Non dimenticare la storia


Als die Nazis die Kommunisten holten, habe ich geschwiegen;
ich war ja kein Kommunist.
Als sie die Sozialdemokraten einsperrten, habe ich geschwiegen;

ich war ja kein Sozialdemokrat.
Als sie die Gewerkschafter holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Gewerkschafter.
Als sie die Juden holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Jude.
Als sie mich holten,
gab es keinen mehr, der protestierte.


Quando i nazisti vennero per i comunisti, io restai in silenzio;
non ero comunista.
Quando rinchiusero i socialdemocratici, rimasi in silenzio;
non ero un socialdemocratico.
Quando vennero per i sindacalisti, io non feci sentire la mia voce;
non ero un sindacalista.
Quando vennero per gli ebrei, non protestai;
non ero un ebreo.
Quando vennero per me, non era più rimasto nessuno che potesse far sentire la mia voce.

(Emil Gustav Friedrich Martin Niemöller; Lippstadt, 14 gennaio 1892 – Wiesbaden, 6 marzo 1984)



S-21 - Nella prigione di Pol Pot

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S-21; un romanzo storico, una narrazione viva e potente che porta il lettore in una struttura detentiva istituita dal regime degli Khmer Rossi, una prigione da cui pochi sono tornati, seppur segnati nel corpo e nello spirito, vivi.

IL CUSTODE DI TERRA SANTA - un colloquio con padre Pierbattista Pizzaballa

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FESTIVAL FRANCESCANO 2014 - Rimini, piazza Tre Martiri,SABATO 27 SETTEMBRE - ORE 15.00 Presentazione del libro Il Custode di Terra Santa

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Myanmar: il paese alle elezion i (6 novembre 2010)


Il 7 novembre 27 milioni di birmani decideranno quale sara' l-assetto del nuovo parlamento del Myanmar. Tra i 37 partiti ammessi al voto dalla giunta militare al potere, non figurera' la Lega Nazionale per la Democrazia (LND) di Aung San Suu Kyi, che nel 1990 aveva conquistato il 58% dei seggi. Dopo una vivace discussione interna, l'LND ha deciso di non partecipare alla tornata elettorale perche' la nuova costituzione, approvata con un referendum farsa nel 2008, non garantirebbe I diritti democratici richiesti dal paritto piu' popolare del Paese. Nonostante la drastica decisione della “Lady”, come viene soprannominata Aung San Suu Kyi qui in Myanmar, numerosi membri dell'LND hanno deciso di trasgredire gli ordini e prendere comunque parte alle elezioni. “Un boicottaggio favorirebbe la giunta militare, alzando le probabilita' di elezioni di candidati a lei favorevoli” mi spiega Khin Maung Swe, ex portavoce dell'LND ed ora presidente del National Democratic Force. L'intimidazione politica operata dai militari e' evidente ogni qualvolta chiedo un incontro con esponenti politici. La risposta e' sempre la stessa: “Se non hai un visto giornalistico e non sei registrato presso il Ministero dell'Informazione, non possiamo parlare”. Dopo che le ambasciate del Myanmar in Italia, Thailandia e Singapore mi hanno rifiutato il visto d'entrata perche' “persona non gradita”, sono fortunosamente riuscito ad ottenere l'ambito lasciapassare in un consolato birmano, forse troppo lazzarone per verificare le mie credenziali. Ma una volta entrato in Myanmar, mi ritrovo due agenti dei Servizi Segreti che mi accompagnano in ogni dove. Li riconosco perche' me li ritrovo ovunque: al mercato, alla Shwedagon Pagoda, lungo la strada mentre mangio codino di maiale. Li ho sopannominati Flick e Flock per la loro dabbenaggine e goffaggine. Secondo Kaung Myint Htut, leader del Gruppo 88, che nel 1988 aveva guidato la lotta studentesca contro Ne Win, “e' un grande “onore” avere alle calcagna due agenti; il governo non spenderebbe mai tempo, uomini e denaro per persone che ritiene innocue”.

Per Thein Sein, invece, Primo Ministro e numero tre della giunta militare, nonche' leader della USDP (Union Solidarity and Development Party), “i due agenti sono la prova che la sua presenza in Myanmar non e' gradita” e quindi, oltre a declinare ogni incontro con il sottoscritto, sottindente il fatto che me ne devo andare al piu' presto dal Paese. Questione di punti di vista, insomma. E' comunque importante notare che, nonostante la costituzione riservi il 25% dei seggi parlamentari ai militari, rimane il fatto che gli elettori, per la prima volta dal 1962, potranno eleggere candidati civili.
“La costituzione non garantisce la democrazia” mi dice l'arcivescovo di Yangon, Mons. Charles Bo, “ma dopo 48 anni di dittatura I birmani debbono abituarsi poco a poco ad un governo democratico. Il pericolo, altrimenti, sarebbe di creare un caos sociale ed etnico nel paese, crendo divisioni e contrapposizioni violente”.
In effetti, tutti I diplomatici che ho ascoltato, al di la' delle recriminazioni dei loro governi, si dicono preoccupati per una democratizzazione a tappe forzate: “Il Myanmar e' un paese etnicamente diviso. Escludere in m\nome della democrazia I militari, rischierebbe di creare una guerra civile e destabilizzare l'intero assetto geopolitico della regione” mi spiega un ambasciatore di un Paese europeo particolarmente impegnato nella lotta per la liberazione di Aung San Suu Kyi. Come dire> un contro e' la diplomazia fatta di parole e buoni propostiti, un altro e' confrontarsi con la realta' dei fatti di chi vive questa relata' all'interno del Paese.
E mentre mi aggiro per Yangon riuscendo facilmente a seminare Flick e Flock, l'atmosfera in citta' sembra rilassata. La gente preferisce evitare di parlare di politica per salvaguardare la propria incolumita' in caso le proprie opinioni possano essere messe in discussione da un tribunale dopo le elezioni. “Non si sa mai, noi birmani abbiamo dimostrato tre volte la nostra volonta' di cambiamento al governo: nel 1988, nel 1990 e nel 2007” spiega uno studente della Yangon University mentre sorseggiamo un boccale di Myanmar Beer assieme ad altri suoi compagni di corso. Poi continua, rivolgendosi a me come rappresentante del mondo occidentale e democratico: “Tutti voi sapete come e' andata a finire. Speravamo in un vostro aiuto, in una mossa dei vostri governi sempre pronti a parlare di democrazia. Vi siete dimenticati di noi. Ora pretendete ancora che, per la quarta volta, esponiamo I nostri corpi ai fucili dei soldati?”
Copyright ©Piergiorgio Pescali

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