Le ciminiere delle industrie di Dandong che lavorano il carbone proveniente dalle miniere del Liaoling, sbuffano dense nuvole di fumo nero che lentamente si dissolvono e si confondono nel cielo plumbeo. L’umidità del mattino, liquefacendosi in minuscole goccioline d’acqua, trasporta sino a terra invisibili particelle di fuliggine, le quali ricoprono impercettibilmente tutti gli edifici della città, penetrano nei bronchi degli abitanti e li intasano provocando malattie respiratorie. Seduto in un bar sulla riva del fiume Amnok, osservo in lontananza le case della città nordcoreana di Sinuju, 170.000 abitanti, capitale della regione del Pyongan Settentrionale.
Dandong, che ha cinquecentomila abitanti, ospita diverse centinaia di nordcoreani, che han varcato la frontiera dopo che, per tre anni di seguito, le coltivazioni della piana di Ryongchon sono state devastate dalle alluvioni. Qui c’è anche l’ultima stazione cinese della linea ferroviaria che collega Pechino a Pyongyang e per questo numerose NGO hanno posizionato i loro osservatori.
Pochi giorno fa è transitato un convoglio speciale che dalla capitale cinese trasportava 1.600 tonnellate di viveri a Pyongyang. E’ stato l’evento dell’anno, qui a Dandong, non tanto per la quantità di merce che ha varcato il confine, quanto perché il mittente era quel Stephen Linton dell’Eugene Bell Foundation si Washington che tanto si è battuto affinché la distribuzione degli aiuti non venisse affidata al governo nordcoreano, bensì ai governi o alle agenzie occidentali. Alla fine si è raggiunto il solito compromesso: gli aiuti alimentari della Bell Foundation sarebbero stati spediti alle tre organizzazioni religiose nordcoreane riconosciute da Pyongyang e distribuiti sotto la loro direzione.
Il risultato? Come prevedevano le stesse NGO, un mezzo fiasco. L’esigua presenza nel Paese delle Chiese, non ha consentito ai rappresentanti delle stesse di compilare un piano funzionale e quindi di dirottare capillarmente ed equamente gli aiuti ricevuti, limitandosi a distribuirli nelle provincie immediatamente limitrofe alla capitale, dove i bisogni erano meno impellenti rispetto a quelle poste al nord del Paese.
Una donna coreana che son riuscito a contattare grazie ad un funzionario del Partito Comunista Cinese, racconta la sua storia: “Nel nostro villaggio non c’era più nulla da mangiare, così mio marito ha deciso di mandare i bambini in Cina, mentre lui è rimasto ad aiutare a seminare il nuovo raccolto.” La donna, che proviene da un villaggio poco a nord della città di Yomju continua a raccontare: “L’inverno è stato particolarmente duro: non c’era legna da ardere per scaldarci, non avevamo cibo a sufficienza. Sì, è vero, il capo del distretto, dopo aver distribuito le scorte di riso e mais, ha deciso di utilizzare anche le sementi, ma ora cosa potrà seminare mio marito?”
Sun Hee, una ragazza venuta a Dandong da Sinuju per comprare cibarie, afferma che in città la situazione è drammatica, ma non quanto lo sia nelle campagne, e nelle campagne non è così drammatica quanto lo è in montagna.
“Sono andata come volontaria con la Croce Rossa Coreana nei villaggi attorno alla campagna di Kusong. Quasi tutti i contadini della zona hanno avuto le case distrutte ed ora vivono in capanne costruite con i mattoni recuperati e cementati da terriccio. I più deboli sono morti di inedia e molti bambini hanno oramai i capelli rossicci, segno di denutrizione. Abbiamo distribuito il riso ed il mais che il governo ci ha fornito, ma ora dobbiamo affrontare il problema maggiore: la terra deve essere di nuovo dissodata, debbono essere ricostruiti i canali d’irrigazione, i ponti, le strade. Molte delle attrezzature meccaniche sono inutilizzabili, e gli animali sono morti o sono stati uccisi per mangiarne la carne. Così tutto il lavoro deve essere svolto manualmente, ma i fisici debilitati dei contadini non lo permettono, e anche se le forze li sostenessero, mancano le sementi.”
E nelle montagne come è la situazione?
“Lì la situazione è ben peggiore.- continua Sun Hee, -Le strade sono scomparse e molti paesini sono ancora isolati o raggiungibili solo con gli elicotteri dell’esercito. Manca però il carburante, quindi i viaggi avvengono assai di rado. Per procurarsi legna per riscaldarsi durante l’inverno, gli abitanti hanno disboscato grandi fette di foreste, ed ora si è aggiunto anche il pericolo di frane.-
I soccorsi, confermano da più parti, sono stati tempestivi e subito dopo lo scoppio della grande crisi e le defezioni di Hwang Jang-yop e Kim Dok-hong, lo stesso Kim Jong Il ha definito la situazione in Corea del Nord “gravissima”.
I rimpasti del governo e delle Forze Armate hanno rafforzato l’ala “lealista”, cioè fedele al “Caro Leader”, il quale dovrebbe acquisire ufficialmente il titolo di Capo dello Stato il prossimo 9 settembre, anniversario della proclamazione della Repubblica Democratica Popolare di Corea.
Sun Hee mi mostra delle foto scattate da lei durante il lavoro di volontariato. Una di queste ritrae la coda disciplinata degli abitanti di un villaggio in attesa di ricevere la loro razione di riso: cinque chilogrammi per persona per un mese. Molte delle persone immortalate sono donne con bambini al seguito. Le loro espressioni tradiscono le traversie subite, ma dagli occhi mi pare di notare una luce che traspira. Forse la luce della speranza, la speranza di non essere stati abbandonati e dimenticati.
© Piergiorgio Pescali
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