Non dimenticare la storia


Als die Nazis die Kommunisten holten, habe ich geschwiegen;
ich war ja kein Kommunist.
Als sie die Sozialdemokraten einsperrten, habe ich geschwiegen;

ich war ja kein Sozialdemokrat.
Als sie die Gewerkschafter holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Gewerkschafter.
Als sie die Juden holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Jude.
Als sie mich holten,
gab es keinen mehr, der protestierte.


Quando i nazisti vennero per i comunisti, io restai in silenzio;
non ero comunista.
Quando rinchiusero i socialdemocratici, rimasi in silenzio;
non ero un socialdemocratico.
Quando vennero per i sindacalisti, io non feci sentire la mia voce;
non ero un sindacalista.
Quando vennero per gli ebrei, non protestai;
non ero un ebreo.
Quando vennero per me, non era più rimasto nessuno che potesse far sentire la mia voce.

(Emil Gustav Friedrich Martin Niemöller; Lippstadt, 14 gennaio 1892 – Wiesbaden, 6 marzo 1984)



S-21 - Nella prigione di Pol Pot

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S-21; un romanzo storico, una narrazione viva e potente che porta il lettore in una struttura detentiva istituita dal regime degli Khmer Rossi, una prigione da cui pochi sono tornati, seppur segnati nel corpo e nello spirito, vivi.

IL CUSTODE DI TERRA SANTA - un colloquio con padre Pierbattista Pizzaballa

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FESTIVAL FRANCESCANO 2014 - Rimini, piazza Tre Martiri,SABATO 27 SETTEMBRE - ORE 15.00 Presentazione del libro Il Custode di Terra Santa

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Kalmykia - Storia

Nel XVI secolo, un gruppo di nomadi mongoli Oriati, si stanziò lungo le rive del Mar Caspio. Considerando la permeabilità dei confini meridionali, lo zar di tutte le Russie permise a questi nuovi venuti di rimanere difendendo le frontiere dai turchi. Venne fondato il Khanato di Kalmykia, che, pur assoggettato all’impero russo, godeva di sufficientemente autonomia da poter reggere il proprio potere sul Grande Codice dei Nomadi, lo Iki Tsaadzhin Bichig. Sotto il regno di Ayuka Khan (1669-1774) il khanato espanse i propri commerci sino al Tibet e alla Mongolia. Per limitare il potere kalmyko, lo zar cominciò a spedire coloni russi e ucraini che ben presto ebbero il dominio economico. Agli inizi del XIX secolo, circa 200.000 kalmyki, insofferenti del potere dei coloni, emigrarono nel Centro Asia. Dopo la Rivoluzione d’Ottobre, i kalmyki si unirono agli eserciti Bianchi di Wrangel e Denikin. La vendetta dei Rossi fu spietata: 10.000 mongoli vennero uccisi e altre migliaia fuggirono in Turchia, Parigi, Praga e Belgrado, dove ancora oggi esiste la più consistente comunità kalmyka fuori dalla repubblica. La collettivizzazione stalinista portò i primi danni economici e ecologici: l’errata pianificazione idrica inaridì la steppa e tra il 1932 e il 1933, 60.000 kalmyki morirono di stenti. Al tempo stesso venne proibita la religione e i testi sacri bruciati. L’arrivo dei nazisti con la riforma economica e il ritorno alla proprietà privata e il permesso di praticare il buddismo, fu salutato con favore dai kalmyki. Cinquemila di loro si arruolarono volontariamente formando il Corpo di Cavalleria Volontario Kalmyko. Nel 1942 alla riconquista della regione da parte dell’Armata Rossa, seguì la deportazione in massa: secondo lo storico kalmyko Vladimir Ubushayev, il 40% dei kalmyki deportati morì di stenti nelle prime settimane. Solo nel 1957 fu permesso ai prigionieri di tornare in patria, ma molti trovarono case e terreni occupati dai nuovi coloni. Oggi la Kalmykia è una Repubblica autonoma all’interno della Federazione Russa governata da un padre-padrone: Kirsan Iliumzhinov.

© Piergiorgio Pescali

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