Bhopal mi accoglie sotto un cielo coperto di nuvole gravide di pioggia. Le gocce che si rincorrono sulla superficie del finestrino dello scompartimento del treno, lasciano intravedere una città brulicante di esseri umani che vivono una contraddittoria quotidianità, apparentemente identica a quella di una qualunque città indiana. Eppure è bastata una notte di 18 anni fa per far assurgere Bhopal a simbolo della più immane ecatombe industriale della storia. Ed ora mi trovo dinanzi al Leviatano, il cui fiato ha fagocitato in poche ore migliaia di vittime innocenti. Il riscioala si ferma, poi si volta accennandomi ad un sorriso: “Union Carbide. The killer”, dice. Mi guardo attorno: tutto sembra rimasto come 18 anni fa: l’isocianato di metile uccide, ma non distrugge. La vecchia fabbrica dismessa, con i suoi impianti arrugginiti, sbeffeggia ancora gli slums che la attorniano. La quasi totalità delle vittime della catastrofe erano impoveriti, che nel corso degli anni avevano occupato le terre attorno alla UCAR perché poco appetibili per una speculazione edilizia. Nonostante i ripetuti avvertimenti sulla pericolosità delle attività svolte all’interno del complesso, il Primo Ministro del Madhya Pradesh, Arjun Singh, aveva concesso ai derelitti di occupare questa terra di nessuno, garantendosi la rielezione. Potenza della politica! Naturalmente, a fatti avvenuti, nessuno è andato a scomodare Mr. Singh per chiedergli chiarimenti in proposito. Così come nessuno ha avuto il coraggio di richiedere l’estradizione di Warren Anderson, il Presidente dell’UCAR, che dopo aver fatto perdere le sue tracce, è stato oggi individuato da Greenpeace, che ne ha pubblicato anche l’indirizzo: Hamptons, Long Island, New York State, USA. «Il mandato d’arresto per Anderson rilasciato dall’Interpol nel 1992 ora può essere attuato ma anche sono convinto che Anderson potrà godersi la sua ricca pensione, anche se i muri di Bhopal sono coperti di scritte che dicono: “Impiccate Anderson!» mi dice Dominique Lapierre, autore del best seller Mezzanotte e cinque a Bhopal. Recentemente si è riusciti per un soffio ad evitare che l’accusa di omicidio colposo che grava su Anderson fosse trasformata in innocua negligenza. “Sarebbe stato uno scandalo! Una “negligenza” costata 16.000 vittime!” mi confida Thara Gandhi, nipote del Mahatma, anche lei scesa in campo per evitare questo ennesimo stupro alle vittime. Potenza dell’economia! Il governo indiano non vuole che il suo inserimento nel mercato venga intralciato per dare giustizia a quattro straccioni; del resto son decenni che Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale continuano a ripetere che lo sviluppo ricadrà anche sugli impoveriti. Stanno ancora aspettando. Il 70% delle vittime di Bhopal erano lavoratori precari, privi di diritti e senza protezione sindacale; sottoproletari, insomma. I programmi di aiuto avviati dal governo sono stati un fiasco sia dal punto di vista sociale sia sanitario “tanto più ora che la salute è dichiarata ufficialmente una variabile solo marginalmente medica perché di fatto appartiene all’ordine dell’economia, della politica, delle grandi scelte sociali e culturali” afferma Gianni Tognoni, ricercatore presso il prestigioso Istituto Mario Negri e membro della Commissione Internazionale Medica su Bhopal, un organismo indipendente formato da 15 ricercatori europei, asiatici e nordamericani Mi accorgo di pensare al passato, quando invece dovrei trasferire tutto al presente, perché a Bhopal si continua ancora a morire e soffrire. Alla Sambhavna Clinic ogni giorno bussano una settantina di persone che presentano enfisemi, bronchioliti, convulsioni, cateratte. Tutte patologie riconducibili al MIC? “Non possiamo esserne certi” risponde ancora Gianni Tognoni “Non è mai stato posto in atto un sistema di monitoraggio come, ad esempio, si è fatto a Seveso”. Già, Seveso, la ricca Europa… Come ha reagito il mondo industriale italiano di fronte a Bhopal? Male, anzi malissimo. La maggioranza della stampa specializzata ha fatto quadrato attorno alla UCAR, scagliandosi contro gli ambientalisti ed arrivando a dipingere Anderson come un eroe. Da parte sua l’UCAR, dopo aver sostenuto la tesi del sabotaggio, ha cercato di correre ai ripari mostrando al mondo una presunta buona fede e filantropia, ma è apparso subito chiaro che la sua politica era in primo luogo rivolta a ricapitalizzare il patrimonio. E c’è riuscita. Per una riabilitazione etica e morale occorreva compiere dei passi indispensabili: la consegna di Anderson e l’assenza di operazioni di speculazione in borsa. Entrambe le cose non sono state rispettate. Nel 1999 ciò che restava dell’UCAR è stato assorbito dalla Dow Chemical che si rifiuta di ereditare ogni pendenza, morale e penale del disastro: “Anche se la Dow Chemical ha acquisito la totalità delle azioni dell’Union Carbide, non intendiamo assimilare alcuna loro vertenza legale. Se si pretende che la Dow si accolli la responsabilità della tragedia di Bhopal, ogni discussione è chiusa in partenza” mi conferma John Musser, capo ufficio stampa della Dow. Lo stesso Musser, poi, afferma che la compagnia “non ha alcuna ragione di dubitare della tesi di sabotaggio dell’impianto di Bhopal patrocinata dall’UCAR.”. La stessa posizione l’ho riscontrata nella Praxair Italia, costola dell’UCAR. Nonostante la direzione della Rivoira (la principale compagnia italiana convogliata nella Praxair assieme alla SIAD di Bergamo) affermi che la sicurezza sia un valore prioritario nella filosofia del gruppo, sono ben pochi i dipendenti che si sono interessati a Bhopal; del resto, in Praxair non c’è mai stata la volontà di informare il personale sull’evento col risultato che, tra le maestranze e la dirigenza, c’è chi avvalora la tesi del sabotaggio. Sarebbe bello credere quindi a John Musser, quando mi assicura che la politica della Dow, dopo Bhopal è “prima l’etica, poi il profitto”. Sarebbe bello, ma è difficile crederlo.
© Piergiorgio Pescali
S-21 - Nella prigione di Pol Pot

S-21; un romanzo storico, una narrazione viva e potente che porta il lettore in una struttura detentiva istituita dal regime degli Khmer Rossi, una prigione da cui pochi sono tornati, seppur segnati nel corpo e nello spirito, vivi.
IL CUSTODE DI TERRA SANTA - un colloquio con padre Pierbattista Pizzaballa
INDOCINA - Un libro, una saggio, una guida per chi vuole approfondire

Per ordinarne una copia: 3394551575 oppure yasuko@alice.it
© COPYRIGHT Piergiorgio Pescali - E' vietata la riproduzione anche parziale senza il consenso dell'autore
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento