Le dichiarazioni rilasciate all’unisono dal governatore dello Xinkjiang, Nur Bekri, e dal Segretario Generale del Partito Comunista locale, Wang Lequan, sui due attentati sventati dalle autorità cinesi nelle scorse settimane, hanno risollevato la questione delle istanze indipendentiste uigure nella provincia situata all’estrema periferia occidentale della Cina. Nur Bekri ha affermato che venerdì scorso un gruppo di terroristi avrebbe cercato di prendere possesso di un aereo di linea della China Southern Airlines, diretto da Urumqui a Pechino, con l’intenzione di farlo precipitare sulla capitale cinese. Sarebbe stato il coraggio dell’equipaggio ad impedire che il volo CZ 6901 si trasformasse in una tragedia troppo simile a quella dell’11 settembre. Poche ore prima era stato Wang Lequan a rivelare che, durante un raid effettuato nel gennaio scorso a Urumqui, due estremisti sarebbero stati uccisi e altri quindici arrestati mentre preparavano un attentato contro le Olimpiadi che si inaugureranno ad agosto. Non è sfuggita, agli osservatori più attenti, la singolare simultaneità degli annunci e la contemporaneità di questi con le manifestazioni che si stavano consumando a Lhasa, capitale di un’altra regione calda del Paese, il Tibet, che, con lo Xinkjiang, condivide le richieste di indipendenza. Se Pechino rimane piuttosto tranquilla sulla questione tibetana, considerando il fatto che lo stesso Dalai Lama ha ormai accantonato ogni richiesta di secessione e la cultura buddista non si è mai espressa in forma violenta, ben diverso è l’atteggiamento rivolto verso lo Xinkjiang. La comunione religiosa degli uiguri con le vicine repubbliche islamiche del Centro Asia, ha sempre insospettito i leaders del Partito Comunista, che dal 1949 hanno cercato di diluire l’etnia turcofona trasferendo milioni di han nella provincia e favorendo la diaspora musulmana. Ogni tentativo di proclamare la cultura locale, veniva tacciato di terrorismo. I timori di Pechino si sono concretizzati col dissolvimento dell’URSS, quando i movimenti islamici hanno cominciato ad aiutare finanziariamente e militarmente le organizzazioni autonomiste. L’attenzione del mondo verso questa parte del pianeta, non è mai stata particolarmente premurosa, favorendo la politica di repressione cinese e, a volte, appoggiandola. La Cina, infatti, ha ottenuto che gli Stati Uniti inserissero uno dei gruppi più attivi militarmente, l’East Turkestan Islamic Movement (ETIM) nella lista dei movimenti terroristici. Inoltre il Dipartimento di Stato USA ha rimosso nel 2008 il regime di Pechino dalla lista dei dieci paesi meno rispettosi dei diritti umani, accogliendo le riforme economiche e i cambiamenti sociali in atto come una passo positivo verso la democratizzazione del Paese. Una mossa che ha lasciata esterrefatta Mebiya Kadeer, la militante uigura più famosa, dal 2005 emigrata negli Stati Uniti dopo essere stata imprigionata per sei anni con l’accusa di aver diffuso documenti segreti. Mebiya, oggi sessantunenne, non crede alla teoria del complotto terroristico antiolimpico descritta da Wang Lequan e Nur Bekri: «La verità è che è il governo cinese stesso ad aver inventato l’attacco terroristico, al fine di giustificare una maggiore repressione degli uiguri». E’ indubbio che, sfruttando le Olimpiadi e le norme di sicurezza, Pechino cerchi di intensificare il soffocamento delle domande indipendentiste, tacciando questa politica come lotta al terrorismo. Mark Allison, collaboratore di Amnesty International a Hong Kong, teme proprio questo: «Quando la Cina ha rivelato l’esistenza di attività terroristiche islamiche pronte a colpire le Olimpiadi, non ha portato alcuna prova. Le restrizioni imposte dal governo cinese agli investigatori indipendenti, impediscono di effettuare verifiche delle accuse lanciate.» Rimane fuor di dubbio, però, che dopo l’11 settembre gli uiguri cinesi sono stati influenzati pesantemente dalla politica jihadista. Ancora prima del 2001, nelle carceri afgane dell’Alleanza del Nord di Massud, erano imprigionati militanti uiguri che combattevano con i Taleban ed era stata provata la stretta connessione tra ETIM e il movimento pakistano Harkat-ul-Jihad-al-Islami, affiliato ad al-Qaeda. Nel 2006, inoltre, sul sito in lingua araba di al-Tajdeed, veniva proposto un video che mostrava guerriglieri uiguri con M-16, AK47, lanciamissili e granate al termine del quale venivano indicati i volti dei nemici da uccidere: i leaders del Partito Comunista Cinese. Insomma, il governo cinese ha buon gioco nel trovare giustificazioni in atti che ben poco potrebbero avere a che fare con la lotta al terrorismo. Lo sa bene Nurmenet Yasin, scrittore uiguro che nel 2004 pubblicò sul Kashgar Literature Journal un racconto che aveva come protagonista un piccione blu il quale, dopo aver vagato per il mondo, torna a casa e viene imprigionato da piccioni di diverso colore. Piuttosto che rimanere chiuso in gabbia e nonostante abbia la solidarietà degli altri uccelli, il piccione blu si suicida. Nurmenet sta scontando dieci anni di prigione perché il racconto «incitava al separatismo». Il blu, infatti, è il colore nazionale uiguro.
© Piergiorgio Pescali
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