E’ una domenica soleggiata e calda, qui a Pyongyang. Sul sagrato della chiesa cattolica, all’estrema periferia della città, si odono le ultime note del canto di chiusura della messa, mentre la gente, un centinaio di persone, esce silenziosa e, frettolosamente, si incammina verso casa senza neppure fermarsi a parlare tra loro.
-Oggi la partecipazione è stata particolarmente numerosa.- mi dice Chang Song-keun, l’officiante del rito. Chang non è un prete, anche se afferma di essere disposto a diventarlo -appena le condizioni del Paese lo permetteranno- ma è l’unica persona in tutto il Paese che è in grado di dirigere la comunità cattolica locale.
In chiesa una vecchietta sta riordinando le panche e ritira i libretti dei canti; -E’ una delle nostre parrocchiane più anziane. Ha iniziato a frequentare la chiesa nel 1988, quando è stata inaugurata, ma la sua famiglia è sempre stata cattolica e lei non ha mai nascosto la sua fede, anche quando il farlo era considerato sconveniente.-
-Era?- domando un poco dubbioso circa il tempo al passato utilizzato.
-Oggi il governo è più propenso ad accettare la religione, a patto che questa non interferisca con la politica ufficiale del Paese.- spiega Chang.
Il problema è delimitare gli spazi di manovra possibili: quale è il confine oltre il quale il governo di Pyongyang considera che la Chiesa stia interferendo con gli affari interni? E soprattutto, si riuscirà a distinguere le azioni intraprese in modo autonomo dalle singole Chiese -protestante, cattolica, buddista- o si farà di tutta l’erba un fascio?
Non c’è dubbio che, appena il Nord aprirà le porte alle varie confessioni, la Corea sarà considerata territorio di conquista da miriadi di organizzazioni religiose o pseudoreligiose, che caleranno nel Paese come eserciti, sconvolgendo la vita sociale e le abitudini di milioni di nordcoreani.
Già oggi, lungo il confine settentrionale in territorio cinese, centinaia di militanti sudcoreani, statunitensi e giapponesi, più o meno fanatici, nascosti sotto le improbabili spoglie di uomini d’affari, aspettano con impazienza il giorno in cui potranno varcare il confine per accaparrarsi la loro fetta di fedeli. Accanto a sinceri e pragmatici fedeli, attenti a non prevaricare l’amministrazione nordcoreana e pronti a collaborare con essa, ci sono integralisti, soprattutto di fede cristiana, appartenenti a sette nate gli Stati Uniti totalmente insensibili alla specificità della condizione in cui andranno a lavorare. Il loro integralismo, costruito molto spesso su basi ideologiche di destra o razziste, li porta a non valutare la differente visione umana e sociale, oltreché politica del Paese.
E di questo, Chou, ne è conscio e preoccupato. In uncerto senso, le strette maglie con cui il governo nordcoreano ha permesso la nascita e lo sviluppo delle religioni “storiche”, ha frenato di certo l’espansione delle stesse, ma al tempo stesso ha evitato che venissero a sorgere pericolose tensioni causate da comportamenti poco ortodossi come è avvenuto in Giappone o nella stessa Corea del Sud.
-C’è una sorta di rispetto reciproco e di stima tra la Chiesa Cattolica e il governo.- afferma in forma privata un esponente dell’Assemblea del Popolo, il Parlamento della Corea del Nord. Pyongyang non è certo il tipo di governo che nelle sue scelte tiene conto dei fattori religiosi, ma non è neppure così stolto, come alcuni vorrebbero far credere, da pensare che per allacciare rapporti diplomatici con le potenze occidentali europee, possa ignorare la voce spirituale del Vaticano. Così, e per molti questo rappresenta un paradosso difficile da comprendere, da anni tra Pyongyang e Santa Sede intercorrono buone relazioni, tanto che dal 1996 sono ben quattro le delegazioni ecclesiastiche che hanno potuto entrare nel Paese e l’ultima di queste, nel 1999, ha avuto il permesso di girare liberamente l’intero territorio, un privilegio mai concesso ad alcun straniero sino ad oggi.
Ma c’è di più: Kim Jong Il ha invitato Giovanni Paolo II a visitare la nazione. L’ostacolo principale è che in Corea del Nord non esiste una Chiesa cattolica ufficialmente riconosciuta dal Vaticano, ma solo un’Associazione Cattolica Coreana, che viene vista alla stregua della Chiesa Patriottica Cinese.
Proprio questo parallelismo potrebbe indurre Pechino a spingere perché Pyongyang accetti una presenza ecclesiale riconosciuta da Roma, in modo da tastare il terreno per un’eventuale accettazione, anche sul suolo cinese, della Chiesa cattolica.
In questo caso la Corea del Nord potrebbe essere un inaspettato trampolino di lancio per un nuovo impegno evangelizzatore nella Repubblica Popolare Cinese.
© Piergiorgio Pescali
S-21 - Nella prigione di Pol Pot
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