Signora Suu
Kyi, gli arresti domiciliari le sono stati revocati per l’ennesima volta ed
oggi è di nuovo libera. Quanto si illude possa durare questa libertà
provvisoria?
Non so! Mi aspetto una nuova restrizione appena
l’attenzione internazionale verso la Birmania si abbassi. E poi non sono
libera. Posso circolare a Rangoon, non fuori città.”
Come farà
quindi a raggiungere il suo elettorato sparso nelle campagne?
Non potrò farlo. Cercherò di mandare messaggi al
paese tramite i nostri giornali, le radio, il passaparola, messaggi registrati.
Per ora non posso fare altrimenti. Se volessi uscire da Rangoon dovrei chiedere
il permesso alle autorità militari. Impossibile ottenerlo.
A cosa deve
la sua semilibertà? Ad una svolta democratica del governo, ad una pressione
internazionale o esclusivamente alla notorietà che la sua figura di attivista
politica e di figlia del padre fondatore della moderna Birmania ha raggiunto
dopo il Nobel del 1991?
Vorrei sperare che sia la prima delle ipotesi che
lei ha citato, ma so che non è così. Lo Slorc non può evolversi in un organismo
democratico senza l’apporto della Lega Nazionale per la democrazia e senza gli
altri partiti. Penso piuttosto che la mia semilibertà sia causata da una
campagna internazionale su larga scala ed in questo il Premio Nobel per la Pace
ha sicuramente giocato un ruolo importante. Non penso che prima del 1991
fossero tante le persone che mi conoscevano in Europa e negli Stati Uniti.
Quali sono
i suoi programmi?
Cercherò di contattare i militari rendendomi
disponibile ad un dialogo con essi. La Lega Nazionale per la Democrazia è
pronta a collaborare con i generali per un governo di coalizione nazionale.
Lei ha
l’appoggio degli studenti, di parte dei contadini, ma non ha alcun appoggio da
parte delle minoranze etniche. Come pensa di riportare la pace nel paese senza
loro?
L’unica arma che possiedo e che penso sia in grado
di riportare la pace in Birmania è la democrazia. L’ho conosciuta in Europa e
penso che si possa applicare anche in Birmania. Del resto ciò che la gente
della Birmania vuole oggi è democrazia; una volta raggiunta avremo tutti i
mezzi per risolvere le questioni che affliggono il Paese.
Mi sembra
un programma troppo semplicistico, poco pragmatico e eccessivamente ottimista.
Anche suo padre non è riuscito a concludere un accordo con i tribali del nord.
La democrazia potrà servire come base di un programma politico, ma poi occorre
applicarla, eliminare la corruzione, ridare fiducia al popolo, eliminare le
disparità economiche e giuridiche tra barman e tribali. E concedere qualche
autonomia reale anche agli stati che compongono la federazione birmana.
Ma il punto di appoggio resta sempre la
democrazia. Se non partiamo da questo tutto il castello crollerà. Guardi in
Cina. Un Paese che sta avanzando economicamente a livelli del 7-8% annui, ma
che non ha introdotto vere riforme democratiche. Hanno avuto Tienanmen, le
campagne sono sull’orlo della rivolta, i movimenti secessionisti in Tibet e
nello Xinkijang continuano ad essere attivi. Eppure, sia nel Tibet che nello
Xinkijang, lo sforzo di sviluppo economico ha dato buoni risultati. Ma se non
si concede la libertà, e quando parlo di libertà intendo dire libertà totale,
il popolo si sentirà sempre oppresso.
Sa che per
governare la Birmania avrà bisogno dei militari, gli stessi contro cui oggi
scaglia, e a ragione, le sue accuse?
Ho grandi simpatie per i militari. Li associo alla
figura di mio padre e non riesco a provare alcun risentimento contro di essi.
Sono solo delle pedine manovrate dallo SLORC.
Pensa di
uscire dalla Birmania? Molti in Europa, in Giappone, negli Stati Uniti,
vorrebbero sentirla parlare dal vivo, chiederle domande, avere risposte
dirette.
Non penso che il governo mi permetterebbe di
rientrare una volta uscita. E’ sicuramente quello che lo Slorc vorrebbe, ma
questo è il mio Paese, questa gente è il mio popolo. Io appartengo a loro. Sono
compiaciuta che in Occidente vi siano movimenti di solidarietà con la nostra
causa e sono contenta che giornalisti sfidino la censura militare per intervistarmi
ben sapendo che, probabilmente, non potranno più rientrare in Birmania.
Possiamo unire le nostre forze combattendo ognuno nei nostri rispettivi paesi.
Gli U2 le
hanno dedicato una canzone. L’ha sentita?
Sì, certamente. Mi piace e mi piacciono gli U2. Mi
ha divertito l’idea di essere diventata anche un soggetto per le loro canzoni.
Penso che
l’attenzione della Birmania in Occidente sia dovuto più alla sua figura che a
un reale interesse per il futuro della nazione.
Spero che non abbia ragione, ma temo anche io che
sia in parte dovuto a questo. Ho paura che, nel caso io muoia o lasci il mondo
della politica, l’attenzione internazionale non si focalizzi più su questo
nostro martoriato Paese.
In
Occidente si discute su come aiutare il movimento democratico birmano a
prevalere sui militari. C’è chi parla di boicottare il turismo, chi parla di
boicottare le compagnie che hanno interessi in Birmania, chi invece propone un
aiuto sostanzioso e decisivo agli stati etnici del nord per combattere militarmente
i militari di Yangon.
Molti turisti vengono in Birmania individualmente
con l’intento di conoscere più a fondo la realtà del Paese. Questo mi sembra
positivo. E’ anche vero, però, che l’industria del turismo arricchisce il
governo e i funzionari, ma non credo che un totale boicottaggio in questo senso
potrebbe influenzare in modo decisivo la politica birmana. Diverso è il
discorso con le industria che operano
nel Paese con l’assenso dei militari. Un boicottaggio mirato contro queste
compagnie potrebbe dare qualche risultato positivo. Non sono neppure convinta
che aiutare militarmente gli stati del nord a ribellarsi contro i militari sia
la soluzione. Creerebbe più caos nel Paese, più miseria e distruzione.
Copyright ©Piergiorgio Pescali
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