Non dimenticare la storia


Als die Nazis die Kommunisten holten, habe ich geschwiegen;
ich war ja kein Kommunist.
Als sie die Sozialdemokraten einsperrten, habe ich geschwiegen;

ich war ja kein Sozialdemokrat.
Als sie die Gewerkschafter holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Gewerkschafter.
Als sie die Juden holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Jude.
Als sie mich holten,
gab es keinen mehr, der protestierte.


Quando i nazisti vennero per i comunisti, io restai in silenzio;
non ero comunista.
Quando rinchiusero i socialdemocratici, rimasi in silenzio;
non ero un socialdemocratico.
Quando vennero per i sindacalisti, io non feci sentire la mia voce;
non ero un sindacalista.
Quando vennero per gli ebrei, non protestai;
non ero un ebreo.
Quando vennero per me, non era più rimasto nessuno che potesse far sentire la mia voce.

(Emil Gustav Friedrich Martin Niemöller; Lippstadt, 14 gennaio 1892 – Wiesbaden, 6 marzo 1984)



S-21 - Nella prigione di Pol Pot

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S-21; un romanzo storico, una narrazione viva e potente che porta il lettore in una struttura detentiva istituita dal regime degli Khmer Rossi, una prigione da cui pochi sono tornati, seppur segnati nel corpo e nello spirito, vivi.

IL CUSTODE DI TERRA SANTA - un colloquio con padre Pierbattista Pizzaballa

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FESTIVAL FRANCESCANO 2014 - Rimini, piazza Tre Martiri,SABATO 27 SETTEMBRE - ORE 15.00 Presentazione del libro Il Custode di Terra Santa

INDOCINA - Un libro, una saggio, una guida per chi vuole approfondire

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Fukushima sei mesi dopo

Nei caldi week end estivi la spiaggia di Numanosawa veniva presa d’assalto dalle famiglie della regione di Fukushima. Era un modo per combattere l’afa, ma anche per approfittare della gita per comperare i prodotti biologici coltivati dalle numerose aziende agricole famigliari della zona. Le torri di raffreddamento della centrale di Fukushima Daiichi che facevano da sfondo al paesaggio, non destavano preoccupazione. Erano quarant’anni che gli abitanti convivevano con esse e la presenza di un impianto ad energia nucleare anziché uno funzionante a carbone, aveva assicurato un grado di inquinamento atmosferico e del terreno inferiore a quelli registrati in altre parti del Giappone, permettendo a pesche e nashi di garantirsi la fama di genuinità. Le Fukushima no momo, le pesche di Fukushima, erano famose a tal punto che gli attenti clienti giapponesi, erano disposti a pagare qualche yen in più, pur di portare in tavola i succosi frutti di questa regione, la quarta per importanza agricola del Giappone. I catastrofici eventi dell’11 marzo 2011, però, hanno sconvolto tutte queste sicurezze e, con esse, anche la vita di centinaia di migliaia di cittadini. Ora i sei reattori atomici di Fukushima sono circondati per una trentina di chilometri da interi villaggi disabitati, fattorie in rovina, strade deserte. Il frutteto di Hidehito Oyama, nella cittadina di Namie, presso cui avevo soggiornato alcuni anni fa, è abbandonato. La frutta, marcita sugli alberi è caduta sul terreno contaminato, mentre le onde che lambiscono la spiaggia di Numanosawa contengono gli elementi radioattivi rilasciati dalla fusione del reattore nucleare. «La nostra famiglia ha investito tutto ciò che aveva per avviare la fattoria» mi dice Hidehito, ora ospite con moglie e figli presso un centro di accoglienza a Yokote; «Abbiamo perso tutto e anche ammesso che in futuro ci permettano di tornare, chi comprerebbe i nostri prodotti?». Per tre mesi la TEPCO, la compagnia che ha in gestione l’impianto di Fukushima, si è ostinata ad affermare che i valori di radioattività rilasciati nell’atmosfera non avevano raggiunto livelli allarmanti. Solo all’inizio di giugno l’agenzia governativa di sicurezza nucleare ha svelato quello che gli scienziati del Nuclear Information Center (NIC), l’organizzazione che più di tutte e prima di tutte si è battuta affinché i giapponesi potessero disporre di un’informazione indipendente e il più possibile accurata sui rischi del nucleare, avevano sempre sostenuto: il combustibile fissile aveva perforato le pareti di tre reattori già cinque ore dopo l’arrivo dello tsunami e i dati di radioattività erano il doppio rispetto a quelli ufficialmente dichiarati. «Il dramma di Fukushima, a parte le conseguenze sulla popolazione e sull’ambiente, ha avuto però il merito di riaprire il discorso sul futuro energetico del Giappone dopo che, per cinquant’anni, i governi del paese avevano intrapreso la via del nucleare senza voler considerare eventuali alternative» spiega Hisao Toshiharu, membro del NIC.
Il 10 maggio Naoto Kan ha annunciato la storica decisione di rivedere il piano di sviluppo energetico del Giappone dopo che, nel 2010, la Dieta aveva approvato la proposta di raddoppiare la potenza nucleare giapponese per raggiungere il 50% dell’energia totale consumata dalla nazione. E d’improvviso i giapponesi si sono eletti un nuovo eroe: Tetsunari Iida che, dopo un passato di ingegnere nucleare si è convertito allo sviluppo delle fonti di energia rinnovabile fondando l’Institute for Sustainable Energy Policy (ISEP). Iida ha un obiettivo ambizioso: far sì che, entro il 2050, l’intero consumo energetico del Paese provenga da fonti rinnovabili: «Attualmente il Giappone produce solo l’8% di energia “verde”» mi spiega, «Abbiamo però un potenziale di energia eolica enorme grazie alla lunga linea costiera lambita dai venti, a cui si può associare l’energia solare e quella geotermica». I calcoli dell’ISEP sono precisi: le 54 centrali nucleari disseminate sul territorio producono, a pieno regime, 48,96 GW, mentre la sola installazione di turbine eoliche potrebbe generare un’energia pari a 150 GW. Ulteriori 69-100 GW potrebbero essere prodotti dagli impianti solari e altri 14 GW convogliando l’energia delle oltre 28.000 sorgenti termali che bucherellano la superficie dell’arcipelago. L’esempio da seguire è la Legge sulle Energie Rinnovabili adottata in Germania, la quale obbliga le compagnie elettriche a comprare tutta l’energia prodotta da impianti ad energia verde a costi fissati dallo stato: In questo modo il paese europeo è riuscito, in soli 10 anni, a passare dal 10 al 16% di energia prodotta da fonti rinnovabili.
E grazie all’incidente nucleare i giapponesi hanno riscoperto un’altra pratica a cui non sono mai stati abituati: il setsuden, il risparmio energetico. Mentre le grandi compagnie nipponiche hanno da anni sposato una politica attenta all’ambiente, nella sfera privata i giapponesi non hanno alcuna coscienza di cosa sia il risparmio energetico. Dopo l’11 marzo, però, una massiccia campagna per un consumo oculato dell’energia, ha cominciato a dare i suoi frutti: «i giapponesi si sono resi conto che è possibile ridurre i consumi senza sostanzialmente intaccare il loro stile di vita.» afferma Noriyuki Takayama, professore di Economia alla Hitotsubashi University di Tokyo.
Ma si può parlare di un “effetto Fukushima” o è ancora troppo presto? Antony Froggat, della Chatham House, un’organizzazione inglese che si occupa di analisi energetiche internazionali, afferma che un cambiamento della politica energetica giapponese potrebbe avere ripercussioni mondiali: «Il nucleare è utilizzato da 30 stati fornendo solo il 6% dell’energia totale prodotta sul pianeta. Il 75% di questo tipo di energia viene prodotta in sei nazioni: Stati Uniti, Francia, Giappone, Germania, Russia e Sud Corea. E’ quindi relativamente semplice sostituire il nucleare con altre sorgenti di energia pulita.» Ma non tutti condividono l’idea di Froggat. Il Breakthrough Institute, un’associazione di ricerca energetica ambientalista di ispirazione liberale, afferma che la trasformazione delle fonti energetiche tradizionali a quelle rinnovabili, sarebbe troppo costosa. «Per costruire impianti solari che producano 203 GW di energia servono mille miliardi di dollari contro i 375 miliardi necessari per avere 152 GW di energia eolica.» asserisce Michael Shellenberger, direttore dell’istituto americano. Un costo che, a detta dei detrattori dell’opzione 100% energia verde, andrebbe a ripercuotersi sui consumatori giapponesi in modo insostenibile. L’idea che le fonti di energia rinnovabile siano ancora antieconomiche, trova sostegno anche tra il noto giornalista ecologista inglese George Monbiot: «La domanda energetica continuerà ad essere sempre più elevata e dovremmo contare su fonti sicure, economiche e a basso impatto ambientale. Le centrali energetiche rinnovabili sono sicuramente ideologicamente attraenti, ma ancora troppo costose, non sufficientemente efficienti e hanno un impatto sia ambientale che visivo troppo elevato.» Le potenti lobby direttamente collegate all’industria nucleare hanno profondi agganci con il Ministero dell’Economia e dell’Industria giapponese contribuendo pesantemente a far prevalere la logica che il nucleare non potrà mai essere completamente sostituito dalle fonti energetiche rinnovabili. Ma l’impatto emotivo e il forte senso di responsabilità causato dall’incidente di Fukushima, potrebbe essere la molla per convincere queste stessi colossi a investire su progetti potenzialmente meno pericolosi e invasivi sulla salute pubblica.

© Piergiorgio Pescali

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