Sebbene il Bhutan appartenga culturalmente all’area cinese, l’impervia catena himalayana da cui è separato, ha portato i governanti a rivolgersi verso l’India, con cui condivide le pianure del Duar. I rapporti storici con il Tibet, del resto, non sono mai stati pacifici: la setta Gelukpa che regnava a Lhasa non ha mai digerito di avere confinante uno stato che seguiva la dottrina degli odiati rivali Kagyupa e Nyngmapa. Il Trattato di Punakha del 1910, stipulato con la Gran Bretagna ed in base al quale Londra si impegnava a difendere il Bhutan dalla Cina guidandone la politica estera, fu sostituito pari pari nel 1949 dal Trattato di Amicizia tra India e Bhutan. La dipendenza di Thimphu da New Delhi si esplica, in modo a volte invadente, in termini economici e militari. I turisti indiani non sono tenuti a pagare l’esorbitante tassa di 200 dollari giornalieri imposta agli stranieri, l’esercito bhutanese è addestrato dagli indiani e persino l’approvvigionamento di materiale bellico deve essere approvato da New Delhi. Nel 2003, su insistenza indiana, il Bhutan si è impegnato in una guerra contro i gruppi indipendentisti assamiti che gestivano una trentina di campi sul suo territorio.
Ma in un contesto di sviluppo economico in rapida crescita, l’accaparramento di risorse è divenuta una delle principali priorità di India e Cina. Secondo recenti stime il potenziale elettrico del Bhutan è pari a 30.000 MW, di cui solo 1.300 utilizzati, e tutti a favore di New Delhi. Recentemente Pechino ha dato segni di voler avvicinarsi al piccolo Paese, con cui nel passato ha avuto scaramucce per la definizione dei confini. Il nuovo governo scaturito dalle elezioni del 2008, dovrà affrontare il nuovo corso politico mantenendo una più equa distanza dai due colossi asiatici. Il timore di seguire l’esempio del Sikkim o del Tibet è sempre presente nella politica bhutanese e l’avvicinamento troppo evidente ad una o all’altra nazione potrebbe portare a conseguenze poco piacevoli per Thimphu.
© Piergiorgio Pescali
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