Quello di ieri, è stato il secondo intervento in diretta di un imperatore giapponese in occasione di eventi drammatici. Il primo lo aveva effettuato Hirohito, padre dell’attuale Akihito, il 15 agosto 1945. Allora era stata la radio a trasmettere, agli attoniti sudditi del Sol Levante, la voce del loro rappresentante divino sulla terra che annunciava la resa del Giappone nella Seconda Guerra Mondiale. Il linguaggio formale utilizzato dall’imperatore era però risultato per molti ostico, rendendo incomprensibile il senso del messaggio. L’importanza del discorso di Akihito alla nazione, diviene quindi chiara alla luce di queste rare apparizioni al pubblico. Il suo messaggio delinea in tutta la gravità la situazione in cui è piombato il Giappone, specialmente con i drammatici risvolti che stanno interessando la centrale di Fukushima. Miiko Kodama, una esperta in comunicazione mediatica, intervistata dalla Reuter, ha detto che «il messaggio dell’imperatore non cambierà nulla a livello pratico, ma per i giapponesi che venerano ancora la figura imperiale, è un segno di importante incoraggiamento».
L’Imperatore, dopo essersi spogliato dei suoi attributi divini e di ogni potere decisionale all’indomani della fine della guerra, oggi riveste solo un ruolo puramente simbolico e tradizionalista. L’opinione pubblica segue con poco interesse le vicende della famiglia imperiale ed i media dell’arcipelago, non potendo scrivere nulla di ostile nei confronti di un’istituzione che appare sempre più obsoleta, hanno solo due scelte: autocensura (è il caso dei giornali più progressisti come l’Asahi Shimbun) o usa sorta di distaccata riverenza, utilizzata dai periodici di tendenza conservatrice, come ad esempio lo Yomiuri Shimbun.
Akihito, consapevole dell’anacronismo e dell’indifferenza che riveste la figura imperiale nella gioventù giapponese, ha voluto riproporre il proprio ruolo in una veste meno distaccata. Il matrimonio con la principessa Michiko, di estrazione non nobile, è un chiaro passo verso questo nuovo look.
Mantenere un apparato come quello imperiale costa annualmente alle tasche giapponesi circa dieci miliardi di yen (più o meno di 90 milioni di euro). Poca cosa per un Paese che è tuttora la terza potenza economica al mondo, ma di fronte alla recessione, la nuova generazione di giapponesi, cresciuta all’insegna del risparmio e dei sacrifici, sta cominciando a chiedersi che senso ha mantenere in vita apparati totalmente estranei al processo sociale, politico e economico. Anche per questo Akihito ha voluto dare un esempio a tutto il Paese, razionando per primo l’energia nel palazzo imperiale accogliendo l’invito espresso nei giorni scorsi del primo ministro Naoto Kan.
Oggi la società giapponese si divide essenzialmente in tre settori per quanto riguarda la visione della casa imperiale: i conservatori, che continuano a riverirne la figura, una generazione che nutre un rispetto neutrale per la famiglia reale ed una parte che invece considera irrilevante, se non con ostilità, la presenza di un imperatore in Giappone. Il futuro sta evolvendo verso quest’ultima visione. E’ anche vero, però, che secoli e secoli di venerazione non si possono cancellare solo con alcuni articoli della Costituzione. I repubblicani giapponesi hanno perso l’unica occasione che si era loro offerta per smantellare l’istituzione imperiale subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. L’unica speranza su cui oggi possono contare i partiti antimonarchici perché l’impero trapassi in repubblica in tempi relativamente brevi, è che la famiglia imperiale si esaurisca da sola per mancanza di eredi. Ma, con le tecniche scientifiche oggi conosciute, questa possibilità è sempre più remota.
© Piergiorgio Pescali
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