Non dimenticare la storia


Als die Nazis die Kommunisten holten, habe ich geschwiegen;
ich war ja kein Kommunist.
Als sie die Sozialdemokraten einsperrten, habe ich geschwiegen;

ich war ja kein Sozialdemokrat.
Als sie die Gewerkschafter holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Gewerkschafter.
Als sie die Juden holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Jude.
Als sie mich holten,
gab es keinen mehr, der protestierte.


Quando i nazisti vennero per i comunisti, io restai in silenzio;
non ero comunista.
Quando rinchiusero i socialdemocratici, rimasi in silenzio;
non ero un socialdemocratico.
Quando vennero per i sindacalisti, io non feci sentire la mia voce;
non ero un sindacalista.
Quando vennero per gli ebrei, non protestai;
non ero un ebreo.
Quando vennero per me, non era più rimasto nessuno che potesse far sentire la mia voce.

(Emil Gustav Friedrich Martin Niemöller; Lippstadt, 14 gennaio 1892 – Wiesbaden, 6 marzo 1984)



S-21 - Nella prigione di Pol Pot

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S-21; un romanzo storico, una narrazione viva e potente che porta il lettore in una struttura detentiva istituita dal regime degli Khmer Rossi, una prigione da cui pochi sono tornati, seppur segnati nel corpo e nello spirito, vivi.

IL CUSTODE DI TERRA SANTA - un colloquio con padre Pierbattista Pizzaballa

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FESTIVAL FRANCESCANO 2014 - Rimini, piazza Tre Martiri,SABATO 27 SETTEMBRE - ORE 15.00 Presentazione del libro Il Custode di Terra Santa

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Tibet: La repressione cinese

La repressione del Tibet da parte della Cina non è storia recente. Cinesi e mongoli sono più volte entrati nella regione sin dal XIII secolo, spesso chiamati dagli stessi monaci tibetani. Furono i mongoli, ad esempio, a creare l’appellativo Dalai (“oceano” sottinteso di saggezza) per un monaco della setta Gelukpa, impegnata allora nelle lotte di potere contro i Sakya, dando vita alla discendenza di cui Tenzin Gyatso è il XIV rappresentante. Qing e Manciù tornarono più volte a Lhasa nel corso dei secoli, alternandosi a inglesi e nepalesi. Nel 1904 Zhao Erfeng, generale manciù, venne soprannominato il “macellaio dei lama” per la sua efferatezza e crudeltà nell’imporre il suo volere. Migliaia di tibetani, monaci e civili, vennero massacrati da questo fedele emissario dell’ultima dinastia imperiale cinese. Tra il 1951 e il 1959 Mao riuscì a far prevalere in Tibet una politica moderata, permettendo al vecchio sistema feudale e monastico di sopravvivere ed intavolando una serie di colloqui con il Dalai Lama. Fu il Segretario del PCC del Xichuan Li Jingquan, ad iniziare nel 1955 contro la volontà del Presidente, le riforme che diedero vita alle proteste. Vennero confiscati i beni, la maggior parte dei monasteri venne chiusa e, i pochi rimasti aperti, vennero violati dalle Guardie Rosse durante la Rivoluzione Culturale. Le aperture seguite alla morte del Grande Timoniere, paradossalmente servirono da pretesto per altre rivolte: il programma di sviluppo, con l’afflusso di migliaia di Han e Hui, aveva evidenziato il problema etnico e culturale dei tibetani. A nulla valse la reintroduzione della lingua tibetana nelle scuole, la riapertura dei monasteri, il permesso di ripercorrere le kora, le vie dei pellegrinaggi. Il 5 marzo 1988, 20 anni fa, migliaia di tibetani riversarono il loro rancore verso Pechino chiedendo, tra l’altro, il ritorno del Dalai Lama. Oggi le manifestazioni dei monaci ripercorrono le medesime recriminazioni, con l’aggiunta di una richiesta in più: la liberazione di Gedhun Choekyi Nyima, riconosciuto incarnazione del X Panchen Lama dal Dalai Lama e, per questo, dal 1995 messo agli arresti domiciliari. Aveva sei anni.

© Piergiorgio Pescali

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