Non dimenticare la storia


Als die Nazis die Kommunisten holten, habe ich geschwiegen;
ich war ja kein Kommunist.
Als sie die Sozialdemokraten einsperrten, habe ich geschwiegen;

ich war ja kein Sozialdemokrat.
Als sie die Gewerkschafter holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Gewerkschafter.
Als sie die Juden holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Jude.
Als sie mich holten,
gab es keinen mehr, der protestierte.


Quando i nazisti vennero per i comunisti, io restai in silenzio;
non ero comunista.
Quando rinchiusero i socialdemocratici, rimasi in silenzio;
non ero un socialdemocratico.
Quando vennero per i sindacalisti, io non feci sentire la mia voce;
non ero un sindacalista.
Quando vennero per gli ebrei, non protestai;
non ero un ebreo.
Quando vennero per me, non era più rimasto nessuno che potesse far sentire la mia voce.

(Emil Gustav Friedrich Martin Niemöller; Lippstadt, 14 gennaio 1892 – Wiesbaden, 6 marzo 1984)



S-21 - Nella prigione di Pol Pot

S-21 - Nella prigione di Pol Pot
S-21; un romanzo storico, una narrazione viva e potente che porta il lettore in una struttura detentiva istituita dal regime degli Khmer Rossi, una prigione da cui pochi sono tornati, seppur segnati nel corpo e nello spirito, vivi.

IL CUSTODE DI TERRA SANTA - un colloquio con padre Pierbattista Pizzaballa

IL CUSTODE DI TERRA SANTA - un colloquio con padre Pierbattista Pizzaballa
FESTIVAL FRANCESCANO 2014 - Rimini, piazza Tre Martiri,SABATO 27 SETTEMBRE - ORE 15.00 Presentazione del libro Il Custode di Terra Santa

INDOCINA - Un libro, una saggio, una guida per chi vuole approfondire

INDOCINA - Un libro, una saggio, una guida per chi vuole approfondire
Per ordinarne una copia: 3394551575 oppure yasuko@alice.it
© COPYRIGHT Piergiorgio Pescali - E' vietata la riproduzione anche parziale senza il consenso dell'autore

Aung San Suu Kyi (Settembre 2007)


Gli U2 le hanno dedicato una canzone (Walk on), ma lei non l’ha mai potuta sentire direttamente perché il governo ha censurato il pezzo; ha vinto un Premio Nobel per la Pace (nel 1991), ma non le è stato permesso di ritirarlo personalmente; suo marito, Michael Arris è morto nel 1999, ma non ha voluto assistere ai suoi funerali perché le sarebbe stato impedito il ritorno in patria. E lei, Aung San Suu Kyi, la combattiva donna birmana ama il suo popolo quanto se stessa. Anzi, forse più di se stessa, come dimostrano i tre avvenimenti appena descritti, al punto di sacrificare anche la sua famiglia, compresi i due figli, per la lotta contro l’oppressione e l’ingiustizia. La vocazione dell’eroina, Aung San Suu Kyi l’ha nel sangue, ereditata direttamente dal padre, Aung San, che dopo aver guidato la guerra d’indipendenza contro i britannici, morì assassinato nel 1947 senza poter veder ammainare la Union Jack dalla Birmania e lasciando la moglie, Ma Khin Kyi, sola ad allevare la figlia di due anni. Dopo la gioventù trascorsa in India assieme alla madre, nominata ambasciatrice del nuovo stato birmano, Suu Kyi si laurea ad Oxford in Filosofia ed Economia, dove conosce il futuro marito che sposa nel 1972, stabilendosi nella cittadina inglese. Sarà l’aggravarsi della salute della madre a indurre Aung San Suu Kyi a rientrare in Birmania nel 1988 e il DNA paterno prende immediatamente il sopravvento, inducendo la donna birmana ad esporsi personalmente contro il regime militare fondando la Lega Nazionale per la Democrazia (LND). Guidati dalla figlia di Aung San, milioni di birmani ritrovano il coraggio di contestare i generali e di votare contro di loro nelle elezioni del 27 maggio 1990. Sorpresi di tanta determinazione, i militari annullano le consultazioni, ma fanno esplodere l’indignazione del mondo. Boicottaggi, manifestazioni, embarghi, proteste ufficiali piovono sui generali i quali, però, non si piegano. La Birmania, oggi rinominata Myanmar, è una nazione in cui le componenti tribali hanno una forte tendenza centrifuga e solo un esercito forte e ben armato, assieme a favorevoli accordi economici concessi ai vari leaders etnici, sono riusciti ad evitare la disgregazione. «Dopotutto anche lei è una barman, una birmana» mi ha detto un leader Karenni scuotendo la testa, sottolineando la sfiducia che regna tra gli stati del nord sull’abilità di Aung San Suu Kyi di porre fine al decennale conflitto. E lei, donna forte, idealista, ma anche pragmatica, già nel 1996, anno in cui per la prima volta la incontrai e intervistai, non escludeva un’alleanza con i militari, senza il cui appoggio non sarebbe possibile governare il Myanmar. «Penso sia possibile avere un governo democratico con l’appoggio dell’esercito se solo si eliminassero i vecchi generali che hanno governato la Birmania fino ad oggi». L’atteggiamento di sfida usato da Aung San Suu Kyi, donna intelligente e integerrima, non è condiviso da tutto il partito. Ma lei sa che chi è al potere deve fare delle scelte. E le scelte, si sa, qualunque esse siano, portano a crearsi dei nemici.


Copyright ©Piergiorgio Pescali

Nessun commento: