1. Introduzione: le elezioni, il giro di boa
(nonostante tutto)
Le elezioni del 7
novembre 2010, nonostante la significativa defezione dell’NLD (National League for Democracy) e i
clamorosi brogli a favore dell’USDP (Union
Solidarity and Development Party), hanno segnato una nuova alba per la
democrazia birmana.
Sebbene da più parti
si continui a dubitare delle reali intenzioni riformiste della nuova dirigenza,
dai governi dell’Unione Europea, degli Stati Uniti e del Giappone si sono
levate parole di speranza e di approvazione verso la politica adottata da Thein
Sein, il nuovo presidente birmano. Ciò che comunque risulta importante, sono i
sempre più frequenti segnali di cauto ottimismo che giungono direttamente dal
Myanmar, in particolare dalla stessa Aung San Suu Kyi. Dal giorno della sua
liberazione, il 13 novembre 2010, la «Lady» non sembra aver subito, almeno fino
alla chiusura di questo scritto (31 dicembre 2011), quelle temute restrizioni
nelle attività politiche profetizzate dai suoi sostenitori; anzi, la sua
libertà di movimento e di azione è sicuramente superiore a quanto si potesse
supporre alla vigilia della liberazione.
Cantare vittoria è,
ad ogni modo, ancora troppo presto: il Myanmar è appena agli inizi di quella
trasformazione politica, economica e sociale che, se attuata, segnerà il
ritorno al pluralismo e la proietterà al di fuori dal limbo in cui essa stessa
si è ritratta. Ancora tante, forse troppe, sono le incognite che potrebbero far
deragliare il treno della democrazia, ma il 2011 è stato sicuramente l’annus mirabilis
per questa nazione.
2. Thein Sein: da primo ministro a presidente
Il nuovo parlamento
del Myanmar il 4 febbraio 2011, eleggeva con una maggioranza di 405 voti, l’ex
generale Thein Sein presidente dell’Unione del Myanmar [NLM 5 febbraio 2011,
«Meeting of Group of Pyidaungsu Hluttaw representatives-elect of Presidential
Electoral College held», p. 7]. Ciò che poteva far presagire un’apertura futura
del governo birmano alle istanze democratiche, non era tanto la scelta del
moderato Thein Sein quanto, piuttosto, la non elezione del suo rivale: il
generale in pensione «Thiha Thura» Tin Aung Myint Oo, delfino di Than Shwe e
leader della linea dura del Tatmadaw (l’esercito del Myanmar). Il posto di
primo ministro, ricoperto da Thein Sein nel precedente gabinetto, aveva fatto
credere a molti che il neo presidente non fosse altro che una «marionetta» messa
al suo posto da Than Shwe per poter controllare dall’esterno le future mosse [TI
25 febbraio 2011 «Burma’s President-Elect: A Clever Puppet?»]. È stato lo
stesso Than Shwe a sciogliere, il 30 marzo, l’SPDC (State Peace and Development Council), inaugurando ufficialmente
l’era di un governo civile birmano dopo quasi sessant’anni di dittatura
militare e ritirandosi in pensione [RUM 2011a]. Il giorno stesso veniva
notificato il nuovo gabinetto, formato da 34 ministeri [RUM 2011b].
Nel suo discorso di
insediamento, Thein Sein lasciava
trasparire i primi indizi di sostanziali riforme, in particolar modo la
necessità di «promulgare leggi per scuole private» e la cooperazione con
«organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite, le INGO e le NGO» [NLM 31 marzo 2011, «We have to strive
our utmost…», p. 5].
Esaltava, però, al
tempo stesso le repressioni del «1988, [quando] il governo del Tatmadaw salvò
il paese dalle condizioni di deterioramento che si registravano in vari
settori, contribuendo a ricostruire la nazione» [ibidem, p. 1]. Un chiaro ammiccamento verso i militari senza i
quali, sia ben chiaro, il governo e l’unità del Myanmar sarebbero ancora
impossibili, ma che ha gettato delle oscure ombre sulle reali intenzioni di
cambiamento di Thein Sein. Vale la pena di ricordare che le manifestazioni
dell’agosto del 1988 contro le riforme economiche e politiche, varate dal
regime di New Win, erano state represse nel sangue, causando poche centinaia di
vittime, secondo il governo, e centinaia di migliaia, secondo le fonti più
accreditate.
L’impronta che il
neo primo ministro ha voluto dare alla sua gestione è più tecnica e meno politica:
Mya Aye, il nuovo ministro dell’Istruzione, è un ex rettore universitario,
mentre Pe Thet Khin, a capo del dicastero della Salute, è un dottore ed ex
rettore della Facoltà di Medicina della Yangon University. Sebbene l’NLD non
sia rappresentato in parlamento, il presidente, in una significativa mossa di
apertura verso l’opposizione, ha comunque chiamato U Myint, consigliere
economico di Aung San Suu Kyi, a presiedere il Comitato di Consulenza Economica
[W/DVB 28 aprile 2011, «Presidential
‘advisors’ raise eyebrows»].
3. I cento giorni oscuri e la svolta
Per
più di tre mesi (dall’aprile al giugno 2011), la nuova dirigenza birmana ha
agito nell’ombra e ben poche notizie trapelavano dai filtri della censura. Il
motivo di questo silenzio era dovuto alla ricerca di un nuovo equilibrio nell’inedito
assetto politico del governo. L’ex numero uno del Myanmar, il generale Than
Shwe, ben sapendo la fine poco gloriosa riservata ai suoi predecessori (Ne Win
e Khin Nyunt sono stati posti agli arresti domiciliari), si è protetto da
eventuali ritorsioni ponendo suoi accoliti in alcuni posti chiave del nuovo
direttorio. Oltre ad aver occupato la vice presidenza con il già citato «Thiha
Thura» Tin Aung Myint Oo, Than Shwe ha eletto a capo delle forze armate Min
Aung Hlaing, che nel 2009 si era distinto nel guidare il Tatmadaw contro i
ribelli del Kokang. La nomina di Min Aung Hlaing, considerato moderato, è
comunque temporanea, dato che nel 2016, con il raggiungimento del pensionamento
obbligatorio, dovrà abbandonare il posto di comando. I tre mesi di limbo sono
quindi serviti a riequilibrare i nuovi poteri createsi nel paese, resi ancora
più instabili da un parlamento formalmente multipartitico.
Durante questo
periodo, Thein Sein si è premurato di tessere legami con le potenze estere per
rafforzare la sua posizione interna. La
Cina ha continuato, e continua tuttora, a rappresentare la
pedina più importante per la stabilità governativa. La prima delegazione
straniera ad incontrare il presidente birmano è stata proprio quella di Pechino,
cortesia ricambiata da Thein Sein, poco più di un mese dopo, con la sua prima
visita ufficiale nella Repubblica Popolare Cinese [TCP 4 aprile 2011, «PRC
delegation first to meet new Myanmar premier»]. Ma la novità del nuovo governo
è l’apertura mostrata verso paesi sino ad allora considerati ostili, se non
addirittura nemici.
Da maggio a luglio
il governo di Nay Pyi Taw ha incontrato delegazioni australiane, della Comunità
Europea e statunitensi, tra cui una guidata dal senatore repubblicano John
McCain, accanito sostenitore di Aung San Suu Kyi e instancabile detrattore del
governo birmano. Tutte le delegazioni hanno riconosciuto i progressi sulla via
della democrazia, ma hanno comunque chiarito che «ogni sviluppo nelle relazioni
dovrà essere costruito non solo a parole, ma su azioni concrete» [McCain 2011].
La risposta di Nay
Pyi Taw è stata pressoché immediata: il 19 luglio, giorno dedicato alla
commemorazione dei martiri, per la prima volta da nove anni ad Aung San Suu Kyi
è stato permesso di ricordare pubblicamente l’anniversario dell’assassinio di
suo padre, Aung San, di fronte ad una folla di tremila persone [W/NLD 19 luglio
2011, «Dichiarazione n. 13/07/11»]. Pochi giorni dopo, il 25 luglio, la leader
dell’NLD ha incontrato il ministro del Lavoro e del Welfare Aung Kyi, che, nel
governo precedente, guidava lo speciale «ministero per le relazioni con Daw
Aung San Suu Kyi», cioè svolgeva ufficialmente il ruolo di mediatore fra il
regime e Aung San Suu Kyi [W/DVB 25 luglio 2011, «Govt and Suu Kyi’s
‘satisfied’ with talks»]. L’incontro si
è poi ripetuto il 12 agosto con un comunicato congiunto in cui le due parti si
impegnavano a «cooperare per raggiungere la stabilità dello stato e lo sviluppo
sociale secondo le esigenze e i desideri del popolo» [NLM 13 agosto 2011,
«Press Release», p. 13].
Due giorni dopo,
Aung San Suu Kyi si recava, assieme al vice presidente dell’NLD, U Tin Oo, a
Bago, per il suo primo viaggio politico dopo la liberazione [W/NLD 15 agosto
2011, «Daw Aung San Suu Kyi’s trip successful…»].
Da questo momento,
le riforme politiche e ideologiche del governo birmano si sono fatte sempre più
frequenti e convincenti: a partire dal 16 agosto dal «New Light of Myanmar», il
quotidiano espressione della linea ufficiale del governo birmano, sono state
tolte le frasi di propaganda e le invettive contro i giornali e le agenzie di
informazione straniere (in particolare la BBC e la
CNN ), mentre, il 17 agosto, Thein
Sein, affermava ufficialmente che «i cittadini del Myanmar che vivono
all’estero per diverse ragioni, possono rientrare in patria se non hanno
commesso crimini. Per i cittadini che hanno commesso un crimine e che ora
vivono in un paese straniero, se torneranno in patria verrà concessa loro
clemenza» [NLM, 18 agosto 2011, «Individual and organization…», p. 8]. Di questa amnistia hanno approfittato
diversi esuli politici, rientrati nel Myanmar dopo anni di esilio. Lo stesso
Harn Yawnghwe, direttore dell’Euro Burma Office di Bruxelles, dopo aver
effettuato un viaggio in forma privata in Myanmar, ha detto di aver trovato
«un’atmosfera migliore di quanto mi fossi aspettato» [TI 10 novembre 2011, «An
Exile Returns»].
4. Il ritorno di Aung San Suu Kyi
Lo storico incontro
tra Aung San Suu Kyi e il presidente Thein Sein, avvenuto il 19 agosto, ha
decretato il definitivo ritorno del premio Nobel per la Pace alla vita politica
attiva nel Myanmar. Ricevendo la «Signora» nella sua villa assieme alla moglie,
Thein Sein non solo ha riconosciuto nella leader dell’NLD un valido
interlocutore, ma anche un possibile alleato contro gli elementi conservatori
che ancora potrebbero ostacolare le riforme da lui messe in atto. Significativa
è la fotografia con cui il «New Light of Myanmar» ha illustrato l’incontro:
alle spalle dei due protagonisti campeggiava il ritratto di Aung San, tornato
ad essere l’eroe della patria dopo che Than Shwe aveva cercato di offuscarne la
memoria e l’importanza storica [NLM 20 agosto 2011, «President U Thein Sein,
Daw Aung San Suu Kyi vow to cooperate for national interest» p. 9].
Thein Sein si è
anche detto disponibile a lavorare anche con quelle forze che non approvano la
costituzione redatta nel 2008 [RFA 22 agosto 2011, «Suu Kyi, President Reach
‘Agreement’»,].
In settembre la
stessa Aung San Suu Kyi ha potuto scrivere, per la prima volta dopo 23 anni, un
suo articolo su un giornale birmano, il «Pyithu Khit News Journal», e una sua
intervista è stata pubblicata sul settimanale «The Messenger», diretto da Zaw
Min Aye, figlio dell’ex generale Tin Aye, presidente dell’Union Election Commission
[TM 5 settembre 2011, «Intervista a Daw Aung San Suu Kyi»]. La pubblicazione
degli articoli su Aung San Suu Kyi è stata seguita dallo sblocco dei siti
internet stranieri, che ha permesso ai birmani di leggere le notizie di agenzie
o siti considerati ostili al regime, come BBC, Reuters, Radio Free Asia,
Irrawaddy, Democratic Voice of Burma, YouTube, e Voice of America [RWB 20
settembre 2011, «Many news websites unblocked, but 17 journalists and three
netizens still held»]. Ciononostante, la censura nella stampa del Press
Scrutiny and Registration Department, rimane ancora restrittiva in un paese
dove i giornali sono strettamente legati al governo.
Ma la vera svolta è
avvenuta il 18 novembre, quando l’NLD ha annunciato l’intenzione di rientrare
nella politica birmana, costituendosi partito riconosciuto all’interno della
costituzione della nazione [NLD, 18 novembre 2011, «Central Committee Special
Statement»]. La scelta ha innescato una serie di reazioni e di conseguenze rivoluzionarie
per il futuro del Myanmar, tra cui lo scioglimento di alcune fra le principali
storiche organizzazioni d’opposizione al governo ufficiale birmano. Alla fine di novembre hanno quindi cessato di esistere
l’NCGUB (National Coalition Government of
the Union of Burma), l’MPU (Members
of Parliament Union-Burma), l’NLD-LA (National
League for Democracy-Liberated Area) e l’NCUB (National Council of the Union of Burma) [W/M 28 novembre 2011,
«Foreign-based dissident organizations reorganizing their missions»].
Al tempo stesso, il
rientro della legalità dell’NLD ha aperto ad Aung San Suu Kyi la possibilità di
partecipare attivamente alla vita politica del Myanmar, candidandosi alle
elezioni suppletive del 2012, quando si dovranno tenere le elezioni in 48 seggi
lasciati liberi dai membri parlamentari che sono stati reclutati nel nuovo
governo di Thein Sein [NLD 18 novembre 2011, «NLD’s Central Committee Meeting
Held»].
5. Il ritorno delle democrazie occidentali
Le aperture del
governo hanno condotto le democrazie occidentali, in primo luogo gli Stati
Uniti, a rivedere, almeno in parte, la politica nei confronti del Myanmar.
Il momento più
importante di questa distensione è stata la visita del Segretario di Stato
Hillary Clinton a Nay Pyi Taw e Yangon, annunciata (non a caso) da Barak Obama
lo stesso giorno in cui l’NLD ratificava la sua decisione di partecipare alle
elezioni suppletive [W/TWH]. Nei tre giorni di viaggio in Myanmar (30
novembre-2 dicembre), Clinton ha incontrato sia Thein Sein che Aung San Suu
Kyi. La visita, più che tentare di riprendere un dialogo interrotto da decenni
di tensioni, è stata un segnale lanciato dalla Casa Bianca alla Cina e alla
Corea del nord, affinché non interferissero nella vita economica, politica e
militare del Myanmar, ora che Washington sta riannodando i fili con Nay Pyi
Taw. «Essere amici di un [paese] non significa non esserlo con altri. Dal
nostro punto di vista, non vediamo questo [dialogo] alla luce di una
competizione con la Cina »,
ha dichiarato in modo piuttosto sibillino Clinton, cautelandosi nei confronti
delle possibili reazioni da parte del gigante asiatico. [W/DS].
Per quanto riguarda l’allentamento
delle sanzioni, dopo aver asserito di non sapere «se il sentiero verso la democrazia
[imboccato dal governo] sia irreversibile o no», il segretario di Stato americano
ha comunque accettato che l’FMI (Fondo Monetario Internazionale) e la Banca Mondiale
iniziassero a condurre studi per la riduzione della povertà e per lo sviluppo
delle zone rurali. Una «concessione» significativa, che lasciava presagire
fiducia e cauto ottimismo da parte di Washington verso la classe dirigente
birmana. Del resto, è stata la stessa NLD a chiedere ai paesi occidentali di
verificare la possibilità di una revisione delle sanzioni in atto verso la
nazione birmana [NLD 8 febbraio 2011, «Sanctions on Burma: A Review»].
L’insostenibilità della politica di penalizzazione economica, voluta in primo
luogo dagli Stati Uniti, ha portato il Myanmar ad un pericoloso avvicinamento alla
Cina, mentre il boicottaggio economico ha causato la perdita di 60-80.000 posti
di lavoro nell’industria tessile, la principale del paese [Rarick 2006, pp. 60-63;
Kurlantzick 2011, p. 3]. Inoltre, la crisi che attanaglia le economie dei paesi
industrializzati ha imposto una drastica revisione delle politiche «umanitarie»,
per permettere l’apertura di nuovi mercati, specie se ancora poco sfruttati
come quello birmano.
Gli sviluppi
riscontrati nel 2011 hanno indotto anche i paesi membri dell’ASEAN (Association of Southeast Asian Nations)
a ritirare i veti sulla candidatura del Myanmar alla presidenza dell’ASEAN
Summit del 2014, un anno prima delle prossime elezioni generali birmane [ASEAN,
p. 39]. L’evento non è importante tanto per il prestigio riconosciuto al paese
ospitante, quanto per il fatto che al Summit partecipano le rappresentanze
della diplomazia internazionale. Senza l’approvazione dei maggiori capi di
stato, tra cui Barack Obama (presente a Bali proprio il giorno in cui veniva
ratificata la presidenza a Nay Pyi Taw), sarebbe stato difficile per le nazioni
dell’ASEAN concedere l’onore a Thein Sein.
6. I diritti umani e i conflitti etnici
Il principale motivo
di preoccupazione, in vista di un definitivo coinvolgimento delle democrazie
occidentali con il governo birmano, rimangono le voci sulle violazioni dei diritti
umani. Nel paese 1.995 prigionieri
politici languono nelle carceri (1.638 secondo altre fonti) e il Tatmadaw reprime
ancora con le armi le richieste autonomiste delle minoranze etniche, impedendo
loro una vita priva di tensioni e di intimidazioni [W/UN, p. 11; W/AAPP, p. 1].
Il rappresentante
per le Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani in Myanmar, Tomas Ojea
Quintana, ha potuto recarsi nel paese asiatico molte volte dall’agosto 2011,
ottenendo il permesso di visitare anche la prigione di Insein [W/UN, p. 13]. L’ispezione
ha evidenziato gravi violazioni dei diritti basilari dei prigionieri.
Il governo, in una
delle sue periodiche amnistie, il 12 ottobre ha liberato 6.359 prigionieri, di
cui 207 politici (secondo la NLD
solo 184) [W/AAPP 2011b, p. 1; NLD 13 ottobre 2011, «Some political prisoners
released»]. Nonostante i plausi internazionali, l’amnistia ha sempre fatto
parte dei programmi di tutti i governi birmani. Nella lista dei prigionieri
rilasciati non figura U Gambira, il giovane monaco buddista che, nel 2007, era
stato tra gli organizzatori delle manifestazioni represse da Than Shwe. Il
comico satirico Zarganar, il più famoso tra i prigionieri a cui sono state
aperte le porte della cella, prendendo spunto dalla detenzione di Gambira, così
come da quella di altri attivisti politici, ha dichiarato di non credere che in
Myanmar ci siano dei cambiamenti in atto: «Aunty [Aung San Suu Kyi] ha detto
che stiamo avviandoci verso un cambiamento […]. Io non sono convinto e avrò dubbi
sulle cosiddette riforme fino a quando tutti i prigionieri [di coscienza] non
saranno rilasciati» [DVB 13 ottobre 2011, «Zarganar: ‘Use my life as a
deposit’»].
Resta comunque il
fatto che «il nuovo governo ha rafforzato diversi punti verso [il miglioramento]
della situazione dei diritti umani» [W/UN, p. 2], istituendo anche la Myanmar National
Human Rights Commission, il cui presidente è Win Mra, di etnia Rakhine, e il
suo vice, il musulmano U Khin Maung Lay [RUMc].
Il coinvolgimento di
esponenti delle minoranze etniche nella commissione per i diritti umani ha
voluto enfatizzare la volontà già espressa da Thein Sein nel suo discorso
inaugurale, di aprire un dialogo con le componenti etniche del Myanmar.
Contrariamente a
quanto era stato proclamato dal precedente governo dominato dai militari
dell’SPDC, il neo presidente ha ritirato la richiesta di trasformare gli
eserciti delle singole etnie in Guardie di Frontiera sotto il comando del Tatmadaw,
sperando di trovare consenso nelle aree periferiche del paese.
Questa iniziativa,
però, non ha evitato che, tra il giugno e il luglio 2011, scoppiassero furiosi
combattimenti prima con il KIO (Kachin
Independence Organization) e, in seguito, con l’SSAS (Shan State Army South), che si aggiungevano a quelli già in corso
con l’UWSA (United Wa State Army), il
NDAA-Mongla (National Defence Alliance Army-Mongla)
e la 5th Brigade DKBA (Democratic Karen
Buddhist Army).
Nel tentativo di
riprendere i negoziati, nell’agosto 2011, il governo birmano ha fatto sapere
che avrebbe intrapreso colloqui di pace con i singoli eserciti etnici, facendo
chiaramente intendere di aver abbandonato la politica di un accordo di pace «globale»
a livello nazionale, tanto osteggiata dalle autorità etniche.
La decisione sembra
sia stata parzialmente vincente: nel giro di tre mesi (settembre-novembre
2011), delegazioni governative hanno stretto accordi e armistizi prima con
l’UWSA, il NDAA-Mongla [NLM 9 settembre 2011, «Shan State Government, ‘Wa’
Special Region (2) sign initial peace agreements», p. 16; 9 settembre 2011, «Shan State Government, Mongla Special Region (4) sign initial peace
agreements», p. 16] e la 5th Brigade DKBA e poi con lo Shan State Army South,
il Chin National Front e la
Karen National Union. Contemporaneamente, a Ruili, nello
Yunnan, si conducevano colloqui con il KIO, con cui il Tatmadaw aveva iniziato
un sanguinoso conflitto il 9 giugno, causando la fuga di 15.000 civili dalle
zone di guerra [W/UN, p. 9].
Basta leggere le
innumerevoli sigle degli eserciti coinvolti nei colloqui con il governo
centrale di Nay Pyi Taw (e sono solo la minima parte delle decine dei gruppi
armati in lotta nel Myanmar), per individuare la complessità della questione
etnica presente nel paese.
A questo si
aggiungano, inoltre, i delicati equilibri di potere internazionali correlati
alle singole nazioni etniche e la spinosa questione dei diritti umani negati
sia dall’una che dall’altra parte; si otterrà così un puzzle di straordinaria
complessità, che ogni paese, per quanto democratico possa essere, farebbe
fatica a risolvere.
Le violazioni dei
più elementari diritti sono frequenti da entrambe le parti, come evidenziato
dalle organizzazioni umanitarie: «i militari birmani sono responsabili di abusi
contro civili nelle aree di conflitto, incluso l’utilizzo di lavoro forzato,
uccisioni extragiudiziarie ed espulsione forzata della popolazione. I gruppi
etnici armati sono stati coinvolti in seri abusi come il reclutamento di
bambini soldato, l’esecuzione di prigionieri di guerra birmani e l’uso
indiscriminato di persone per la bonifica di campi minati nelle aree civili» [HRW,
p. 1].
È in atto, comunque,
un tentativo di apertura culturale da parte del governo centrale: dopo aver
varato, il 27 gennaio, la
Myanmar Special Economic Zone Law per garantire lo
sviluppo locale delle comunità etniche, Thein Sein ha accordato alle scuole
statali l’insegnamento delle lingue e delle culture locali.
7. Le riforme economiche
Anche in campo
sindacale, il governo ha imboccato la strada della liberalizzazione,
rimpiazzando il Trade Unions Act del
1962 (che, di fatto, vietava ai lavoratori birmani di riunirsi in associazioni
per la difesa dei loro diritti), con una nuova legge che garantisce il riconoscimento
delle organizzazioni sindacali ed il diritto di sciopero [RUMc]. La nuova
legislazione, assieme al decreto che consente ai birmani di organizzare
manifestazioni di protesta, permetterà alle compagnie straniere di investire
con una maggiore tranquillità etica nella ricca (di materie prime) nazione
asiatica.
La propensione mostrata
da Thein Sein ad ascoltare la voce del popolo, del tutto nuova nel Myanmar dei
militari, ha portato, il 30 settembre, a sospendere temporaneamente (fino al
2015) i lavori di costruzione della tanto contestata diga di Myitsone, nel nord
del paese [NLM 1° ottobre 2011, «The goverment is elected by the people, and it
has to respect people’s will»]. La decisione ha avuto enorme eco sulla stampa
internazionale e la stessa Aung San Suu Kyi ha elogiato la scelta del governo [NLM
1° ottobre 2011, «Questions and answers»].
La sospensione dei
lavori della diga sull’Ayeyawady, va ben oltre il senso di democrazia espresso
dal governo. Il progetto, infatti, era finanziato dalla China Power Investment
Corporation di Lu Qizhou, un imprenditore cinese strettamente legato al Partito
Comunista Cinese e, con una spesa di 3,6 miliardi di dollari, sarebbe stato il
più grande investimento di Pechino in Myanmar [KDNG 2011, «Damming the
Irrawaddy», p. 12]. Lo smacco per il governo cinese è stato evidente e molti
sono stati coloro che hanno ravvisato nella mossa di Thein Sein un percorso di
smarcamento dalla dipendenza economica verso il vicino e, al tempo stesso, un
segnale di apertura verso Washington.
Da parte cinese il
voltafaccia di Nay Pyi Taw è stato un’umiliazione non solo per la perdita di
prestigio internazionale, ma anche per le pesanti conseguenze economiche che
esso rappresenta. Il 90% dei 3.200 megawatts di energia che la centrale
idroelettrica di Myitsone avrebbe prodotto sarebbero, difatti, stati assorbiti
dalla Cina [KDNG, p. 11].
Se Lu Qizhou ha
addossato alle organizzazioni non governative straniere la responsabilità di
aver spinto il governo birmano a prendere una decisione così drastica [W/CPIC
2011], Thein Sein ha spiegato che il blocco del progetto sarebbe dovuto alle
devastanti conseguenze naturali ed umane che comporterebbe la sua realizzazione
[NLM 1° ottobre 2011, «The goverment is elected by the people...»].
Un’osservazione che nessuno, nei precedenti governi, avrebbe osato fare.
L’apertura del
governo ad altri investitori si è concretizzata con una serie di accordi con
l’India, la principale potenza economica rivale della Cina in Myanmar. Thein
Sein sembra voler equilibrare la presenza delle due nazioni nel paese,
attualmente fortemente sbilanciata a favore di Pechino (il commercio con la Cina è pari a 4,7 miliardi di
dollari, mentre quello con l’India di 1,28 miliardi di dollari [MoC]).
La visita di Thein
Sein a Delhi del 12 ottobre si è conclusa con una serie di accordi tra le due
nazioni. Al Myanmar l’India ha concesso un prestito di 500 milioni di dollari
per lo sviluppo di progetti d’irrigazione, mentre alla Essar Group sono stati
definitivamente assegnati i lavori per lo sviluppo del porto di Sittwe [EG 14
maggio 2010, «Essar wins prestigious infrastructure project in Myanmar»].
Naturalmente Pechino
continua a rappresentare il maggior partner commerciale per Nay Pyi Taw:
nessuna delle due economie può fare a meno dell’altra. Al Myanmar serve la
tecnologia cinese, mentre alla Repubblica Popolare le riserve petrolifere
birmane, stimate sui 3,2 miliardi di barili, sono indispensabili per lo
sviluppo della sua economia [W/BP 2010]. Inoltre, fino a che al Myanmar sono
preclusi gli accessi ai fondi delle istituzioni monetarie internazionali per
via delle sanzioni, la Cina
è l’unico finanziatore disponibile.
Assieme a Bangkok,
Pechino è il principale investitore petrolifero nel Myanmar; l’8 ottobre la China National
Petroleum Corporation ha iniziato a costruire la quarta sezione dell’oleodotto
e del gasdotto che, nel maggio 2013 dovrebbe trasportare 22 milioni di
tonnellate di petrolio e 12 miliardi di metri cubi di gas naturale all’anno nelle
fabbriche cinesi. Lo sviluppo dell’industria petrolifera ha fatto schizzare nel
2010 gli investimenti diretti stranieri a 20 miliardi di dollari, contro i 329
milioni di dollari del 2009 [MoNP 2011].
Sebbene tale cifra
sia gonfiata, a detta dello stesso governo birmano, da progetti che
difficilmente potranno ripetersi nei prossimi anni, l’economia del Myanmar si
sta sviluppando nell’ordine del 10% annuo [W/ADB].
Con tali premesse di
sviluppo, sia economico che politico, nel 2011 il paese si apprestava ad
affrontare un nuovo periodo di transizione con una ventata di ottimismo e di fiducia
che non si riscontrava da decenni. Thein Sein stava cercando consensi sia
all’interno che all’esterno del Myanmar per puntellare la via verso la
democrazia. Alla chiusura dell’anno, i governi occidentali erano ormai chiamati
a sostenere questo sforzo. Un loro eventuale rifiuto non avrebbe fatto altro
che riportare il Myanmar nel baratro, in
modo analogo a quanto era a suo tempo avvenuto in Iran, quando il presidente
riformista Mohammad Khatami era stato abbandonato dai governi europei e dagli
Stati Uniti, spianando la strada a Ahmadinejad.
Copyright ©Piergiorgio Pescali
Chiave
delle abbreviazioni dei riferimenti bibliografici usati nel testo
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