A sette anni dalla sua ultima detenzione, Aung San
Suu Kyi potrebbe venire liberata oggi. Le notizie che perforano con fatica il
muro di censura costruito dalla giunta militare sono spesso contraddittorie. Da
parte del governo, non c'e' nessuna conferma della liberazione, anzi: la Corte
Suprema birmana ha negato il ricorso in appello presentato di legali della
Lady, reiterando i suoi arresti domiciliari. E' molto probabile che se Than
Shwe firmera' l'atto di rilascio, questo verra' pubblicato solo a liberazione
avvenuta, per evitare assembramenti popolari e manifestazioni di giubilo
imbarazzanti per la Giunta. Nyan Win, portavoce della Lega Nazionale per la
Democrazia ed anche avvocato di Suu Kyi, ha recentemente fatto sapere che la
sua assistita rifiutera' il rilascio se la sua questo dovesse essere
condizionato a limitazioni politiche e di movimento all'interno della nazione.
Nonostante questo, nella sede di Yangon dell'LND si e' riassettato l'ufficio
che dovrebbe ospitare il Segretario Generale, rispolverandone le gigantografie,
illegali in tutto il resto del Paese. Nel frattempo l'intera citta' di Yangon
e' divenuta un fortino blindatissimo: le uniche zone in cui e' possibile
passeggiare senza problemi sono quelle turistiche attorno alla Sule Pagoda, al
mercato Bogyoke Aung San e alla Shwedagon. Le stazioni di treni e bus sono
sorvegliate da militari in assetto antisomossa e a tutti i passeggeri vengono
richiesti documenti che sono controllati con molta piu' minuzia e severita'
rispetto al normale. La University Avenue, forse la strada piu' famosa della
citta', dove sorge la villa in cui e' rinchiusa dal 2003 la leader del movimento
democratico birmano, e' vietata al traffico e nessuno, se non munito di
permesso speciale, puo' avvicinarsi.
L'ambasciata statunitense, un enorme edificio
moderno da poco costruito a poche centinaia di metri dalla residenza di Aung
San Suu Kyi, e' raggiungibile solo per gli stranieri. La militarizzazione di
Yangon, rafforzata ancor piu' in questo frangente rispetto alle elezioni di una
settimana fa, e' il segno tangibile di quanto Than Shwe tema la Signora, figlia
dell'eroe nazione Aung San, fondatore di
quell'esercito birmano di cui Than Shwe oggi
e' a capo. Aung San Suu Kyi non si e' mai fatta imbavagliare, cosa piu' unica
che rara in questo regime dove pronunciare solo le parole democrazia, pace,
giustizia, e' considerato un grave affronto al governo.
Durante un'omelia in una chiesa cattolica, il
sacerdote officiante la messa ha parlato di "Justice and Peace",
giustizia e pace, il motto scelto dalla chiesa birmana per promuovere il suo
impegno sociale: immediatamente dopo e' stato convocato presso l'ufficio locale
di polizia per spiegare il motivo di quelle parole: "Forse che in
Myanmar non vi sia giustizia?" gli e' stato chiesto. Immaginiamoci
allora cosa succederebbe se una leader del calibro di Aung San Suu Kyi, rispettata a
livello internazionale, dovesse iniziare a parlare dei temi a lei sempre cari.
Lei, ha gia' comunque fatto sapere che, nel caso fosse liberata, l'impegno
prioritario che si prenderebbe sarebbe quello di raccogliere prove per mostrare
al mondo intero l'immane imbroglio elettorale orchestrato dalla giunta militare
nelle ultime consultazioni.
Se le elezioni, come hanno fatto notare i membri
dell'ASEAN, sono un passo concreto verso il ristabilimento della democrazia in
Myanmar, le continue ritrattazioni della Commissione Elettorale sui candidati
risultati prima vincitori e poi inspiegabilmente bocciati a favore dei colleghi
del partito filo-militare, hanno mostrato quanto delicato sia ancora il senso
di democrazia nella nazione. Aung San Suu Kyi ha anche fatto sapere ai militari
di non avere alcuna intenzione di trasformarsi in una marionetta da offrire al
mondo per dimostrare che il processo democratico proceda senza intoppi. "La
sua liberta' di azione, di movimento e di parola deve essere totale"
ha fatto sapere Nyan Win, "in caso contrario rifiutera' il
rilascio". Liberta' di movimento significa che intere masse di birmani
si mobiliteranno in quasi tutto il paese per ascoltare direttamente dalla sua
voce, il programma che questa minuta donna di 65 anni ha in mente per il
proprio popolo. Le migliaia di persone che si assiepavano attorno ai palchi
improvvisati per ospitare Suu Kyi, erano uno schiaffo morale e politico per
l'intera giunta birmana che rischia di ripetersi. "Non so se
l'orgoglio di Than Shwe accettera' un'umiliazione cosi' profonda di
fronte a tutto il mondo" afferma una giornalista indipendente birmana.
L'anonimato dietro cui vogliono celarsi la quasi
totalita' delle persone che esprimono la propria opinione, la dice lunga sulla
cappa di paura che opprime il Myanmar. Oltre ad Aung San Suu Kyi, infatti, vi
sono piu' di duemila prigionieri politici che languono nelle prigioni statali e
la Lady ha sempre affermato che i suoi arresti domiciliari sono in realta' una
prigione dorata rispetto a cio' che devono sopportare altri suoi amici e
colleghi incarcerati. Ma l'eventuale apertura dei cancelli del numero 54 di
University Avenue, non sara' solo fonte di festa. Il lavoro politico cui sara'
chiamata assolvere Aung San Suu Kyi, sara' improbo. Oltre al restauro della
democrazia, bisognera' fare i conti con le divisioni all'interno della Lega, evidenti con le frange
scissioniste che hanno deciso di
partecipare comunque alle elezioni trasgredendo i consigli del Comitato
Centrale. Inoltre le nuove leve cominciano a chiedersi cosa abbia portato sino
ad oggi il "muro contro muro". Molti ricordano ancora l'errore
commesso da Aung San Suu Kyi nel 2003, quando venne interrotto il dialogo con
l'unico militare aperto al dialogo, Khin Nyunt. Da quella rottura ebbero tutti
a perdere: Khin Nyunt che venne arrestato da Than Shwe, Aung San Suu Kyi che
torno' agli arresti domiciliari, il movimento democratico che comincio' a
spaccarsi e il popolo birmano che torno' a vedersi governato da una triade
ottusa e insofferente ai suoi bisogni. Infine, Aung San Suu Kyi sara' chiamata a
ritessere i legami con le minoranze etniche, in gran parte insofferenti verso
ogni leader birmano, Suu Kyi inclusa. I conflitti in atto in questi giorni
lungo il confine thailnadense e quelli del Kokang nel 2009, hanno messo in
evidenza che gli stati etnici, con i loro eserciti privati e le loro economie
autonome, non accetteranno mai alcuna imposizione dal governo centrale. Il
Myanmar, e questo il Premio Nobel per la Pace lo sa, non potra' mai fare a meno
dei militari per continuare a sopravvivere.
Il compito di Aung San Suu Kyi sara' proprio quello
di costruire un nuovo assetto in cui militari e civili possano cooperare
assieme.
E questo non si sa quanto possa essere accettato dai
55 milioni di birmani.
Copyright ©Piergiorgio Pescali
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