Nel XVI secolo, un gruppo di nomadi mongoli Oriati, si stanziò lungo le rive del Mar Caspio. Considerando la permeabilità dei confini meridionali, lo zar di tutte le Russie permise a questi nuovi venuti di rimanere difendendo le frontiere dai turchi. Venne fondato il Khanato di Kalmykia, che, pur assoggettato all’impero russo, godeva di sufficientemente autonomia da poter reggere il proprio potere sul Grande Codice dei Nomadi, lo Iki Tsaadzhin Bichig. Sotto il regno di Ayuka Khan (1669-1774) il khanato espanse i propri commerci sino al Tibet e alla Mongolia. Per limitare il potere kalmyko, lo zar cominciò a spedire coloni russi e ucraini che ben presto ebbero il dominio economico. Agli inizi del XIX secolo, circa 200.000 kalmyki, insofferenti del potere dei coloni, emigrarono nel Centro Asia. Dopo la Rivoluzione d’Ottobre, i kalmyki si unirono agli eserciti Bianchi di Wrangel e Denikin. La vendetta dei Rossi fu spietata: 10.000 mongoli vennero uccisi e altre migliaia fuggirono in Turchia, Parigi, Praga e Belgrado, dove ancora oggi esiste la più consistente comunità kalmyka fuori dalla repubblica. La collettivizzazione stalinista portò i primi danni economici e ecologici: l’errata pianificazione idrica inaridì la steppa e tra il 1932 e il 1933, 60.000 kalmyki morirono di stenti. Al tempo stesso venne proibita la religione e i testi sacri bruciati. L’arrivo dei nazisti con la riforma economica e il ritorno alla proprietà privata e il permesso di praticare il buddismo, fu salutato con favore dai kalmyki. Cinquemila di loro si arruolarono volontariamente formando il Corpo di Cavalleria Volontario Kalmyko. Nel 1942 alla riconquista della regione da parte dell’Armata Rossa, seguì la deportazione in massa: secondo lo storico kalmyko Vladimir Ubushayev, il 40% dei kalmyki deportati morì di stenti nelle prime settimane. Solo nel 1957 fu permesso ai prigionieri di tornare in patria, ma molti trovarono case e terreni occupati dai nuovi coloni. Oggi la Kalmykia è una Repubblica autonoma all’interno della Federazione Russa governata da un padre-padrone: Kirsan Iliumzhinov.
© Piergiorgio Pescali
S-21 - Nella prigione di Pol Pot
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