Si chiama Kim Puch, ha 49 anni, vive in Canada col marito e due figli dedicando gran parte del suo tempo alla riabilitazione psicologica dei bambini che hanno conosciuto gli orrori della guerra. Lei la guerra l’ha conosciuta e, senza troppi eufemismi, l’ha vissuta sulla sua pelle. E’ Kim Puch, infatti, la bambina che appare in una delle fotografie “icone” della guerra del Vietnam, quella in cui, a nove anni, la si vede correre lungo la Highway 1 piangendo di paura e di dolore, ustionata dal napalm lanciato da uno Skyraider dell’aviazione sudvietnamita. Il fotografo dell’Associated Press, Huynh Cong Nick Ut fissò l’istante sulla sua pellicola esattamente 40 anni fa, l’8 giugno 1972. I monsoni avevano già raggiunto il villaggio di Trang Bang, nel Vietnam del Sud a pochi chilometri dal confine cambogiano, un’area di tradizione caodaista. La famiglia di Kim Phuc, anch’essa fedele del Cao Dai, si era rifugiata nel tempio locale per fuggire alla battaglia che infuriava da diversi giorni tra le truppe sudvietnamite e quelle comuniste del nord. In un momento di tregua, coloro che avevano trovato riparo nella chiesa, decisero di raggiungere la retroguardia sudvietnamita. Fu in quel momento che un aereo dell’aviazione di Saigon sfrecciò su Trang Bang lasciando cadere un carico micidiale di napalm, una miscela incendiaria di acido naftenico e palmitico che ha la proprietà di attaccarsi alle parti colpite e bruciarle. Alcune lingue di fuoco raggiunsero Kim Phuc vaporizzando i vestiti e ustionando il 30% del corpo. Nick Ut e il collega della televisione britannica ITN Christopher Wain, si prodigarono per salvarla nonostante i medici la dessero per spacciata. La riabilitazione durò 13 mesi e fu dolorosissima: «Ogni mattina alle otto le infermiere mi toglievano la pelle morta facendomi svenire dal male» ricorda Kim Phuc. Poi seguì il periodo della propaganda: il governo vietnamita del dopoguerra la diede in pasto alle troupe televisive e radiofoniche occidentali. Kim Phuc era divenuta un «simbolo nazionale della guerra». «Fu il periodo più nero della mia vita: avrei voluto essere morta nell’attacco. Dovevo sorridere e rivivere centinaia di volte quel giorno del 1972» rievoca Phuc. Psicologicamente disperata, fisicamente menomata e in cerca di nuovi appigli comincia a leggere la Bibbia e si converte al cristianesimo. Poco dopo Pham Van Dong, l’allora primo ministro vietnamita e amico personale di Kim Phuc, accoglie la sua richiesta di andare a studiare medicina a Cuba. Ed è qui, tra il sole dei tropici, che Phuc rinasce: si laurea e conosce Bui Huy Than, che sposerà nel 1992. Al ritorno dal viaggio di nozze l’aereo fa uno scalo in Canada. Kim Puch e Huy Than ne approfittano per chiedere asilo politico. Nella sua nuova patria Kim Puch si adopera per aiutare le vittime di guerra fondando la Kim Phuc Foundation e divenendo Ambasciatrice dell’Unesco. E a chi le chiede come sia riuscita a superare le dure prove fisiche e psichiche del dopoguerra, lei risponde: «E’ Dio che mi ha salvato ridandomi fede e speranza»
Copyright ©Piergiorgio Pescali
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