Non dimenticare la storia


Als die Nazis die Kommunisten holten, habe ich geschwiegen;
ich war ja kein Kommunist.
Als sie die Sozialdemokraten einsperrten, habe ich geschwiegen;

ich war ja kein Sozialdemokrat.
Als sie die Gewerkschafter holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Gewerkschafter.
Als sie die Juden holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Jude.
Als sie mich holten,
gab es keinen mehr, der protestierte.


Quando i nazisti vennero per i comunisti, io restai in silenzio;
non ero comunista.
Quando rinchiusero i socialdemocratici, rimasi in silenzio;
non ero un socialdemocratico.
Quando vennero per i sindacalisti, io non feci sentire la mia voce;
non ero un sindacalista.
Quando vennero per gli ebrei, non protestai;
non ero un ebreo.
Quando vennero per me, non era più rimasto nessuno che potesse far sentire la mia voce.

(Emil Gustav Friedrich Martin Niemöller; Lippstadt, 14 gennaio 1892 – Wiesbaden, 6 marzo 1984)



S-21 - Nella prigione di Pol Pot

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S-21; un romanzo storico, una narrazione viva e potente che porta il lettore in una struttura detentiva istituita dal regime degli Khmer Rossi, una prigione da cui pochi sono tornati, seppur segnati nel corpo e nello spirito, vivi.

IL CUSTODE DI TERRA SANTA - un colloquio con padre Pierbattista Pizzaballa

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FESTIVAL FRANCESCANO 2014 - Rimini, piazza Tre Martiri,SABATO 27 SETTEMBRE - ORE 15.00 Presentazione del libro Il Custode di Terra Santa

INDOCINA - Un libro, una saggio, una guida per chi vuole approfondire

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Norvegia dopo Breivik

L’orgoglio norvegese è stato appena intaccato dal doppio attentato che Anders Behring Breivik ha attuato il 22 luglio scorso con l’autobomba esplosa nel centro di Oslo e la carneficina di Utoya. I 4 milioni e settecentomila norvegesi, dopo un breve periodo di sconcerto e di incredulità, hanno reagito con ciò che hanno di meglio nella loro cultura: la razionalità nordica. Quella razionalità che noi mediterranei tanto rifiutiamo preferendola all’emotività, sta salvando la Norvegia da isterismi collettivi e da comodi j’accuse. “Non è facile distinguere chi è pazzo e chi no” scrisse lo scrittore norvegese e premio Nobel per la letteratura, Knut Hamsun. Così, mentre da noi l’azione di Breivik viene liquidata come un gesto compiuto da un folle, qui in Norvegia la classe politica, gli intellettuali e i sociologi si stanno interrogando sui reali motivi che hanno portato ad un figlio di questa stessa patria che afferma di amare, a compiere un gesto così estremo. Jens Stoltenberg, leader del Partito Laburista e primo ministro norvegese, ad una mia domanda sulla mitezza della pena a cui potrebbe incorrere Breivik (il massimo consentito dalla legislazione è di 25 anni di carcere) mi risponde che «non dobbiamo cercare punizioni, bensì eliminare le cause che hanno portato a questo comportamento così antisociale». Tore Bjorgo, esperto di terrorismo internazionale al Norwegian Istitute of International Affairs, appoggia le parole del leader del governo: «La Norvegia non deve farsi prendere dal panico. Al contrario, deve avere la forza di rimanere un paese tollerante ed aperto, come lo è sempre stato». Ed è questa l’atmosfera che si respira ad Oslo e a Bergen, i due principali centri norvegesi, dove la percentuale di immigrati è superiore ad ogni altra città della nazione. La comunità musulmana (11% della popolazione di Oslo e 3% a Bergen), si è stretta attorno ai norvegesi dimostrando la propria solidarietà alla politica filopalestinese di Oslo: «L’atto di Breivik è un chiaro tentativo di contrapporre la comunità norvegese a quella islamica. Inoltre basta leggere il suo manifesto per capire che uno dei fini degli attentati è stato quello di minare le relazioni tra governo norvegese e Palestina.» afferma Mohammed Hamdan, presidente del Consiglio Islamico della Norvegia. E’ fuor di dubbio che l’azione omicida è stata a lungo fertilizzata da una crisi economica che ha portato lo stato a dover tagliare numerosi sussidi statali che sono tuttora il giusto vanto della Norvegia. L’arrivo di numerosi immigrati dal Medio Oriente e dall’Africa, avrebbe poi creato la miscela socialmente esplosiva. Non è un caso che Breivik, nel suo manifesto spedito poco prima degli attentati, si scaglia in ugual misura contro i marxisti e contro papa Benedetto XVI, i primi rei di aver creato una società multiculturale, il secondo considerato un traditore della cristianità “codardo, incompetente, corrotto e papa illegittimo” per aver teso la mano ai musulmani. «Le parole di Breivik sono blasfeme» ammonisce il reverendo luterano Olav Fykse Tveit, segretario del Concilio Mondiale delle Chiese, ricordando di aver spedito una lettera di solidarietà al papa. Ma “un migliaio di parole non lasciano un’impressione così profonda quanto una sola azione” scrive Henrik Ibsen. E più mi dirigo verso nord, più trovo conferma della frase del drammaturgo. Ad Alta, cittadina del Finnmark, la regione più settentrionale della Norvegia, Nina Kokkin e Gerd Fahlstrom, due universitari della facoltà di Sociologia, affermano che il gesto di Breivik, pur nella sua assurdità, trova una giustificazione nella difficile situazione economica nazionale. «Nel Finnmark, la contea più lontana da Oslo, la società si è politicamente spaccata: in sedici anni il Partito del Progresso (il partito di estrema destra, ndr) è passato dal 2 al 22%, indicando che i norvegesi si stanno stancando della politica dei laburisti». Secondo Nina e Gerd la lacerazione di sta estendendo su tutto il paese: mentre, infatti, nelle ultime elezioni generali del 2009, i laburisti hanno ottenuto il 35% dei consensi (nel 1993 erano il 37%), il Partito del Progresso ne ha raccolti 23%, contro il 6% del 1993. E Breivik ha trascorso gli anni di formazione politica proprio nel Partito del Progresso. L’avanzata dei conservatori radicali preoccupa Daniel Poohl, caporedattore di Expo, l’organizzazione che studia l’estremismo di destra in Scandinavia, fondata dallo scrittore trotskista Stieg Larsson, noto in Italia per la sua trilogia di romanzi polizieschi Millennium. Secondo Poohl la Norvegia era l’unico paese scandinavo a non aver mai avuto frange neonaziste organizzate, come invece esistono in Svezia, Danimarca e Finlandia. “In tutti e quattro i Paesi scandinavi esistono partiti e movimenti più o meno legali che si rifanno esplicitamente all’ideologia nazista. La Norvegia si pensava fosse il paese meno coinvolto in questo processo: i membri del Vigrid, del Blood and Honour e del Movimento Nazional Socialista Norvegese sono sempre state frange disorganizzate e incoerenti. Gli attentati del 22 luglio, però, dimostrano che qualcosa sta cambiando anche in questa nazione”. Chi si scaglia con maggiore veemenza contro Breivik sono proprio loro, i conservatori: «Nel partito siamo tutti imbarazzati e disgustati che Breivik abbia fatto parte del movimento fino al 2006. Non sappiamo perché ne sia entrato, ma è chiaro perché ne sia uscito» spiega Siv Jensen, leader del Partito del Progresso. L’atto di Breivik è forse isolato, ma le idee di cui si è alimentato sono ancora radicate nell’Europa. Chiudere le porte creando dei compartimenti stagni soffocherebbe ogni cultura. Affinché le civiltà possano sopravvivere, occorre cercare le chiavi per aprire gli usci. Solo in questo modo le idee potranno ritrovare nuovi stimoli e rinvigorirsi. © Piergiorgio Pescali

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