Non dimenticare la storia


Als die Nazis die Kommunisten holten, habe ich geschwiegen;
ich war ja kein Kommunist.
Als sie die Sozialdemokraten einsperrten, habe ich geschwiegen;

ich war ja kein Sozialdemokrat.
Als sie die Gewerkschafter holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Gewerkschafter.
Als sie die Juden holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Jude.
Als sie mich holten,
gab es keinen mehr, der protestierte.


Quando i nazisti vennero per i comunisti, io restai in silenzio;
non ero comunista.
Quando rinchiusero i socialdemocratici, rimasi in silenzio;
non ero un socialdemocratico.
Quando vennero per i sindacalisti, io non feci sentire la mia voce;
non ero un sindacalista.
Quando vennero per gli ebrei, non protestai;
non ero un ebreo.
Quando vennero per me, non era più rimasto nessuno che potesse far sentire la mia voce.

(Emil Gustav Friedrich Martin Niemöller; Lippstadt, 14 gennaio 1892 – Wiesbaden, 6 marzo 1984)



S-21 - Nella prigione di Pol Pot

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S-21; un romanzo storico, una narrazione viva e potente che porta il lettore in una struttura detentiva istituita dal regime degli Khmer Rossi, una prigione da cui pochi sono tornati, seppur segnati nel corpo e nello spirito, vivi.

IL CUSTODE DI TERRA SANTA - un colloquio con padre Pierbattista Pizzaballa

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FESTIVAL FRANCESCANO 2014 - Rimini, piazza Tre Martiri,SABATO 27 SETTEMBRE - ORE 15.00 Presentazione del libro Il Custode di Terra Santa

INDOCINA - Un libro, una saggio, una guida per chi vuole approfondire

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Conseguenze politiche della carestia (Maggio 1997)

Le riserve alimentari in Nord Corea sono oramai esaurite e mancano anche le sementi per il prossimo raccolto. Lo stesso governo ha annunciato che nel 1996 sono mancati 5,3 milioni di tonnellate di cereali, il doppio di quanto le agenzie internazionali avevano stimato.
“La Corea del Nord potrà sfamare solo 12 dei suoi 24 milioni di abitanti” mi dicono all’ufficio WFP di Tokyo. “La razione di cerali nelle principali città sino a pochi mesi fa era di 400 grammi, oggi è solo di 100. E nelle campagne la situazione è ancora peggiore.”
Chiedo: “Quanto cibo serve per sostenere i nordcoreani?”
“Duecentomila tonnellate, come minimo.”
Ma alcuni rappresentanti della Caritas alzano la quota: un milione. E le ottocentomila tonnellate di differenza? E’ il “premio” che Pyongyang riceverà dopo aver accettato il dialogo con la Corea del Sud sul trattato di pace.
Già, perché la carestia che sta facendo rischiare la vita a migliaia di persone in Nord Corea, si è trasformata più in fatto politico che umanitario. Una nuova forma di embargo che, come tutti le restrizioni economiche, si sta consumando ai danni di un popolo che ha la sola colpa di essere stato catalogato come il nemico numero uno di turno dagli Stati Uniti (lo erano già stati Viet Nam, Kampuchea Democratica, Nicaragua, Iran, Libia, Iraq, Cuba...).
Ma i paesi direttamente coinvolti nella situazione coreana, vale a dire Cina, Russia, Giappone e Sud Corea, non desiderano forzare troppo la mano. Un improvviso cambiamento ai vertici del governo di Pyongyang potrebbe portare dai 2 ai 4 milioni di profughi al di sotto del 38° parallelo, secondo le stime di Seoul, minando l’establishment politico ed economico sudcoreano, già falcidiato dai numerosi scandali venuti a galla negli ultimi mesi. Meno coinvolte sarebbero Cina e Russia, mentre la penuria di imbarcazioni “proteggerebbe” il Giappone da un’assalto di nordcoreani (comunque si parla di 200.000 possibili arrivi).
E’ proprio quest’ultimo che sembra il più propenso ad aprire un dialogo con il Nord. Nel marzo di quest’anno Shoichiro Toyoda, presidente della Keidanren, la corrispondente giapponese della Confindustria, ha scelto come suo vice il presidente della Ito-Yokado, Yoshifumi Suzuki, che si dice abbia stretti rapporti con i nordcoreani e per questo non è ben voluto negli ambienti conservatori imprenditoriali nipponici. Sul fronte politico, in maggio la deputata Akiko Domoto, assieme ad un gruppo di parlamentari, si è recata in Corea del Nord per rendersi conto di persona della situazione e preparare un programma di aiuti, sulla necessità dei quali nessuno dubita, specialmente dopo che le stesse ambasciate norcoreane all’estero hanno subito drastici tagli ai loro budgets.
Quella di Bangkok, ad esempio, che in occasione del compleanno di Kim Jong Il era solita pubblicare un intero inserto in suo onore su tutti i maggiori periodici thailandesi, quest’anno si è limitata a comprare una sola pagina del The Nation al prezzo scontato di 4.250 dollari, mentre a Phnom Penh è dovuto intervenire Sihanouk in persona per evitare che venisse tagliata la corrente elettrica all’ambasciata, insolvente nel pagare le bollette da diversi mesi.
La Corea del Sud spera inoltre che gli aiuti dati a Pyongyang inducano questa a rivedere, almeno in parte, gli accordi con Taiwan sullo stoccaggio in territorio nordcoreano di 200.000 capi a bassa radioattività provenienti dalle centrali nucleari dell’isola cinese, accordo che porterebbe nelle casse del governo di Kim Jong Il, più di 200 milioni di dollari.
Ma se tutti, o quasi, sono d’accordo sull’invio di aiuti, divergenti sono le opinioni di come distribuirli. I “duri” dell’ala conservatrice del Congresso USA, della Dieta giapponese e del Parlamento sudcoreano, sono contrari ad ogni invio senza prima assicurarsi la mossa che dia scacco matto al governo nordcoreano. Kim Woon Keun, dell’Istituto Economico Rurale di Seoul, in un’articolo apparso sul Far Eastern Economic Review, si dice convinto che la crisi che sta colpendo la Corea del Nord non sia il frutto del maltempo, quanto del sistema socialista. “Solamente mutando le basi di probuzione e smantellando il collettivismo agricolo sarà possibile recuperare il terreno perduto in questi cinquant’anni.” afferma l’economista, concludendo che secondo i calcoli dell’Istituto, Seoul dovrebbe investire 330 milioni di dollari per il rinnovo dell’intero apparato agricolo. A sostenere la tesi disfattista propugnata da Woon Keun sono in molti, ed il portavoce del Ministero degli Esteri sudcoreano, Lee Kyu Hyung, rincara la dose: “I nostri aiuti alimentari rimarranno al livello minimo di sussistenza fino a quando il Nord ridurrà la tensione militare al 38° parallelo.” Resta però diffcile immaginare che Pyongyang, costretta a chiudere le fabbriche per mancanza di olio combustibile ed economicamente prostrata, abbia ancora la forza e la volontà di attaccare Seoul.
Un secondo gruppo di “opinion leader” vorrebbe che siano i governi occidentali, o al massimo le NGO a gestire lo smercio degli aiuti. Secondo loro, infatti, vi sarebbe il pericolo che gli invii verrebbero utilizzati in primo luogo ed in gran parte per foraggiare le Forze Armate e l’apparato dirigenziale, mentre al popolo giungerebbero le briciole. Tale tesi è però stata smentita da un reportage apparso nel 1996 sul settimanale giapponese Aera, che ha riportato i risultati di un’inchiesta in cui la Corea del Nord veniva definita uno dei pochi paesi al mondo, se non l’unico, in cui gli aiuti donati venivano spartiti tra la popolazione senza che vengano dissipati nei mille e più rivoli della corruzione.
E’ a questa fiducia che si affida la terza fazione, quella più “aperturista”, propensa a far gestire al governo la distribuzione sotto il controllo del WFP e delle NGO, le quali offrirebbero anche mezzi di trasporto con relativo carburante.
E mentre le trattative procedono, i nordcoreani continuano ad aspettare...; aspettare che qualcuno si ricordi anche di loro, che stanno vivendo quello che Michael Ross, del WFP di New York ha definito essere “il disastro umano più politicizzato della storia.”

© Piergiorgio Pescali

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