Non dimenticare la storia


Als die Nazis die Kommunisten holten, habe ich geschwiegen;
ich war ja kein Kommunist.
Als sie die Sozialdemokraten einsperrten, habe ich geschwiegen;

ich war ja kein Sozialdemokrat.
Als sie die Gewerkschafter holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Gewerkschafter.
Als sie die Juden holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Jude.
Als sie mich holten,
gab es keinen mehr, der protestierte.


Quando i nazisti vennero per i comunisti, io restai in silenzio;
non ero comunista.
Quando rinchiusero i socialdemocratici, rimasi in silenzio;
non ero un socialdemocratico.
Quando vennero per i sindacalisti, io non feci sentire la mia voce;
non ero un sindacalista.
Quando vennero per gli ebrei, non protestai;
non ero un ebreo.
Quando vennero per me, non era più rimasto nessuno che potesse far sentire la mia voce.

(Emil Gustav Friedrich Martin Niemöller; Lippstadt, 14 gennaio 1892 – Wiesbaden, 6 marzo 1984)



S-21 - Nella prigione di Pol Pot

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S-21; un romanzo storico, una narrazione viva e potente che porta il lettore in una struttura detentiva istituita dal regime degli Khmer Rossi, una prigione da cui pochi sono tornati, seppur segnati nel corpo e nello spirito, vivi.

IL CUSTODE DI TERRA SANTA - un colloquio con padre Pierbattista Pizzaballa

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Myanmar: il paese che va alle elezioni (6 novembre 2010)


Il 7 novembre I birmani saranno chimati alle urne per decidere quale parlamento traghettera' il Paese verso un regime piu' democratico. La storia del Myanmar, pero', insegna che tutto quanto si riferisce alla politica, ed in particolare agli interessi dei militari, il condizionale e' d'obbligo. Le ultime elezioni, tenutesi nel 1990 con la vittoria della Lega Nazionale per la Democrazia (LND) di Aung San Suu Kyi, avevano lasciato sperare che la dittatura iniziata nel 1962, fosse terminata. L'improvviso voltafaccia del governo, che annullo' il verdetto popolare, spense le flebili speranze di democrazia. Ogi la situazione sembra lasciare qualche spiraglio di ottimismo: Than Shwe, il numero uno della gerarchia militare, e' vecchio e malato. Le elezioni, codificate da una costituzione approvata nel 2008, saranno il suo salvacondotto per una vecchiaia ricca, pacifica e onorevole. E' proprio nell'uscita di scena di Than Shwe che si ripongono tutte le speranze per l'avvio di una transizione democratica in Myanmar. Gli ufficiali militari piu' giovani, che sino ad ora non hanno avuto alcuna possibilita' di emergere, sembrano piu' interessati a riformare l'intero sistema politico ed economico, piuttosto che a mentenere uno status quo destinato ad emarginare il Paese. Assicurando il 25% dei seggi parlamentari al Tatmadaw (le Forze Armate birmane), qualunque sia l'esito che scaturira' dalle urne, i generali saranno ancora in gradodi controllare la politica nazionale, ecitando “contraccolpi” democratici troppi impetuosi, che rischierebbero di portare la nazione verso l'anarchia sociale. “I birmani non sono ancora pronti a gestire il Paese con la democrazia” ci dice un diplomatico occidentale, che continua: “il rischio e' che il Myanmar cada in uno stato di caos incontrollato simile a quello che ha portato alla dissoluzione della Yugoslavia”. La giunta militare ha comunque gia' ottenuto una piccola vittoria con la spaccatura interna dell'LND tra la fazione che, seguendo le direttive di Aung San Suu Kyi, non partecipera' al voto e chi, invece, ha deciso di infiltrarsi nel varco costituzionale vagamente pluripartitico. “Rifiutando ogni dialogo con la giunta, si avvallera' cio' che i militari hanno sempre sostenuto; e cioe' che sono le forze democratiche birmane ad ostacolare il processo di democratizzazione.” spiega Khin Maung Swe, ex portavoce del LND e fondatore del National Democratic Force, uno dei 37 partiti ammessi alla tornata elettorale. Maung Swe poi continua: “Il voto del 7 novembre non avra' tutte le caratteristiche di un voto democratico, ma per la prima volta dal 1962, I civili potranno entrare a pieno titolo nel governo del Myanmar”. Assieme a Khin Maung Swe, altri esponenti dell'opposizione hanno preferito cogliere l'opportunita' del voto: Kaung Myint Htut, leader del Gruppo 88 che nel 1988 aveva condotto la protesta studentesca contro Ne Win, afferma che il voto sara' “una prova piu' per giunta che per le forze democratiche. I militari puntano tutto sulla buona riuscita di queste elezioni. Vediamo se sapranno mantenere la promessa di un avvio alla democrazia”. Il primo test del nuovo corso politico lo si avra' il 13 novembre, giorno in cui Aung San Suu Kyi dovrebbe essere liberata. Sono in molti, qui a yangon, a sperarlo, anche se molti membri dell'LND hanno espresso il proprio dubbio sulla liberta' di movimento concessa alla Lady: “Una eventuale liberazione di Aung san Suu Kyi sarebbe certamente un passo importante” spiega un alto dirigente del partito, “ma bisognera' vedere sino a che punto I militari garantiranno la liberta' di azione politica e fisica”. La liberazione di Aung San Suu Kyi farebbe parte di un nuovo approccio verso gli USA e l'Occidente, sino adoggi ostacolato in tutti I modi da Than Shwe. Non e' un caso che nel febbraio 2009, Hillary Clinton ha annunciato un ammorbidimento delle sanzioni verso il Myanmar. Gia' nel 2007 l'arcivescovo di Yangon, Mons. Charles Bo, auspicava questa apertura da parte di Washington: “Il boicottaggio verso il nostro Paese” diceva, “danneggia solo la popolazione birmana, consegnando il Myanmar nelle mani della Cina”. Ed e' proprio Pechino che guarda con sospetto il nuovo corso diplomatico. Il Myanmar e' un serbatorio energetico indispensabile per l'economia cinese, che solo negli ultimi sei mesi ha investito nel Paese la bellezza di 8,17 miliardi di dollari, quasi tutti in campo energetico. “A Pechino non interessa quale sia l'esito delle elezioni” analizza Thu Wai, ex prigionierom politico e oggi leader del Democratic Party, “Alla Cina interessa solo che il Myanmar continui ad essere economicamente legato ad essa e che il nuovo governo mantenga la stabilita' nazionale”. La stabilita' regionale e' un problema che sta a cuore a tutti: la frammentazione etnica del Myanmar e' sempre stata vista con paura da qualsiasi governo centrale. Lo stesso Aung San, padre di Aung San Suu Kyi, non ha mai avuto la mano morbida verso le etnie di confine. Gli accordi di cessate il fuoco conclusi dal governo centrale, sono stati rimessi in discussione dalla costituzione, che prevede l-accorpamento dei singoli eserciti etnici in Guardie di Frontiera Armate sotto il comando dell'esercito birmano. L'offensiva del Kokang iniziata nel 2009 ha allarmato la Cina, che si e' vista arrivare in poche settimane 30.000 profughi. C'e' voluta tutta l'abilita' di mediazione di Pechino per riportare la situazione all'apparente stato di normalita'. “E' vero, pero', che la costituzione del 2008 garantisce ai gruppi etnici un'autonomia economica e una rappresentanza politica maggiore di qualsiasi altra costituzione scritta in precedenza” commenta Simon Tha, fisico e candiodato per il Kayin Peoples Party. Le elezioni del 7 novembre, per quanto possano essere manipolate e poco limpide, rappresentano comunque un biglietto da visita per le reali intenzioni della giunta militare verso il futuro del Paese.

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