Il fumo nero e acre dei pneumatici bruciati lungo la Durban Marg nasconde i contorni delle bandiere rosse sventolate dai maoisti. I poliziotti nepalesi in assetto di guerra, guardano con apprensione la densa cortina oltre la quale odono gli slogan lanciati dai dimostranti. Migliaia di persone si sono radunate a Kathmandu per manifestare contro il governo di Madhav Kumar Nepal, ma ancor più contro il presidente Ram Batran Yadav, reo di aver reintegrato, il maggio scorso, il capo delle Forze Armate, generale Rookmangud Katawal, annullandone la destituzione decisa dall’allora Primo Ministro maoista Pushpa Kamal Dahala “Prachanda”. Il braccio di ferro tra le due massime cariche del Nepal, ha aperto la crisi di governo, gettando il Paese nel caos politico e sociale ed infrangendo l’illusione di un ritorno indolore alla democrazia dopo anni di corrotto e inetto regime monarchico. Il Trattato di Pace del 2006, siglato tra la guerriglia maoista e il governo nepalese, aveva riportato Prachanda all’interno del Parlamento, ponendo termine a dieci anni di guerra civile costata la vita a 15.000 persone. Secondo i piani del Partito del Congresso Nepalese e dell’India, i due maggiori protagonisti nel favorire il disimpegno armato dei comunisti, questi ultimi avrebbero dovuto giocare un ruolo assolutamente marginale nella vita politica. Così, invece, non è stato: le elezioni dell’aprile 2008 hanno visto il trionfo dei maoisti, i quali hanno conquistato il 38% dei voti e 220 dei 601 seggi parlamentari. «Tutti si aspettavano che, dopo la vittoria nelle elezioni del 2008, i maoisti acquisissero il potere estromettendo gli altri partiti da ogni partecipazione decisionale.» spiega Rhoderick Chalmers, direttore dell’ufficio nepalese dell’International Crisis Group, un centro di studi e di analisi politiche. «Prachanda ha invece dimostrato di rispettare le regole democratiche, spiazzando di nuovo gli avversari.» Non solo: nei suoi nove mesi di governo, il Partito Comunista Nepalese di ispirazione maoista (PCN-M) ha, per la prima volta nella storia della nazione, conquistato il consenso della popolazione con una politica di riforma agraria, raddoppiando i salari nell’industria e proteggendo i piccoli imprenditori. Ha, infine, cercato di traghettare il Nepal verso una politica estera meno legata all’India. E questo è stato l’errore più grande. Durante le manifestazioni di questi mesi c’è sempre stata una costante: il rogo o l’impiccagione di tre fantocci che impersonificavano Yadal, Katawal e Manmohan Singh, Primo Ministro indiano. «Il Nepal è sempre stato succube dell’India» afferma Gopal Siwakoti, attivista dei diritti umani a Kathmandu; «Era regola che il Primo Ministro appena eletto “pagasse un tributo” all’India recandosi in vista a New Delhi. Questa volta la regola è stata strappata da Prachanda, il quale ha preferito inaugurare la politica estera andando a Pechino. Ed ora paga lo sgarbo.» Il reintegro nelle Forze Armate dei 23.000 guerriglieri maoisti, contemplato nel Trattato di Pace, ma osteggiato da Katawal, è stato il motivo su cui India e opposizione si sono aggrappati per riconquistare un potere che i nepalesi avevano loro tolto. Basti dire che l’attuale Primo Ministro, Kumar Nepal, figlio di un brahmino hindu, non è neppure stato eletto nelle due circoscrizioni in cui si è presentato. Per proporlo come guida del nuovo governo, il suo partito, il Partito Comunista Nepalese Marxista Leninista Unificato, lo ha riciclato come Segretario Generale Senior ed ora guida una coalizione di 22 partiti che spaziano dall’estrema sinistra all’estrema destra passando per gruppi di ispirazione religiosa o nazionalista. Questo rivitalizzarsi della vita politica, ha avuto il pregio di risvegliare l’interesse dei nepalesi per la propria storia: la destituzione del re Gyanendra nel 2008, ha aperto al pubblico le porte dell’ex Palazzo Reale. Per la prima volta, i nepalesi possono vedere con i propri occhi lo sfarzo ed il lusso in cui vivevano i loro sovrani. «Mai avrei creduto che si potesse vivere in modo così sontuoso mentre a pochi passi la gente si sfiancava per un pasto al giorno.» lamenta Pandey Prashant, un ragazzo originario di Pokhara. Ma la democratizzazione ha anche portato alla luce rivendicazioni etniche che da anni covavano sotto la repressione delle Forze Armate, da sempre filo monarchiche. Nel Terai, la fascia meridionale del Nepal confinante con l’India, i Tharu richiedono la separazione dai Madhesi (immigrati dal Bihar e dall’Uttar Pradesh) bloccando i rifornimenti di carburante provenienti dall’India; i Newari della regione di Kathmandu invocano l’autonomia bloccando per giorni interi l’intera rete commerciale. «In tutto il Nepal ci sono una settantina di gruppi armati» informa Kunda Dixit, direttore del settimanale in lingua inglese Nepali Times «Qualsiasi tipo di governo dovrà fare i conti con queste tendenze centrifughe. Inoltre il nuovo governo dovrà affrontare due punti cruciali: evitare che i maoisti ricomincino la lotta armata e riscrivere una Costituzione per il paese entro il Maggio 2010.»
© Piergiorgio Pescali
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