Dopo l’ondata emotiva causata dalla tragedia giapponese, il governo inizia a fare le prime stime dei danni subiti. L’Agenzia Nazionale della Polizia ha dichiarato che al 14 marzo le vittime accertate sono 1.897 ed i feriti 1.885. Bilancio assolutamente provvisorio, destinato sicuramente ad aumentare, visto che nel solo villaggio di Minami-sanriku, su 17.000 abitanti, ben 10.000 risultano ancora dispersi. Le stime (purtroppo sempre più verosimili), parlano di un totale di 12-15.000 morti. Nelle sei prefetture più colpite, 450.000 persone hanno dovuto abbandonare le proprie case, mentre 24.000 sono ancora isolate in attesa di soccorsi. Il terremoto e lo tsunami hanno distrutto completamente 3.500 edifici, danneggiandone altri 50.000. La Toyota ha sospeso l’attività produttiva in dodici fabbriche. Anche stabilimenti della Nissan, Honda, Mitsubishi e Sony sono state costrette a chiudere diverse unità nelle prefetture di Iwate e Miyagi. Le linee ferroviarie e le autostrade sono interrotte in più punti, isolando le regioni settentrionali dal resto del paese. Analisti della Credit Suisse e della Barclays, hanno stimato in 180 milioni di dollari il costo della ricostruzione, pari al 3% del PIL annuale giapponese. La ricostruzione, però, secondo un rapporto della Société Générale, potrebbe in un secondo momento accelerare la ripresa economica del Paese, in quanto rilancerebbe gli investimenti e l’occupazione. L’intera riorganizzazione delle infrastrutture distrutte, occuperebbe migliaia di lavoratori per almeno 4-5 anni. Nel frattempo, però l’economia giapponese, già provata da un debito pubblico colossale, dovrà fare i conti con il deficit energetico causato dalla chiusura di diverse centrali nucleari, sulla cui produzione la nazione basa il 70% del proprio fabbisogno energetico. Per questo il primo ministro Naoto Kan ha chiesto ai giapponesi di ridurre gli enormi sprechi di energia. Sul piano degli aiuti, il Ministro della Difesa, Toshimi Kitazawa, ha richiamato 6.500 riservisti sui 33.400 disponibili. Attualmente 50.000 militari delle Forze di Autodifesa Giapponesi (secondo l’articolo 9 della Costituzione il Giappone non può disporre di un esercito di offesa), sono impegnati nelle operazioni di soccorso, ma secondo il governo dovrebbero salire in poco tempo a 100.000. A questi si aggiungono i volontari, i vigili del fuoco e le squadre di protezione civile delle singole prefetture. Il Ministero degli Esteri ha fatto sapere che, ad oggi, 91 stati hanno offerto aiuti e assistenza al Giappone, Tra questi, 13 Paesi (Sud Corea, Cina, Singapore, USA, Francia, Russia, Messico, Germania, Svizzera, Australia, Nuova Zelanda, Gran Bretagna e Taiwan) hanno già inviato squadre di soccorso specializzate. La solidarietà internazionale ha permesso anche di superare le barriere ideologiche e le contrapposizioni storiche, visto che le due nazioni più critiche verso la politica nazionalista di Tokyo, Sud Corea e Cina, sono state tra le prime ad offrire aiuto al popolo giapponese. I sud coreani sono attualmente impegnati nella prefettura di Miyagi, mentre i cinesi in quella di Iwate, entrambe le più colpite dalla catastrofe naturale. Gli Stati Uniti, invece, hanno preferito inviare sul posto otto navi militari tra cui la portaerei Ronald Reagan. C’è anche chi si è mobilitato singolarmente, come l’attore sudcoreano Bae Yong Joon, protagonista della seguitissima soap opera Winter Sonata ed idolo delle giapponesi, che ha deciso di devolvere 900.000 dollari per le vittime del terremoto.
© Piergiorgio Pescali
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