo 161
erano prigionieri politici; una minima parte dei 2.200 attivisti rinchiusi
nelle carceri della nazione [6].
Veniva
invece a complicarsi la situazione di Aung San Suu Kyi, che il 10 agosto fu
giudicata colpevole di aver violato i termini degli arresti domiciliari a cui
era soggetta dal 2003. Alla Lady si contestava l’ospitalità offerta a John
Yettaw, uno squilibrato statunitense veterano del Vietnam, intrufolatosi
illegalmente nella residenza il 3 maggio. I tre anni di lavori forzati sentenziati
dalla corte, vennero commutati in diciotto mesi di arresti domiciliari dallo
stesso Than Shwe [7]. Il cambio del verdetto fu sicuramente un espediente per
impedire ad Aung San Suu Kyi di partecipare attivamente alle elezioni del 2010
senza gravare sulla sua cagionevole salute, ma anche un segnale di dialogo
lanciato della giunta militare verso l’amministrazione Obama. Questa, difatti,
si era mostrata più flessibile e aperta di quella Bush, ma era anche allarmata
dalle notizie di un accordo tra il Myanmar e la Corea del nord per una
collaborazione nucleare. Collaborazione, del resto, non ancora dimostrata, costringendo
i principali accusatori a riferire solo di «attività sospette» nordcoreane in
Myanmar [8].
3. Il programma nucleare del Myanmar
In
realtà, le ambizioni nucleari del Myanmar affondavano le radici già nel 1955,
quando l’allora governo civile birmano
di U Nu fondò la Union of Burma Atomic Energy Center [9]. Furono gli stessi militari
nel 1962 con il generale Ne Win, ad arrestare il programma, ritenuto dispendioso
e inutile, per poi riattivarlo nel 2001. Il basso livello di conoscenze
tecnologiche degli ingegneri birmani, sommato ad una scarsa disponibilità
finanziaria, renderebbe tutto il progetto molto aleatorio, tanto da far nascere
seri dubbi sulla reale fattibilità.
Lo
stesso rapporto di Robert E. Kelly, un ex ispettore della IAEA (International Atomic Energy Agency) sulla base del quale si fondavano le tesi di
una proliferazione nucleare birmano-nord coreana, affermava che la qualità
delle parti meccaniche esaminate nelle foto e nei video trafugati da un tecnico
militare, era molto basso: «Se qualcuno sta realmente programmando di costruire
un’arma nucleare, un ordigno complesso fatto di componenti al alta precisione,
allora la Birmania non è pronta» scriveva Kelley [10].
Inoltre,
la principale fonte su cui si basava il rapporto era Sai Thein Win, un alto
ufficiale dell’esercito birmano fuggito dal proprio paese, il quale non era un
esperto nucleare, bensì un ingegnere meccanico [11]. Apparve infine molto improbabile
che in soli tre anni le due nazioni abbiano potuto sviluppare programmi
scientifici così sofisticati. Le relazioni diplomatiche tra Corea del nord e Myanmar,
infatti, furono ristabilite nel 2007 dopo che nel 1983 un attentato organizzato
da Pyongyang aveva decimato una delegazione ministeriale sud coreana in visita
a Rangoon, inducendo il governo birmano a tranciare ogni rapporto con Kim Il
Sung.
Occorre
poi aggiungere che un Myanmar potenza nucleare sarebbe difficilmente accettato
dai paesi limitrofi, dall’Asean e in particolare dalla stessa Cina, già impegnata
ad imbrigliare le ambizioni atomiche della Corea del nord. Non è neppure
pensabile che il possesso della tecnologia nucleare possa ridare ai generali
birmani quella popolarità che hanno avuto, ai tempi, Mao Zedong o Indira
Gandhi. Oltre a mancare il consenso ideologico, i 55 milioni di birmani non
hanno uno spirito nazionalistico spiccato, come dimostrano i conflitti etnici
che dilaniano la periferia della nazione sin dalla sia nascita e che, nella
metà del 2009, sono sfociati nella guerra del Kokang, una regione al confine
tra la Cina e lo stato Shan.
4. Le Guardie di Frontiera Armate e il conflitto del Kokang
Causa
dello scatenarsi delle ostilità fu il nuovo assetto militare disegnato dalla
costituzione del 2008, che prevedeva la trasformazione degli eserciti etnici in
Guardie di Frontiera Armate (GFA) sotto l’autorità del comandante in capo del
Tatmadaw, il generale Than Shwe [12]. Ogni battaglione di GFA sarebbe stato
formato da 305 soldati e diciotto ufficiali sotto il comando di tre maggiori,
due dei quali appartenenti al gruppo armato etnico. Tutto l’apparato militare
avrebbe, infine, obbedito a generali birmani, eliminando di fatto l’autonomia
che i singoli stati etnici si erano ritagliati con gli accordi di cessate il
fuoco stipulati tra la fine degli anni Ottanta e la metà degli anni Novanta.
La
richiesta, formulata nell’aprile 2009 ai diciassette gruppi etnici con cui
esisteva uno stato di non belligeranza, di iniziare convertire le forze
militari in Guardie di Frontiera Armate, trovò la ferma opposizione dei sei
eserciti più forti: l’UWSA (United Wa
State Army), il KIO (Kachin
Independence Organization) e l’MNDAA (Myanmar
National Democratic Alliance Army)
lungo il confine cinese; il KNU (Karen
National Union), l’NMSP (New Mon
State Party), il KPC (Karen Peace
Council) lungo il confine thailandese. Nel giro di poche settimane, circa
duemila soldati dell’MNDAA ingaggiarono cruenti combattimenti con l’esercito
birmano, costringendo trentamila profughi a varcare la frontiera sino-birmana per
riversarsi nella provincia cinese dello Yunnan. La marea di fuggiaschi preoccupò
a tal punto il governo centrale cinese, da indurlo ad istituire una speciale
commissione per la risoluzione del conflitto destituendo, di fatto, il governo
di Kunming dalla gestione dei rapporti con le etnie di frontiera. La Cina, come
tutti gli stati confinanti il Myanmar, paventava che una recrudescenza delle
istanze autonomiste avrebbe contagiato anche le minoranze culturali e
linguistiche dello Yunnan; dopo il Tibet e lo Xinjiang, Pechino non aveva certo
bisogno di aprire altri fronti autonomisti.
Inoltre,
a seguito della sconfitta subita dall’MNDAA nell’agosto 2009, il KIO e l’UWSA,
timorosi che il Tatmadaw potesse sferrare un’offensiva anche nelle aree da loro
amministrate, allertarono le truppe, forti rispettivamente di diecimila e
ventimila uomini e consigliarono le famiglie dei funzionari del governo
centrale di stanza entro i loro confini etnici, di abbandonare le regioni.
Sotto
gli auspici del governo cinese, i Wa ed i Kachin accettarono di tornare al
tavolo delle trattative, allentando la tensione, ma la lezione del Kokang indusse
Pechino a intervenire direttamente e con più incisività nella politica etnica
di Nay Pyi Taw.
5. Gli interessi economici cinesi e indiani in Myanmar
Il
Myanmar è, infatti, troppo importante dal punto di vista economico perché la
Cina possa abbandonarlo. La sua posizione geografica ne fa un baluardo naturale
e militare contro l’India, l’altra grande potenza asiatica che contende
all’economia cinese lo sfruttamento delle immense risorse naturali birmane. La
competizione tra i due giganti asiatici è infuocata e la giunta birmana deve
continuamente mediare per non scontentare l’uno o l’altro paese. Se la Cina fa
la parte del leone per quanto riguarda gli investimenti in Myanmar, l’India è
indispensabile al regime per mantenere i legami con le potenze occidentali.
A
differenza dei suoi predecessori, Than Shwe ha una spiccata simpatia per Nuova
Delhi, ma la potente lobby filocinese all’interno dell’SPDC è sempre riuscita a
far spostare l’ago della bilancia verso Pechino [13]. La necessità di mantenere
una politica equilibrata, ha portato Than Shwe, notoriamente refrattario ai
viaggi all’estero, a visitare l’India tra il 25 e il 29 luglio 2010 e poi la
Cina tra il 7 e l’11 settembre successivo. Con Nuova Delhi la delegazione
birmana ha concluso accordi in campo culturale, archeologico e scientifico,
mentre dal punto di vista economico il Myanmar è riuscito ad ottenere un
prestito di 60 milioni di dollari per la costruzione di una linea ferroviaria,
di altri 10 milioni di dollari per l’acquisto di attrezzature agricole e un
aumento degli investimenti pari a 6,3 miliardi di dollari [14].
Ben
poca cosa di fronte agli 8,17 miliardi di dollari investiti dalle compagnie cinesi
nei soli primi sei mesi dell’anno fiscale 2010 (aprile-agosto) [15]. In questa
cifra, che equivale alla metà dell’intero ammontare degli investimenti cinesi
effettuati in Myanmar negli ultimi vent’anni, non sono inclusi i capitali spesi
nelle aree di confine, dove il governo centrale ha uno scarso controllo. La
quasi totalità degli interessi cinesi nel paese sono concentrati nel campo
energetico: le cinque compagnie elettriche statali cinesi hanno investito 5,03
miliardi di dollari per la costruzione di due centrali idroelettriche, mentre
la China National Petroleum Corporation sta realizzando un oleodotto e un
gasdotto per 2,15 miliardi di dollari che collegheranno il porto di Kyaukphyu,
nello stato Rakhine, a Kunming, abbreviando il tempo di trasferimento di
petrolio e gas naturale proveniente da Medio Oriente ed Africa evitando al
contempo l’attraversamento dello stretto di Malacca, infestato dai pirati. Le
linee saranno pronte entro il 2012 e trasporteranno l’85% dell’energia
importata da Pechino per alimentare il proprio sistema produttivo.
5. Le sanzioni economiche
Cina
e India non sono le sole economie che traggono profitto dal Myanmar. La
Thailandia importa da sola il 46,9% delle esportazioni birmane e il fabbisogno
energetico dei thailandesi dipende per il 25% dal gas della nazione confinante,
mentre la minuscola Singapore è il terzo partner commerciale [16]. Facile,
quindi, ipotizzare che sono numerose le aziende europee e statunitensi che si
avvalgono di paesi terzi (come, appunto, Singapore) per fare affari con i generali, nonostante la Comunità Europea
abbia rinnovato il boicottaggio il 26 aprile 2010 e gli Stati Uniti mantengano
ancora attivo il Burmese Freedom and Democracy Act del 2003 [17] [18].
La
francese Total e la statunitense Chevron, entrambe impegnate nello sfruttamento
di gas naturale nel giacimento off shore di Yadana, sono le aziende più
pesantemente coinvolte in Myanmar e per questo anche le più criticate dalle
associazioni che appoggiano il boicottaggio. Nel settembre 2009 ha fatto
scalpore il rapporto dell’ONG thailandese Earth Rights International, che rimproverava
alle due multinazionali di aver portato nelle tasche dei generali 4,83 miliardi
di dollari [19]. Più pesantemente, l’associazione giungeva ad accusare la Total
e la Chevron di essere implicate nella violazione dei diritti umani
contribuendo persino ad assassini, torture e violenze sessuali compiute
dall’esercito birmano [20]. Jean François Lassalle, portavoce della Total,
rimandò le accuse (peraltro non nuove) al mittente dicendo che «la francese
Total ha avviato numerosi progetti sanitari e educativi parallelamente all’estrazione
del gas naturale ed il nostro Collaborative Learning Project, criticato dalla
ERI nel suo rapporto, è riconosciuto a livello mondiale come uno dei programmi
etici più avanzati» [21].
Vero
è che un paese vergine e poco sfruttato come il Myanmar, rappresenta una manna
per i mercati europei e americani, spossati da una crisi economica incalzante.
L’embargo imposto alla nazione, ha permesso alla sua economia di non risentire
del crollo mondiale. Nonostante il ciclone Nargis sia costato più di due punti
percentuali, il PIL nel 2009 è aumentato dell’1,8%, mentre per il 2010 e il
2011 si prevede un balzo compreso tra il 3 e il 5% [22] [23].
6. Verso le elezioni: la costituzione contestata
Queste
proiezioni godono anche del conforto delle recenti elezioni e, ancor più, del
rilascio di Aung San Suu Kyi preceduto, nel febbraio 2010, da quello dell’ex
generale Tin Oo, vice presidente dell’NLD.
Tin
Oo ha giocato un ruolo importante nella decisione del partito democratico di
non partecipare alle consultazioni nazionali. Teatro della discordia è stata
principalmente la costituzione, la quale garantiva il 25% dei seggi di entrambe
le camere (la Amyotha Hluttaw e la Pyithu Hluttaw) ai militari designati dal
Consiglio nazionale di Difesa e Sicurezza [24]. Gli emendamenti sarebbero stati
approvati con il voto favorevole dei tre quarti dell’assemblea, il che
significava che i generali avrebbero continuato ad avere il controllo delle due
camere parlamentari.
Particolarmente
criticato era anche il capitolo dedicato ai requisiti richiesti al presidente
del Myanmar, il quale avrebbe ricoperto anche la carica di capo del governo [25].
Alcuni di questi titoli erano contemplati anche nella costituzione democratica
del 1947 (cittadinanza birmana, avere entrambe i genitori nati in Birmania,
fedina penale pulita, non avere rapporti o appoggi da enti o governi
stranieri), mentre altri, in particolare il risiedere nella nazione da almeno
da vent’anni, non essere sposato con stranieri e non avere figli stranieri,
erano caratteristiche introdotte ex novo [26]. Contrariamente a quanto
affermato e scritto da numerosi commentatori e media, Aung San Suu Kyi sarebbe
esclusa dalla carica non in quanto sposata con il tibetologo inglese Michael
Aris (morto nel 1999), ma perché ha due figli con passaporto britannico.
Alla
fine di marzo 2010, al termine di un acceso dibattito interno, il Comitato
Centrale dell’NLD decideva di non partecipare alle elezioni [27]. Il successivo
7 maggio, ultimo giorno utile per presentare l’iscrizione alle liste
elettorali, un gruppo di membri dell’NLD, tra cui Than Nyein e Khin Maung Swe risolveva
di formare un nuovo partito, l’NDF (National
Democratic Force) per prendere parte alle consultazioni. L’NLD, assieme ad
un’altra decina di partiti, veniva sciolto ufficialmente dalla Commissione
Elettorale il 14 settembre [28].
Il
1° ottobre il governo informava la stampa estera che nessun giornalista non
accreditato sarebbe potuto entrare nel paese per seguire le elezioni: «Dato che
abbiamo molta esperienza nelle elezioni, non abbiamo bisogno di esperti in
materia» rendeva noto, neppure ironicamente, Thein Soe, presidente della
Commissione Elettorale [29]. Qualche settimana prima era stata annullata la
procedura, introdotta solo in maggio, per l’ottenimento del visto direttamente
all’arrivo in aeroporto. Le porte del paese si stavano chiudendo per evitare
che occhi indiscreti potessero far trapelare notizie «non controllate». Secondo
il rapporto annuale di Reporter Sans Frontieres, il Myanmar sarebbe al 174°
posto su 178 nella lista della libertà di stampa [30].
L’ultima
tappa verso le elezioni fu l’adozione della bandiera e dello stemma nazionale,
secondo quando riportato dalla costituzione [31]. La nuova bandiera riprendeva
le bande e i colori del primo stato birmano indipendente, proclamato il 1°
ottobre 1943 sotto la sfera d’influenza giapponese. Ba Maw ne era il
presidente, mentre Aung San, padre di Aung San Suu Kyi, era ministro della Difesa
[32]. Il giorno stesso dell’indipendenza, il direttivo birmano dichiarò guerra
alla Gran Bretagna e agli Stati Uniti [33].
7. Le elezioni del 7 novembre 2010
Il
7 novembre, 27 milioni di birmani vennero chiamati a dare il loro voto su una
rosa di 37 partiti, la maggior parte dei quali simpatetici al regime militare. Numerose
associazioni indipendenti accusarono brogli e intimidazioni. L’assenza dell’NLD
dalla scheda elettorale, giocò un ruolo decisivo per molti elettori, i quali
decisero di boicottare le urne. Secondo dati non ufficiali, il 73,8% degli
aventi diritto avrebbe votato, ma la percentuale varierebbe da stato a stato
per via del disinteresse mostrato dalle minoranze etniche verso la politica di
Nay Pyi Taw e della difficoltà, in alcune regioni, nel raggiungere i seggi
elettorali. Dei 37 partiti, 15 non hanno ottenuto alcun seggio, mentre 17 dei
24 movimenti etnici sono riusciti a far eleggere almeno un loro rappresentante.
I risultati, resi noti il 17 novembre, non hanno serbato sorprese: l’USDP (Union Solidarity and Development Party),
ha conquistato la maggioranza assoluta in entrambe le camere; sarà quindi
questo partito, il cui leader è il primo ministro uscente Thein Sein, che
dominerà la vita politica birmana nei prossimi anni [Tab. A e Tab B]. I seggi
occupati dall’USDP, sommati a quelli che spettano di diritto ai militari,
permetteranno al partito della giunta di eleggere il futuro presidente birmano
senza cercare alcun appoggio esterno. Ma l’USDP, lungi dall’essere un partito
monolitico, annovera tra i suoi membri anche uomini d’affari, commercianti,
arrivisti politici, amministratori opportunisti; gente, insomma, che non ha una
precisa idea politica e che antepone i propri interessi alla fedeltà
ideologica. Il maggiore partito d’opposizione, l’NDF, sarà presente con quattro
seggi nella Amyotha Hluttaw (la Camera Alta, equivalente grosso modo al nostro
Senato) e con 12 nella Pyithu Hluttaw (la Camera Bassa, equivalente alla nostra
Camera dei Deputati).
Le
elezioni di novembre, pur caratterizzate da una gestione monopolistica del
potere, hanno comunque segnato un passo avanti verso la via per la «democrazia
disciplinata» lanciata dal generale Khin Nyunt nel 2003 [34]. La soglia del 25%
di seggi assegnata di diritto ai militari, secondo alcuni osservatori, potrebbe
essere il primo passo verso una transizione democratica indolore (il 25% è
sempre meglio che il 100% attuale). Dopotutto il Tatmadaw è l’unica
organizzazione in Myanmar in grado di mantenere unito il paese. Neppure l’NLD e
la figura di Aung San Suu Kyi hanno una struttura così ramificata e organizzata
quanto quella del Tatmadaw, senza contare che il movimento democratico birmano
al di fuori dei confini etnici bamar non ha un sostegno significativo [35]. Il
ritiro improvviso delle forze armate dalla vita pubblica e politica,
rischierebbe di far piombare la nazione in una guerra civile ancor più
sanguinosa di quella attuale, destabilizzando l’intera regione del Sudest
asiatico. Anche Aung San Suu Kyi ha ammesso che la transizione è d’obbligo e in
più occasioni ha ripetuto che i militari dovranno continuare ad avere un ruolo
importante nel futuro della politica nazionale [36] [37]. Gli stessi
rappresentanti delle nazioni che più criticano il regime di Than Shwe e la
mancanza di una democrazia nel paese, in privato mostrano una visione assai
differente della realtà: «I birmani non sono
ancora pronti a gestire il Paese
con la democrazia; il rischio è che la Birmania cada in uno stato di caos incontrollato
simile a quello che ha portato alla dissoluzione della Yugoslavia e nessuno, neppure il mio governo,
accetterebbe questa destabilizzazione» [38].
Infine
c’è l’incognita del futuro dell’SPDC: c’è una nuova generazione di militari
pronta a rimpiazzare Than Shwe e Maung Aye, rispettivamente numero uno e due
della giunta, i quali si dimetteranno presto a causa della loro età. Tutte e due sanno che in Myanmar non è mai
accaduto che vi fosse un trasferimento di poteri pacifico
(Ne Win e Khin Nyunt, loro predecessori, sono stati posti agli arresti
domiciliari quando erano al vertice). La loro preoccupazione, quindi, è trovare il modo di mettersi da
parte volontariamente, preservando gli interessi economici
e politici delle loro famiglie ritagliandosi un posto onorifico e di poco
impegno. Occorrerà vedere chi, dopo loro, prenderà il potere ed in che modo lo
gestirà.
Sarà
anche questa la grande scommessa dell’NLD e di Aung San Suu Kyi, che il 13 novembre,
una settimana dopo le elezioni, venne rilasciata dagli arresti domiciliari a
cui era confinata dal 2003.
8. La liberazione di Aung San Suu Kyi
La
liberazione è stata salutata, a ragione, con soddisfazione da governi e organizzazioni
di tutto il mondo, ma sin dalle sue
prime battute, la Lady ha mostrato un cambiamento della sua politica.
Sembra che i lunghi anni di segregazione le
abbiamo insegnato che per cambiare il regime dei generali non serve il pugno di
ferro, ma una tattica vincente, una prerogativa indispensabile per ogni
politico, ma che a lei è sempre mancata. Sono sempre più, all’interno dell’NLD, coloro che si chiedono quali frutti abbia
portato l’intransigenza mostrata sino ad oggi dal loro segretario
generale. Troppe, infatti, sono le occasioni
mancate, a partire dal fallimento dei colloqui con Khin Nyunt, nel 2003,
considerato da molti, e a ragione, come l’unico militare in grado di cambiare
le sorti della nazione. Pur continuando a rappresentare la maggioranza
dell’elettorato birmano, l’NLD sta perdendo pezzi. Un primo gruppo è stato
espulso dalla stessa Aung San Suu Kyi nel 1997, un secondo, più consistente,
nel 2003 all’indomani della rottura dei negoziati con Khin Nyunt. Nell’ottobre 2008, cento membri dell’ala
giovanile dell’NLD hanno lasciato il partito perché il nepotismo non lasciava loro
spazio; infine, nel maggio 2010, la formazione dell’NDF.
Anche l’assoluzione data alla Cina riguardo al
suo coinvolgimento nella gestione economica delle risorse del Myanmar, è
apparsa a molti incomprensibile. La dichiarazione secondo cui «non vi è alcuna prova che la Cina stia
depredando le ricchezze della Birmania» ha dell’incredibile, se non
dell’eresia, per le centinaia di organizzazioni che in Occidente da anni si
battono a fianco del Premio Nobel per la Pace e che hanno sempre sostenuto che
Pechino, uno dei principali alleati di Nay Pyi Daw, sia complice di un bracconaggio economico
ai danni del popolo birmano [39]. Ma Aung San Suu Kyi, pur essendo stata agli arresti domiciliari
negli ultimi sette anni, non può non sapere che la più grande economia asiatica
è pesantemente coinvolta nel depauperamento delle risorse naturali birmane. La
Signora ha semplicemente capito che la chiave della svolta
politica nel suo paese si
trova proprio in Cina ed è con essa, più che con i governi occidentali, che
dovrà trovare un modus vivendi.
9. I conflitti etnici chiave della democratizzazione
Lo stesso governo cinese ha tutto l’interesse
affinché il processo di democratizzazione proceda.
La
Cina è indispensabile affinché i gruppi minoritari
abbiano un interlocutore valido e affidabile. Aung San Suu Kyi, in quanto bamar
e figlia di Aung San, le cui gesta contro le minoranze non lo fanno certo ricordare
come un eroe, non
ha potere sulle periferie del paese.
La Cina potrebbe fare da mediatore tra il
governo centrale, i movimenti democratici e le spinte autonomiste
delle minoranze etniche, rivalutando così la propria posizione internazionale
agli occhi dei governi occidentali. A nulla, infatti, servirebbe una Conferenza
di Panglong II come richiesto dalla leader dell’NLD [40]. La quasi totalità dei gruppi etnici ha già
fatto sapere che, anche nel caso fosse indetta, non intendono parteciparvi.
I
conflitti in Myanmar non sono diretti solo contro il governo centrale, ma sono
multietnici e a volte addirittura tribali all’interno di una stessa componente
culturale o linguistica come hanno dimostrato i violenti scontri avvenuti in
novembre lungo il confine thailandese, quando un gruppo di Karen contrari alla
trasformazione del DKBA (Democratic Karen
Buddhist Army) in Guardie di Frontiera Armate, ha attaccato la cittadina di
frontiera di Myawaddy, causando la fuga in Thailandia di 10.000 profughi.
La
necessità di mantenere alto lo stato d’allarme e di procurarsi armi, cibo e
logistica per le proprie popolazioni, sarebbe, secondo la maggior parte dei
gruppi etnici, il motivo per cui la superficie di terreno destinata alla
coltivazione d’oppio in Myanmar sia, tra il 2009 e il 2010, aumentata del 20%.
Si calcola che il valore potenziale dell’oppio ricavato nel 2010, sia di 177
milioni di dollari, il 69% in più rispetto al 2009 [41]. A questo si deve
aggiungere il guadagno, ben superiore, del commercio di meta-anfetamine, la cui
facile preparazione chimica e smercio, sta soppiantando la coltivazione di
papaveri.
Il
perdurare dello stato di belligeranza, oltre a portare una pericolosa
instabilità economica e politica in tutta la regione, comporta anche continue
violazioni dei diritti umani tra cui quelli, particolarmente deplorevoli, dei
bambini soldato, della violenza sulle donne e l’allontanamento forzato dai
villaggi di appartenenza. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, sia il
Tatmadaw che altri 15 gruppi militari etnici, recluterebbero bambini inquadrandoli
nelle loro brigate, confermando che il problema è comune a tutte le fazioni in
lotta [42].
10. Il 2011: quale futuro per il
Myanmar?
Il 2011 continuerà ad essere un anno di
transizione per il Myanmar. In febbraio, stante a quanto afferma la
costituzione, l’SPDC dovrebbe cedere i poteri ad un governo civile (in realtà
all’ala politica dei militari, dato che il vincitore delle elezioni è l’USDP) [43].
Il
nuovo presidente avrà libertà d’azione o sarà una marionetta in mano al
Tatmadaw?
Than
Shwe e Maung Aye si ritireranno a vita privata lasciando che la nuova
generazione di militari, alcuni dei quali più disposti al dialogo di quanto lo
siano stati i loro predecessori, prendano il potere al loro posto?
Il
dialogo appena iniziato con l’amministrazione Obama, si estenderà anche
all’Unione Europea o tutto si concluderà con un nulla di fatto?
Infine
occorrerà osservare se Aung San Suu Kyi avrà realmente la libertà di
espressione e di movimento promessa dalla giunta all’atto della sua
liberazione. In ogni caso, il Premio Nobel per la Pace dovrà cominciare a fare
delle scelte in campo politico e sociale. E le scelte, si sa, portano sempre nuove
responsabilità e, immancabilmente, critiche, alla quali Suu Kyi oltre a non
essere abituata, non accetta neppure volentieri [44]. I compromessi ai quali
dovrà cedere, coglieranno di sorpresa molti suoi sostenitori. Nelle poche
settimane di libertà trascorse dal 13 novembre alla fine del 2010, ha già messo
in discussione alcuni dei suoi punti fermi, tra cui le stesse sanzioni [45].
E’
con questa nuova Aung San Suu Kyi che la giunta militare e i governi
occidentali dovranno confrontarsi.
Tab.
A - Risultati e seggi alla Amyotha
Hluttaw (Casa delle Nazionalità o Camera Alta)
Partito
|
% voti
|
Seggi
|
USDP (Union Solidarity and Development Party)
(*)
|
76,79%
|
129
|
RNDP (Rakhine Nationalities Development Party)
|
4,17%
|
7
|
NUP (National Unity Party) (*)
|
2,98%
|
5
|
NDF (National Democratic Force)
|
2,38%
|
4
|
CPP (Chin Progressive Party)
|
2,38%
|
4
|
SNDP (Shan Nationalities Democratic Party)
|
1,78%
|
3
|
All Mon Region Democracy Party
|
1,78%
|
3
|
Phalon-Sawaw Democratic Party
|
1,78%
|
3
|
CNP (Chin National Party)
|
1,19%
|
2
|
WDP (Wa Democratic Party) (*)
|
0,60%
|
1
|
Altri partiti
|
4,17%
|
1
|
Militari
|
|
56
|
|
|
|
Totale
|
|
224
|
Fonte: Myanmar Union Election Commission, 17 November
2010
(*) Partiti vicini alla
giunta militare
Tab.
B - Risultati e seggi alla Pyithu Hluttaw
(Casa dei Rappresentanti o Camera Bassa)
Partito
|
% voti
|
Seggi
|
USDP (Union Solidarity and Development Party)
(*)
|
78,48%
|
259
|
SNDP (Shan Nationalities Democratic Party)
|
5,45%
|
18
|
NUP (National Unity Party) (*)
|
3,64%
|
12
|
NDF (National Democratic Force)
|
3,64%
|
12
|
RNDP (Rakhine Nationalities Development Party)
|
2,72%
|
9
|
All Mon Region Democracy Party
|
0,91%
|
3
|
Pa-O National Organization (*)
|
0,91%
|
3
|
CNP (Chin National Party)
|
0,61%
|
2
|
CPP (Chin Progressive Party)
|
0,61%
|
2
|
WDP (Wa Democratic Party) (*)
|
0,61%
|
2
|
Phalon-Sawaw Democratic Party
|
0,61%
|
2
|
Unity and Democracy Party of Kachin State (*)
|
0,30%
|
1
|
Kyain People Party (*)
|
0,30%
|
1
|
Inn Nationalities Development Party
|
0,30%
|
1
|
Taaung (Palaung) National Party (*)
|
0,30%
|
1
|
Altri
|
0,61%
|
2
|
Militari
|
|
110
|
|
|
|
Totale
|
|
440
|
Fonte: Myanmar Union Election Commission, 17 November
2010
(*) Partiti vicini alla
giunta militare
NOTE
[1] Union of Myanmar – Commission for Holding the Referendum –
Announcement No. 12/2008 – 26 May 2008
[2] Khin Kyaw Han - Democratic Voice of Burma 1990 Multi-Party Democracy General Elections
[3] SLORC Declaration No. 1/90 – 27 July 1990
[4] Intervista dell’autore a Mons. Charles Bo, Pathein, febbraio 2008
[5] Developing a Comprehensive Partnership With Indonesia. Remarks by
Hillary Rodham Clinton With Indonesian Foreign Minister Noer Hassan Wirajuda,
Jakarta, February 18, 2009
[6] Human Rights Watch - Country Summary – Burma, January 2010, p. 2
[7] Union of Myanmar - Office of the Chairman of the State Peace and
Development Council. Letter No 04/NaYaKa (Oo)/La Nga Hka del 10 agosto 2009
[8] Report to the Security
Council from the Panel of Expert Estabilished Pursuant to Resolution 1874
(2009), p. 19
[9] Bulletin of the Atomic Scientists, Dec. 1956, p. 380
[10] Nuclear Activities in Burma, by Robert E. Kelley, Ali Fowle,
Democratic Voice of Burma, May 25, 2010, p. 11
[11] Nuclear Activities in Burma, by Robert E. Kelley, Ali Fowle,
Democratic Voice of Burma, May 25, 2010, pp. 8-9
[12] Constitution of the Republic of the Union of Myanmar (Official
English Translation), Cap.VII § 338
[13] Joseph Allchin, Burmese
generals “hate China”, says India, Democratic Voice of Burma, December 27,
2010
[14] India Ministry of External
Affair, Joint Statement during the visit
of Chairman, State Peace and Development Council of Myanmar, July 27, 2010
[15] Thomas Kean e Kyaw Thu, New
Chinese foreign investment commitments exceed $8 billion, The Myanmar
Times, Aug. 16-22, 2010
[16] International Monetary Found, DoTS, 2010
[17] European Union – Council
Decision 2010/232/CFSP of 26 April 2010 renewing restrictive measures against
Burma/Myanmar
[18] Congress of United States of America, Burmese Freedom and Democracy Act of 2003
[19] Earth Rights International, Getting
it Wrong: Flawed “Corporate Social Responsibility” and Misrepresentation
Surrounding Total and Chevron’s Yadana Gas Pipeline in Military-Ruled Burma
(Mynamar), September 2009, p. 36
[20] Earth Rights International,
Getting it Wrong: Flawed “Corporate Social Responsibility” and
Misrepresentation Surrounding Total and Chevron’s Yadana Gas Pipeline in
Military-Ruled Burma (Mynamar), September 2009, p. 39
[21] Intervista dell’autore, 12 settembre 2009
[22] Asia Development Bank,
Myanmar Fact Sheet as of 31 December 2009, p.2
[23] IMF, World Economic Outlook,
Recovery, Risk and Rebalancing, October 2010 – Table A4 - Emerging and Developing Economics: Real GDP,
p. 201
[24] Constitution of the Republic of the Union of Myanmar (Official
English Translation), Cap.IV §§ 109 (b) e 141 (b)
[25] Constitution of the Republic of the Union of Myanmar (Official
English Translation), Cap.I § 16
[26] Constitution of the Republic of the Union of Myanmar (Official
English Translation), Cap.III §§ 59 (b-d-e-f)
[27] NLD, A Message to the People
of Burma, April 6, 2010
[28] Union Election Commission, Notification
No. 97/2010, September 14, 2010
[29] Union Election Commission Press Conference, Nay Pyi Taw, October
18, 2010
[30] Reporter Sans Frontieres, Classement
mondial 2010
[31] Constitution of the Republic of the Union of Myanmar (Official
English Translation), Cap. XIII §§ 437 (a) e 438 (a)
[32] Aung San Suu Kyi, Libera dalla paura, Sperling&Kupfer
Editori, Milano, 1996 p. 20
[33] Justin Wintle, Perfect
Hostage-A Life of Aung san Suu Kyi, Hutchinson, London, 2007 p.116
[34] Myanmar Information Committee, General Khin Nyunt’s Speech on Development
and Progressive Changes in Myanmar, Sheet N° C-2746, 30 August 2003
[35] I bamar, chiamati
anche birmani sono l’etnia maggioritaria del Myanmar, rappresentando il 68%
della popolazione.
[36] John Simpson, Aung
San Suu Kyi Aims For Peaceful Revolution, BBC, November 15, 2010
[37] AFP, Call
for peaceful devolution, November 15, 2010
[38] Colloquio privato
tra l’autore e l’ambasciatore di un paese occidentale che appoggia apertamente
Aung San Suu Kyi, Yangon, 4 novembre 2010
[39] Intervista
dell’autore, Yangon, 15 novembre 2010
[40] Conferenza stampa
di Aung San Suu Kyi, Yangon, 14 Novembre 2010
[41] UNODC, South-East
Asia Opium Survey 2010 – Lao PDR, Myanmar, December 2010
[42] UN Security Council, Report of the Segretary-General on children and armed conflict in
Myanmar, 1 June 2009
[43] Constitution of the Republic of the Union of Myanmar (Official
English Translation), Cap. IV § 123
[44] Justin Wintle, Perfect
Hostage-A Life of Aung san Suu Kyi, Hutchinson, London, 2007 pp.216-217
[45] Intervista dell’autore, Yangon, 15 novembre 2010
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