Da quando
Win ha saputo che ero un giornalista, ho dovuto cambiare hotel. –Mi dispiace- si è scusato, -ma è diventato troppo pericoloso tenerti
qui tra i miei clienti. Alcuni funzionari hanno già fatto domande e mi hanno
fatto capire che i tuoi articoli non sono piaciuti.-
Non che ne
sia rimasto particolarmente sorpreso; padre Philip, sacerdote cattolico della
cattedrale di St. Mary, mi aveva avvertito: -Ogni
hotel che ospita stranieri ha almeno un informatore tra lo staff. Continuando a
frequentare lo stesso albergo, prima o poi verranno a sapere chi sei.-
Speravo
che, scegliendo un alloggio da quattro soldi, riuscissi a mimetizzarmi, ma alla
fine quel giorno è arrivato: ho fatto le valige e mi sono cercato un’altra stanza.
Prima di andarmene, Win mi ha abbracciato sussurrandomi: -Spero che presto la situazione cambi: i militari non possono durare
per sempre.-
Per sempre
no di certo, a lungo, invece, sì. Probabilmente Win, che si avvia verso la
settantina, non riuscirà a vedere l’auspicato cambiamento. Prima, infatti,
dovranno sparire i due generali che dominano la scena politica del paese: Than
Shwe e Maung Aye. Entrambi sono malati e vecchi, è vero, ma da anni stanno
manovrando l’SPDC (State Peace and Development Council), la giunta militare che
governa la nazione, affinché alla loro dipartita poco o nulla cambi. Tutte e
due sanno che in Myanmar non è mai accaduto che vi fosse un trasferimento di
poteri pacifico. La loro unica preoccupazione, quindi, è trovare il modo di
mettersi da parte volontariamente, preservando gli interessi economici e
politici delle loro famiglie. Nel frattempo tutto rimane come sospeso. Il
futuro del Myanmar rimane drammaticamente certo nelle proprie incertezze. E’
certo che nel 2010 si terranno le elezioni generali, ma non è ancora dato
sapere quando verranno aperte le urne. E’ certo che i militari continueranno ad
avere un ruolo fondamentale nel governo del Paese, ma non si sa chi sarà
chiamato a gestirlo. E’ certo che Aung San Suu Kyi non potrà ricoprire cariche istituzionali,
ma non si sa se il governo manterrà la promessa di liberarla a novembre. E’
certo, infine, che la popolazione non si aspetta rivelazioni clamorose dai
risultati elettorali, ma non è chiaro in quale verso muterà la situazione
sociale ed economica.
-L’insicurezza rende tutto più difficile da
affrontare- racconta Htway, uno studente universitario di Yangon; -E’ frustrante osservare che tutte le
speranze di una rinascita, vengono spente quando incominciavamo a credere nel
cambiamento.- Zeya, sua amica, aggiunge –A
questo punto preferirei sapere che niente cambierà in Myanmar. Almeno avrei una
certezza su cui costruire la mia vita. Non voglio più lottare per un’illusione.-
Non tutti,
per fortuna, la pensano come Zeya.
A Mandalay,
ad esempio, U Pa Pa Lay e U Lu Zaw, in arte The
Moustache Brothers, da anni sfidano la censura rappresentando ogni sera, in
una stanzina di tre metri per quattro, uno spettacolo satirico che mette in
ridicolo la giunta militare. La popolarità riscossa tra i turisti in visita
nella vecchia capitale, ha contribuito a proteggerli da eventuali rappresaglie.
La fama nazionale, invece, non è servita al dentista U Maung Thura, più noto
con il soprannome di Zarganar, la cui comicità, più pungente e diretta, non ha
riscontrato, tra gli stranieri, lo stesso entusiasmo riscosso dai Moustache Brothers. Questo è stato
sufficiente perché i suoi denti fossero spaccati dalle spranghe dei militari. –Oramai sono un dentista senza denti. Chi
andrebbe a farsi curare da un dentista che ha perso tutti i suoi denti?- ha
scherzato qualche anno fa, quando l’ho incontrato poche settimane prima che
fosse di nuovo rimesso in prigione. Le sue battute restano memorabili e vengono
ancora sussurrate nelle serate conviviali e goliardiche: “In Birmania i dentisti non hanno lavoro perché nessuno osa aprire
bocca” oppure la famosa storiella di tre ragazzini che si ritrovano a
raccontare le gesta dei loro parenti: un cugino senza braccia che ha
attraversato a nuoto l’Ayeyarwady, un fratello senza gambe che ha scalato la
montagna più alta del Paese, risultano ben poca cosa rispetto allo zio del
terzo ragazzino che “pur essendo senza
testa, governa un’intera nazione!”
Eppure,
anche se l’orizzonte sembra cupo, qualche timido raggio di sole sembra si stia
infiltrando tra le nubi. Le elezioni, ad esempio, che dopo l’amara esperienza
del 1990 il governo cercherà di manipolare, sono pur sempre una tappa verso
quella “road map to democracy” disegnata dalla giunta per ridare al Myanmar una
parvenza di partecipazione popolare alla gestione del potere.
-I generali vogliono evitare di ripetere
l’esperienza traumatizzante delle elezioni del 1990, quando l’NLD conquistò la
maggioranza assoluta dei voti- spiega Sean Turnell, professore di
Economia alla MacQuarie University di Sydney, -per questo la data sarà comunicata il più tardi possibile per non
lasciare ai partiti tempo di organizzarsi.- Nel 1990, infatti, il
regolamento per la registrazione era stato promulgato venti mesi prima la
scadenza elettorale e i candidati dell’opposizione avevano avuto la possibilità
di compiere una sorta di campagna elettorale conquistando così la fiducia di
gran parte della popolazione. La Lega nazionale per la Democrazia, il partito
di Aung San Suu Kyi che nel 1990 aveva ottenuto la maggioranza assoluta dei
voti, ha deciso di non partecipare alle consultazioni. La dichiarazione di astensione
di Aung San Suu Kyi, nasconde però la realtà di un dibattito interno all’LND,
che rimane fortemente diviso tra chi vorrebbe comunque aderire alle elezioni e
chi, invece, è contrario. Win Tin, uno dei leader storici del partito, ha
criticato l’inviato speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite,
Ibrahim Gambari, per aver incoraggiato il governo birmano a organizzare le elezioni
del 2010 in modo accettabile per la comunità internazionale. –Non è la comunità internazionale che deve
essere accontentata, ma è il popolo birmano- ha giustamente replicato Win
Tin. Tre erano le condizioni imposte dalla Lega Nazionale per la Democrazia
affinché avesse potuto prendere in considerazione un suo coinvolgimento: il
rilascio di tutti i prigionieri politici, la riforma della Costituzione
approvata nel 2008 in un referendum farsa e la supervisione internazionale del
voto.
-L’unico punto accettabile per i militari
sarebbe stato il terzo- risponde Bertil Lintner, giornalista svedese
che, da Bangkok, segue le vicende birmane. –Degli
altri due, solo la liberazione dei prigionieri politici può essere messa sul
tavolo delle trattative dalla giunta.-
Nel
frattempo le fratture interne all’NLD si sono allargate, sancendo la spaccatura
del partito lungo la crepa di chi segue la linea della dirigenza storica
capeggiata da Aung San Suu Kyi e Win Tin e chi, invece, preferisce cogliere
l’occasione di intrufolarsi nello spiraglio di democrazia che le elezioni
lasciano trasparire. Sarà quindi interessante vedere quale posizione prenderà il
bacino elettorale democratico: si asterrà o piuttosto dirotterà il proprio voto
sui membri dell’NLD che, in dissidenza con la Signora, hanno deciso di
partecipare alle consultazioni?
In attesa
di un verdetto, alcuni leaders si sono già mossi: il National Unity Party, il
partito emanazione del vecchio Burma Socialist Programme Party che nel 1990
aveva avuto il 22% dei voti, è sceso in lizza in una nuova veste, meno legata
ai militari. Il Democratic Party di Thu Wai e la Graduated Old Student
Democratic Association, di idee democratiche, ma critici verso l’LND, uniranno
le proprie forze e anche Sandar Win, figlia di Ne Win, sembra voglia formare
una propria lista.
Nelle aree
tribali, dove l’LND e l’icona di Aung San Suu Kyi non è così inossidabile come
nelle regioni Bamar, i movimenti si stanno muovendo l’uno per contro proprio.
Per molti di loro, la nuova costituzione assicura una partecipazione alle
decisioni locali maggiore di ogni altra precedente, compresa quella del 1947,
garantendo la costituzione di sei regioni autonome per i Wa, i Naga, i Danu, i
Pa-O, i Pa Laung e i Kokang e la rappresentanza nei governi locali di 135 etnie.
-Tutti i gruppi etnici con una popolazione
maggiore di 57.000 unità hanno diritto ad avere un loro rappresentante.- contesta
Pu Cin Sian Thang, portavoce del United Nationalities Alliance, una coalizione
di dodici partiti etnici contrari alla costituzione, -ma non c’è alcun censimento che attesti la popolazione. Su che base
potremmo rivalerci di questo diritto?-
Il Karen
National Union, che già aveva rigettato la costituzione del 1947 scegliendo la
via della completa indipendenza, ha ribadito il rifiuto di partecipare alle
prossime elezioni, a differenza di altri gruppi etnici, come i Kachin, che
negli ultimi vent’anni hanno concluso accordi di cessate il fuoco con
Naypyidaw, la nuova capitale del Myanmar.
-Dobbiamo difendere i nostri diritti e la costituzione
approvata nel 2008, pur con i suoi difetti, contiene dei semi di democrazia. E’
per questo che abbiamo deciso di partecipare alle elezioni.- mi dice
James Lum Dau, vice Ministro degli Esteri del Kachin Independence Organization
e uno dei fondatori del Kachin State Progressive Party.
I maggiori
problemi, però, nasceranno dopo che i risultati avranno stabilito quale governo
dovrà imporre la legge nel Paese. Con il 25% dei seggi riservato ai militari, i
generali continueranno ad avere un ruolo attivo nella politica del Myanmar, ma
per la prima volta dal 1962 ai civili verranno aperte alcune nuove opportunità.
-L’appoggio dei militari sarà comunque
indispensabile per approvare gli emendamenti- spiega un giornalista
birmano –ma un 25% è sempre meglio che un
100%-
In effetti,
alcuni analisti hanno fatto notare che la soglia voluta dai militari potrebbe
essere un primo passo verso una transizione indolore verso un governo
democratico e civile, visto che un improvviso ritiro del Tatmadaw (l’esercito
birmano) da ogni forma di potere, potrebbe far piombare il Paese nel caos e in
una sanguinosa guerra civile con la periferia. E’ anche per questo che le nuove
autorità avranno il difficile compito di disarmare quei gruppi etnici che,
nonostante abbiano firmato l’armistizio, continuano ad avere propri eserciti.
Per rendere più accettabile la smobilitazione, la costituzione birmana prevede
la formazione delle cosiddette Forze di Guardia alle Frontiere. Le armi non
saranno più rivolte verso l’interno e verso i soldati del governo centrale,
bensì verso l’esterno e usate contro altri gruppi etnici ribelli (cosa, del
resto, che già accade). Il problema è che sino ad ora nessuno, tranne il
Democratic Kayin Buddhist Army, ha accettato la proposta.
Uno dei
punti principali su cui ci si confronterà, sarà l’elezione del Presidente, che
dovrà essere residente in Myanmar da almeno vent’anni (e quindi vengono esclusi
tutti i dissidenti), non essere sposato con stranieri (in questo caso Aung San
Suu Kyi, in quanto vedova, potrebbe essere eletta) e non avere figli con
passaporto straniero (è questa la clausola che esclude la Lady dalla
presidenza). Anche qui, i militari hanno il diritto di presentare uno dei tre
candidati che, quasi sicuramente, non sarà Than Shwe, notoriamente refrattario
ai viaggi e agli incontri con stranieri, in particolare occidentali. Ma
l’orgoglioso generale non ama neppure essere “comandato”, men che meno da una
figura, come quella del Presidente, che potrebbe essere ricoperta da un civile.
Si pensa, quindi, che i militari creeranno una posizione ad hoc, esterna al governo, ma altrettanto autorevole; una sorta di
Grande Leader o Leader Supremo.
Ed archiviato Than Shwe, rimane il numero due, Maung Aye, l’unico
generale che non ha ancora trovato una collocazione nel dopo elezioni e, per
questo, potrebbe rappresentare un pericolo nella stabilità nazionale.
L’accantonamento di Maung Aye, infatti, porterebbe alla rovina tutta la sua
famiglia e l’entourage. Un’aperta rivolta all’interno stesso dei ranghi
militari, potrebbe, inoltre, invogliare i gruppi etnici più refrattari a
Naypyidaw, a riprendere la lotta per l’indipendenza. Un’eventualità, questa,
che destabilizzerebbe l’intera regione sud orientale dell’Asia, chiazzata da
migliaia di minoranze le quali non si sono mai sottomesse ai governi centrali.
Cina, India e Thailandia, in particolare, le nazioni confinanti con il Myanmar
e che hanno tutte grossi problemi con le etnie tribali a ridosso delle proprie
frontiere, non gradirebbero di certo un Paese poco controllato. La guerra
d’Indocina con i suoi tragici lasciti non è ancora scomparsa dalla memoria
delle diplomazie mondiali e poco più a ovest, l’Afghanistan è un preciso monito
verso chi chiede democrazia senza avere le basi su cui costruirla.
Copyright ©Piergiorgio Pescali
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