La
partecipazione della Lega Nazionale per la Democrazia e della sua leader, Aung
San Suu Kyi, alle elezioni suppletive del prossimo aprile, è, per molti, una
dimostrazione sulla reale volontà di democratizzazione intrapresa dal nuovo
governo di Thein Sein. La visita di Hillary Clinton a Yangon e Nay Pyi Taw lo
scorso dicembre, ha segnato l’inizio di una nuova fase di relazioni
diplomatiche ed economiche tra Stati Uniti e Myanmar. A ruota si sono allineati
anche i governi della Comunità Europea, che hanno tolto il veto di visto a
numerosi esponenti del regime militare. L’amministrazione Obama ha allentato
anche la morsa sull’embargo imposto alla giunta militare che, nella realtà dei
fatti, si è dimostrato controproducente sia per il popolo birmano, che ne ha
subito le pesantissime conseguenze, sia per la politica internazionale. E’
stata, difatti, la Cina a beneficiare maggiormente della politica
sanzionatoria, trasformando il Myanmar in una sorta di forziere personale da
cui attingere le ricchissime risorse naturali: petrolio, gas naturale, pietre
preziose, legname, energia idroelettrica. Più volte, intellettuali e
organizzazioni umanitarie impegnate all’interno del Paese avevano denunciato la
scarsa utilità dell’embargo costato, secondo uno studio statunitense, 60-80.000
posti di lavoro solo nell’industria tessile. Non è un caso, infatti, che le
voci più favorevoli alle sanzioni provenivano dall’estero. La crisi economica
mondiale e la continua ricerca di nuovi sbocchi per i mercati, ormai saturi,
hanno contribuito a sdoganare il governo birmano. Pechino, se da una parte
guarda con interesse la fase di apertura politica di un vicino con cui condivide
caratteristiche etniche, dall’altra è preoccupato per l’invasione di nuovi
concorrenti, specie indiani e americani. Lo scorso settembre, proprio quando
Washington e Nay Pyi Taw stavano trattando i termini della visita di Hillary
Clinton, Thein Sein ha sospeso i lavori della diga di Myitsone che, con i suoi
3,6 miliardi di dollari, rappresentava il più grande investimento cinese in
terra birmana. Al tempo stesso concludeva un accordo con l’India per lo
sviluppo del porto di Sittwe. Da parte loro, le aziende europee sono già pronte
ad investire nell’economia vergine del Myanmar. Aspettando accordi più
sostanziosi per lo sviluppo di servizi e trasporti, aziende come la francese
Total e l’americana Chevron, che non hanno mai ubbidito al divieto dei loro paesi
nel fare affari con la giunta birmana, stanno ampliando i loro accordi
sull’estrazione off-shore di gas naturale. La stessa Thailandia, che dipende
per il 25% del suo fabbisogno energetico dalle riserve birmane, si sta proponendo
con maggior forza sul mercato energetico del Myanmar. Nel frattempo i tour
operator stanno preparandosi ad invadere la nazione. Numerosi imprenditori
hanno già firmato contratti per la costruzione di mega strutture nei posti più
suggestivi: dalle spiagge incontaminate di Chaung Tha e Ngapali, ai
delicatissimi siti archeologici di Bagan e Mrauk-U. Il pericolo è di
trasformare il Myanmar in una seconda Cambogia o Thailandia, importando in
questa terra le piaghe di un turismo poco rispettoso dei valori tradizionali e,
soprattutto, della dignità delle persone.
© Piergiorgio Pescali
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