A seguito dell’avvento dell’amministrazione Bush alla casa Bianca, il dialogo tra Nord Corea e Usa, progredito incessantemente durante l’era Clinton, si interruppe. Solo grazie alla mediazione cinese, Washington e Pyongyang accettarono di sedersi al tavolo delle trattative con i rappresentanti di Cina, Corea del Sud, Russia e Giappone per dare vita ad una serie di negoziati denominati “Colloqui a Sei”. La Corea del Nord, temendo che gli USA avessero intenzione di intervenire militarmente nel Paese, chiese un piano di sicurezza regionale, la normalizzazione delle relazioni diplomatiche e il ritiro delle sanzioni economiche. Da parte loro, gli USA chiesero l’abbandono del programma nucleare e il disarmo delle Forze Armate nordcoreane. I primi incontri, avvennero il 27-29 agosto 2003 succedendosi per altre cinque volte fino al novembre 2005, quando Bush, nell’intento di stroncare l’economia di Kim Jong Il, decise di congelare i capitali nordcoreani nelle banche estere, provocando il ritiro di Pyongyang dai negoziati e la nuova escalation nucleare. Da allora le tensioni tra i due Paesi si sono acutizzate con il risultato che, all’inizio del XXI secolo, i 22 milioni di nordcoreani si sono ritrovati a vivere in condizioni peggiori degli anni 80, anni in cui l’economia ha cominciato a stagnare a causa del crollo del COMECON. Per ridare vigore al Paese, Kim Jong Il ha varato riforme economiche di stampo capitalistico (introduzione proprietà privata, incentivi sulla produzione, mercatini liberalizzati). Oggi la popolazione cittadina riesce a sopravvivere grazie alle rimesse dei parenti all’estero, mentre in campagna l’incentivazione dell’iniziativa privata, ha permesso di aumentare le riserve alimentari. Nonostante la presenza di organizzazioni umanitarie, la situazione sanitaria è al collasso, mentre significativi miglioramenti si riscontano nel campo dei diritti umani.
© Piergiorgio Pescali
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