Non dimenticare la storia


Als die Nazis die Kommunisten holten, habe ich geschwiegen;
ich war ja kein Kommunist.
Als sie die Sozialdemokraten einsperrten, habe ich geschwiegen;

ich war ja kein Sozialdemokrat.
Als sie die Gewerkschafter holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Gewerkschafter.
Als sie die Juden holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Jude.
Als sie mich holten,
gab es keinen mehr, der protestierte.


Quando i nazisti vennero per i comunisti, io restai in silenzio;
non ero comunista.
Quando rinchiusero i socialdemocratici, rimasi in silenzio;
non ero un socialdemocratico.
Quando vennero per i sindacalisti, io non feci sentire la mia voce;
non ero un sindacalista.
Quando vennero per gli ebrei, non protestai;
non ero un ebreo.
Quando vennero per me, non era più rimasto nessuno che potesse far sentire la mia voce.

(Emil Gustav Friedrich Martin Niemöller; Lippstadt, 14 gennaio 1892 – Wiesbaden, 6 marzo 1984)



S-21 - Nella prigione di Pol Pot

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S-21; un romanzo storico, una narrazione viva e potente che porta il lettore in una struttura detentiva istituita dal regime degli Khmer Rossi, una prigione da cui pochi sono tornati, seppur segnati nel corpo e nello spirito, vivi.

IL CUSTODE DI TERRA SANTA - un colloquio con padre Pierbattista Pizzaballa

IL CUSTODE DI TERRA SANTA - un colloquio con padre Pierbattista Pizzaballa
FESTIVAL FRANCESCANO 2014 - Rimini, piazza Tre Martiri,SABATO 27 SETTEMBRE - ORE 15.00 Presentazione del libro Il Custode di Terra Santa

INDOCINA - Un libro, una saggio, una guida per chi vuole approfondire

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Carestia vista da Ji'an (confine sino-coreano) (Maggio 1997)

Per arrivare a Ji’an da Dandong ho impiegato due intere giornate: la prima per percorrere i quattrocento e più chilometri di strada che mi ha portato alla città di Tonghua, la seconda sul treno che collega questa con Ji’an, la città cinese posta sulle rive del fiume Amnok, al confine con la Corea del Nord. Il paesaggio attraversato era incantevole: vette altissime ricoperte di vegetazione, animali liberi di scorrazzare per i boschi e di dissetarsi ai piedi di cascate fragorose, genti di differenti etnie distinguibili tra loro dai colori dei vestiti, dalle parlate, dai monili che abbelliscono il loro corpo. Alla stazione di Ji’an scendo salutando una famigliola con cui ho intrattenuto una piacevole conversazione, che continua il viaggio in Nord Corea sino a Kanggye, dove hanno dei parenti. I loro voluminosi bagagli sono pieni di cibarie; intravedo frutta, carne in scatola, spaghetti di soia, riso. Nel suo stentatissimo inglese, Shen Wen-yuan, la figlia ventenne, sintetizza cosa ha portato la famiglia ad intraprendere il faticoso viaggio:
“Abbiamo ricevuto una prima lettera in cui si chiedeva di spedire qualsiasi cosa fosse commestibile. Due mesi dopo ne ricevemmo un’altra in cui spiegava che la situazione era ulteriormente peggiorata. Da Ji’an, inoltre, giungevano notizie di nordcoreani che attraversavano il fiume per comprare cibo. Abbiamo deciso quindi di andare noi stessi a Kanggye per portare alimenti e per trovare i nostri parenti.”
Ci scambiamo gli indirizzi, nel caso ripassi per Tonghua al mio ritorno, e ci separiamo.
Qui, a Ji’an, al confine tra la regione del Jilin e del Liaoling, si sono registrati i primi arrivi di nordcoreani provenienti della provincia di Chagang. All’inizio attraversavano il fiume di notte, compravano durante il giorno e rientravano in Corea la notte seguente. Poi, le autorità cinesi hanno rinforzato i controlli alla frontiera, ma non ha funzionato. I coreani continuavano a entrare con l’aiuto di compiacenti guardie cinesi. Alla fine il governo del Jilin ha deciso di affrontare la realtà ed ha allestito dei punti di raccolta in cui distribuire il cibo ai nordcoreani che si accampavano lungo l’Amnok. E questo, almeno sino ad ora, ha evitato che migliaia di profughi si riversassero nelle vie della cittadina.
“Cinesi e nordcoreani sono fratelli, sono uniti da secoli di storia e di cultura. Quando noi eravamo in difficoltà, i fratelli coreani ci hanno aiutato spedendoci cibo, macchinari, tecnici. Ora siamo noi a dover contraccambiare il favore ricevuto” mi dice, con diplomazia spiccia, il sindaco di Ji’an, aggiungendo che la città è già pronta ad accogliere “migliaia di profughi, se Pyongyang lo chiedesse.”
Ma dove li mettereste?
“La comunità coreana qui è molto disponibile, inoltre molti cinesi di origine coreana hanno già accolto da tempo parenti giunti dall’altra parte del fiume.” Ne incontro una di queste, la famiglia Jon.
Dong-chu, il padre, mi porta nel suo appartamento, 70 metri quadrati lungo la Yuetannan Street in cui normalmente vivono sette persone. Oggi, questi 70 metri quadrati se li dividono 12 persone.
“Il governo provinciale ci dà gratuitamente riso e carne per i nostri cinque parenti giunti dalla Corea, ma questo durerà sino a quando terminerà l’emergenza, vale a dire fino alla fine di giugno. Dopo, i nostri ospiti dovranno ritornare nel loro villaggio di Unbong.”
Jon Mun-myong, uno dei componenti della famiglia nordcoreana, racconta la sua esperienza:
“Per qualche mese abbiamo potuto sfamarci pescando nel lago di Unbong, inoltre mia moglie, infermiera all’ospedale di Chasong, conosce molto bene le erbe medicinali. Ogni fine settimana andava in montagna a raccogliere quelle più nutrienti e le cuoceva assieme al pesce. Ne usciva una sorta di minestra che ci ha permesso di superare i momenti peggiori. Poi è giunto l’inverno, e con esso il freddo e la neve. La legna non bastava per riscaldare la casa e per cuocere le erbe ed il pesce. Alcuni bambini del villaggio hanno cominciato ad ammalarsi, così abbiamo deciso di venire qui a Ji’an dai nostri parenti.”
Chiedo se hanno notizie di come sia la situazione attualmente.
“Non dal nostro villaggio, ma degli amici che abitano nel vicino paesino di Yonpo, hanno confermato che ci sono stati dei morti nella zona e che molti abitanti sono stati trasferiti nelle città di Manpo e Chasong, dove è più facile coordinare i soccorsi.”
Lungo le strade del centro di Ji’an, numerosi negozi hanno cartelli con scritte coreane. Già prima della crisi il commercio con i vicini era fiorente e Ji’an, come tutte le città di frontiera, era meta di numerosi coreani che comperavano apparecchi elettrici di produzione occidentale.
Oggi gli articoli elettronici rimangono a far bella mostra di sé al di là del vetro; i prodotti più ricercati rimangono il riso, che al mercato nero è venduto a prezzi stratosferici; cani, la cui carne è assai ricercata e pregiata nella cucina tradizionale coreana, e che sono venduti a 1.000-1.500 won; cibi in scatola.
Un dollaro qui viene cambiato a 9.500-15.000 won (contro un cambio ufficiale di 2,07 won per dollaro). Inutile calcolare i prezzi delle merci in base a conteggi aritmetici e logici: l’unica equazione valida è la disperazione di chi ricerca il cibo per sopravvivere raffrontata con la cupidigia e la criminalità di chi approfitta di questi bisogni umani per riempirsi le tasche. Più alta è la disperazione, più alti sono i guadagni.

© Piergiorgio Pescali

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