Gli Stati Uniti hanno deciso: Osama bin Laden è il colpevole degli attacchi suicidi di New York e Washington. Lui e chi lo ospita, i Taleban, dovranno pagare cara questa azione. Così la macchina militare incomincia a mettersi in moto. Faticosamente. Nella regione centro asiatica convergono gli interessi geopolitici delle quattro tra le più grandi e popolate potenze mondiali, tutte dotate di bomba atomica (Cina, Russia, Pakistan e India). Dalla parte opposta, un gigante del petrolio, l’Iran, sta aspettando l’occasione per tornare a rioccupare quel posto di protagonista che la Storia gli ha sempre assegnato, almeno sino a pochi anni fa. La frantumazione dell’Unione Sovietica, avvenuta proprio nell’estate-autunno 1991, ha ulteriormente complicato la situazione, aggiungendo ulteriori tasselli al mosaico di stati e staterelli strategicamente nevralgici per l’equilibrio regionale. Nazioni di lieve spessore in fatto di popolazione e di bilancio economico, come il Tajikistan, oggi assumono un ruolo determinante, specie dopo le ultime dichiarazioni di Colin Powell e, non dimentichiamolo, della morte del leader dell’opposizione interna ai Taleban, Ahmed Shah Massud.
Gli Stati Uniti, onnipresenti nel globo, nel Centro Asia sono completamente sguarniti e si trovano a dover chiedere la collaborazione di stati nemici, ex nemici o sino od ora per nulla considerati, per poter sferrare un attacco aereo all’Afghanistan. L’opzione migliore per l’aviazione statunitense e chi si unirà ad essa, sarebbe quella di far partire gli attacchi dal Pakistan, Paese sospettato di aver forti legami con Osama bin Laden e dai cui servizi segreti sono stati partoriti i Taleban. Islamabad, che da più di cinquant’anni è impegnata in un conflitto con l’India per il controllo del Kashmir, ha 10 basi operative, 11 basi di riserva, 9 aeroporti per atterraggi di emergenza e 23 altri aeroporti minori sparsi per il Paese. Dalle postazioni di confine, Kabul è raggiungibile con i missili terra-terra in pochi minuti. Nel caso il Pakistan neghi l’uso delle proprie basi all’aviazione USA, l’India, nemico storico di Washington sin dai tempi della Guerra Fredda, sarebbe disposta ad ospitare i cacciabombardieri nelle sue 20 basi dislocate lungo il confine con il Pakistan a cui si dovrebbe, comunque, chiedere il permesso per sorvolare il suo spazio aereo. Qui potrebbe entrare in gioco un’altra grande potenza regionale: la Cina, alleata e principale fornitrice di armi di Islamabad. Pechino deve contrastare il mai sopito spirito secessionista uiguro dello Xinkjang, i cui militanti sarebbero addestrati nei campi di Osama bin Laden. Al tempo stesso, però, il contenzioso ancora aperto con l’India per un’area al confine tra Ladakh e Tibet, costringe i dirigenti cinesi ad aver bisogno del Pakistan oggi più che mai.
Più o meno nella stessa situazione dei cinesi, si trovano i russi, a cui preme che il fondamentalismo islamico venga sradicato dalla regione, ma al tempo stesso non vogliono esasperare eventuali conflitti già presenti nel loro territorio (Cecenia e Daghestan). Il Cremlino ha quindi offerto un appoggio logistico senza voler impegnarsi attivamente negli eventuali raids. Il “protettorato russo” del Tajikistan, in questo caso, sarebbe la base ideale da cui far partire i bombardieri USA. Nel territorio è già presente la 201° Divisione russa, i suoi aeroporti e eliporti, dal 1996 sono utilizzati dagli elicotteri dell’Alleanza Settentrionale. E proprio la morte di Massud, che ha indebolito il fronte dell’opposizione armata ai Taleban, avrebbe indotto Mosca ad offrire il suo appoggio agli USA per evitare che Kabul occupi anche l’ultima fetta di territorio politicamente e militarmente legata a lei.
Infine l’Iran; una scelta comprensibilmente scartata fin dal principio, vista l’ostilità con cui i governi di Teheran e di Washington si guardano a vicenda. L’Iran potrebbe offrire il suo neutralismo che, in questo caso, in questa regione, cuore dell’Islam,, si potrebbe rivelare altrettanto importante quanto un appoggio militare.
© Piergiorgio Pescali
S-21 - Nella prigione di Pol Pot

S-21; un romanzo storico, una narrazione viva e potente che porta il lettore in una struttura detentiva istituita dal regime degli Khmer Rossi, una prigione da cui pochi sono tornati, seppur segnati nel corpo e nello spirito, vivi.
IL CUSTODE DI TERRA SANTA - un colloquio con padre Pierbattista Pizzaballa
INDOCINA - Un libro, una saggio, una guida per chi vuole approfondire

Per ordinarne una copia: 3394551575 oppure yasuko@alice.it
© COPYRIGHT Piergiorgio Pescali - E' vietata la riproduzione anche parziale senza il consenso dell'autore
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento