Questa
è l’intervista fatta a Pol Pot nel dicembre 1997, quattro mesi
prima che morisse. Ero già stato diverse volte nelle zone occupate
dai Khmer Rossi e ad Anlong Veng, loro quartier generale; avevo avuto
modo di conoscere Khieu Samphan e altri dirigenti del movimento, ma
Pol Pot continuava a rimanere inavvicinabile. Poi, alla metà del
1997, successe qualcosa di decisivo. Nel maggio 1998 erano previste
nuove elezioni generali in Cambogia ed i Khmer Rossi, oramai isolati
politicamente e finanziariamente, sentivano la necessità di
rientrare nella politica nazionale. La fazione ideologicamente più
pura e dura, quella guidata da Pol Pot, era, però, contraria
proponendo la continuazione della lotta armata per raggiungere il
potere senza compromessi.
Pol Pot
Dalla
parte opposta stava la fazione più pragmatica, guidata da Son Sen e
Ta Mok, che aveva già avuto contatti con esponenti del Funcipec, il
partito di Ranariddh, figlio di Sihanouk, che dal 1993 divideva il
posto di primo Ministro con il suo rivale, Hun Sen, presidente del
Partito del Popolo Cambogiano.
I
contrasti tra le due linee di pensiero si fecero inconciliabili e i
Khmer Rossi vicini a Pol Pot cercarono di prendere il sopravvento
eliminando la figura avversaria più rappresentativa: Son Sen, ucciso
assieme a tutta la sua famiglia.
Fu
Ta Mok, però, ad essere avvantaggiato degli eventi: era lui che
controllava l'esercito Khmer Rosso e fu lui che, con una sorta di
colpo di stato interno, destituì Fratello Numero Uno dal potere.
In
pochi giorni tutto quanto ad Anlong Veng venne rivoluzionato: Pol Pot
venne posto agli arresti domiciliari e, in un ultimo disperato
tentativo di sopravvivenza, Ta Mok aprì le porte del quartier
generale ad alcuni giornalisti che per anni avevano seguito più da
vicino il movimento dei Khmer Rossi. Il primo fu il corrispondente
della Far Eastern Economic Review, Nate Thayer. Poche settimane dopo
fu il mio turno, secondo giornalista occidentale ad avvicinare l'ex
leader di Kampuchea Democratica dal 1979.
-Come
preferisce essere chiamato, col suo nome di nascita, Saloth Sar, o
col suo nome di battaglia, Pol Pot?-
-Dato
che ho speso gli ultimi 45 anni della mia vita a combattere per il
mio Paese e per il popolo, preferisco essere chiamato con il nome di
battaglia, Pol Pot.-
-Questo
significa che ha dimenticato la sua famiglia?-
-Affatto!
Durante tutti questi anni ho sempre pensato alla mia famiglia.-
-Però
da quando si è dato alla lotta armata, non ha mai voluto incontrare
alcuno dei suoi parenti. Anzi, alcuni di loro, tra cui anche suoi
fratelli e sorelle, sono morti proprio per le dure condizioni di
lavoro a cui erano stati sottoposti.-
-Ci
sono due condizioni storiche e politiche da tener conto: la prima è
che subito dopo la liberazione del Paese, si era nel caos più
completo. Dovevamo procurare il cibo per cinque milioni di cambogiani
e due di questi erano ammassati a Phnom Penh. L’immediato
trasferimento nelle campagne perché anche loro potessero lavorare
nelle risaie, era una condizione necessaria per la sopravvivenza di
tutti. Inoltre c’era sempre il pericolo di bombardamenti da parte
americana. In secondo luogo, cosa avrebbe detto il popolo se avessi
ordinato che i miei parenti ricevessero un trattamento di riguardo?
Avrebbe pensato che erano cambiati gli uomini al potere, ma il modo
di gestirlo era rimasto identico.-
-Analizzando
il periodo di potere Khmer Rosso a ventidue anni di distanza, ammette
finalmente di aver commesso degli errori?-
-Abbiamo
commesso degli errori, dovuti soprattutto all’inesperienza. Del
resto, chi non ne ha compiuti? Abbiamo costruito e idealizzato la
nostra politica continuando a pensare ed operare secondo l’esperienza
della lotta rivoluzionaria, senza passare alla fase
post-rivoluzionaria, che ci avrebbe permesso di accelerare lo
sviluppo della Cambogia. Ma considerando tutto, penso che il nostro
governo sia stato positivo per il popolo. Penso che rispetto alla
Cambogia di oggi, Kampuchea Democratica era molto più libera,
democratica, indipendente e progredita.-
-Quindi
non rigetta nulla di ciò che ha fatto.-
-No,
tutto quello che ho fatto è stato per il bene della Kampuchea e del
popolo khmer. Ripeto che abbiamo commesso degli errori, ma la maggior
parte della dirigenza dei Khmer Rossi era in buona fede e gli errori
sono stati commessi da chi aveva travisato le nostre parole o da chi
voleva trarre beneficio personale dalla rivoluzione. Quelli non erano
Khmer Rossi, ma traditori.-
-Però
quei traditori, come li chiama lei, hanno commesso crimini contro il
loro stesso popolo. E voi, dirigenti, avete permesso che questi
crimini si compissero.-
-Non potevamo
controllare uomo per uomo tutti i capi. Abbiamo dato delle direttive,
alcuni hanno travisato quelle direttive commettendo degli errori.-
-Alcuni
dei capi Khmer Rossi sono stati eliminati alla S-21. La S-21 era la
macchina di eliminazione dei Khmer Rossi considerati traditori da
altri Khmer Rossi. La maggior parte dei circa 20.000 prigionieri
condotti alla S-21 e poi giustiziati, erano comunisti e
rivoluzionari. Autentici. Perché li avete eliminati?-
-I traditori
rischiavano di far deragliare la rivoluzione. Non so se siano stati,
come dice lei, giustiziati. Non ne ho mai avuto notizia, così come
non ho mai avuto notizia della S-21-
-La
maggior parte dei suoi ex compagni, da Ieng Sary a Khieu Samphan, ha
dichiarato di essere pentita per ciò che è stata Kampuchea
Democratica.-
-Posso
solo dire che la storia non può essere cancellata negando le scelte
e le azioni compiute.-
-Lei
però continua a negare la responsabilità della morte di centinaia
di migliaia di cambogiani; continua a negare la stessa esistenza
della S-21, dei “killing fields”...-
-Come
ho detto prima non nego nulla di ciò di cui mi ritengo responsabile.
Non nego che durante il periodo in cui siamo stati al governo abbia,
anche personalmente, commesso degli errori, ma le cifre che ha appena
citato sono decisamente esagerate. Della S-21 non ne ho mai avuto
notizia, penso che sia stata una messa in scena della propaganda
vietnamita per giustificare la loro invasione di Kampuchea
Democratica, così come i fantomatici “killing fields”, una
invenzione cinematografica di grande effetto.-
-Mi
permetta però di ricordarle che gli stessi suoi ex compagni di
governo oggi ammettono che tra il 17 aprile 1975 ed il 7 gennaio 1979
in Cambogia si era instaurato un clima di terrore di cui lei, in
qualità di primo ministro e segretario di partito, è stato il solo
responsabile. E i killing fields non sono un'invenzione
cinematografica, ma una realtà visibile a chiunque e testimoniata da
centinaia di migliaia di persone.-
-I
miei compagni occupavano anche loro, assieme a me, posti di alta
responsabilità. È
comprensibile che dopo il cambiamento di rotta politica avvenuto
all’interno del movimento, tentino di riproporsi in una nuova
prospettiva. Ma vorrei evitare di continuare a parlare di questi
argomenti. Io, lo ripeto, non ha mai sentito parlare di una S-21 né
di uccisioni di massa, altrimenti sarei intervenuto di persona.-
-Quindi
se lei potesse tornare al potere attuerebbe la stessa politica che
aveva intrapreso durante il periodo tra il 1975 e il 1978?-
-Penso
che la nostra linea era giusta allora e lo sarebbe anche oggi. Solo
amplierei il controllo sui dirigenti affinché non si possa, in
futuro, parlare di uccisioni e di ingiustizie. Ma anche noi nel 1978
stavamo gradualmente introducendo delle importanti riforme in
Kampuchea Democratica.-
-Quali?-
-La
reintroduzione del denaro, la possibilità di gestire mercati
privati, l’apertura delle frontiere, il ritorno dei monaci nelle
loro pagode. Ma il Viet Nam non voleva tutto questo, ed ha quindi
deciso di invadere il nostro paese.-
-Come
giustifica la sua avversione per il Viet Nam?-
-Non
è una mia
avversione, ma quella di tutto
il popolo Khmer. Il Viet Nam si è annesso nei secoli precedenti la
regione del Delta del Mekong, che apparteneva culturalmente,
storicamente e etnicamente ai Khmer. Nel 1975 si preparava ad
annettere il resto della Cambogia. Abbiamo le prove di questo. Non
avevano però previsto la nostra vittoria, almeno non prima della
loro, e si sono così trovati nell’impossibilità di compiere i
loro piani di conquista.-
-Dice
di avere le prove del piano di annessione della Cambogia al Viet Nam.
Quali sarebbero?-
-Discorsi
all’interno del Partito dei Lavoratori del Viet Nam, lettere,
preparativi militari, attacchi e provocazioni alle frontiere,
spostamenti massicci di popolazioni verso il confine cambogiano per
occupare le terre che appartengono ai khmer e soprattutto
infiltrazioni di elementi vietnamiti nel nostro Partito.-
-Le
purghe effettuate durante il suo governo sono quindi da addebitarsi
alla politica di purificazione dall’elemento vietnamita all’interno
dell’amministrazione di Kampuchea Democratica al fine di assicurare
l’integrità stessa della nazione?-
-Certamente.
E la conferma è che oggi a Phnom Penh c’è una marionetta
infiltrata dai vietnamiti nel nostro partito (Hun
Sen, nda).-
-C’è
oggi un paese che indicherebbe come esempio di modello sociale?-
-Ogni
Paese ha una storia e una situazione politica, sociale, culturale
propria. Ultimamente non ho viaggiato molto,
(ride, nda)
quindi non ho diretta esperienza di sistemi sociali in atto...-
-Che
cosa era l'Angkar, l'Ufficio 870, il Partito Comunista di Kampuchea?-
-Erano
tutte esperienze mutuate dalla storia, dall'idea e dalla pratica.
L'Angkar era la nuova Kampuchea, il nuovo sistema che avrebbe portato
il popolo khmer a rappresentare un nuovo modo di sviluppo e di
società. L'Ufficio 870 eravamo noi, io, Nuon Chea, Khieu Samphan...
-Ma
perché utilizzare nomi sconosciuti alla popolazione, come l'Angkar,
o in codice, come “870”? Perché tenere segreto l'esistenza di un
Partito Comunista in una nazione che comunista, in un certo senso, lo
era?
-Eravamo
circondati da nemici. Il segreto era tutto e la nostra sopravvivenza
era legata al mantenimento di questi segreti. Noi eravamo comunisti,
ma non
nel senso che voi occidentali date a questo termine. Ho trovato
nell’idea marxista degli spunti per condurre la lotta politica in
Cambogia. Ma li ho trovati anche leggendo Rousseau, Gandhi,
Voltaire.-
-Come
si spiega che è più odiato all’estero che in Cambogia?.-
-Perché
i cambogiani mi conoscono meglio che all’estero.-
-Come
vorrebbe essere ricordato dai suoi connazionali?-
-Come
un uomo giusto e onesto. Come un uomo che ha lottato sino all’ultimo
per difendere la Cambogia dalla distruzione ad opera dei vietnamiti.-
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