Amartya Sen, Premio Nobel per l’Economia nel 1998, è l’economista indiano che più ha studiato i rapporti tra etica e profitto nel mercato globale. L’essere nato e aver vissuto la sua infanzia in un villaggio del Bengala lo ha certo aiutato a immedesimarsi negli strati più emarginati della popolazione, raccogliendo e sviluppando le istanze che potrebbero aiutare gli impoveriti ad inserirsi nella complessità dei motori economici.
Prof. Sen, come creare i meccanismi sociali e culturali per rendere partecipi anche gli impoveriti allo sviluppo economico?
Purtroppo in un mondo sempre più globalizzato, per i poveri è arduo entrare nel processo di sviluppo. Occorrono basi che non tutti gli stati possono o vogliono garantire: l’istruzione in primo luogo, ma anche la sanità, il cibo, un’informazione esauriente e corretta, la possibilità di viaggiare, non dico all’estero, ma nella città più vicina. E’ difficile per chi non sa scrivere o leggere, per chi è malato o per chi non sa nulla del mondo esterno, sentirsi parte di un meccanismo economico che vada al di là dei limiti del proprio villaggio.
Se tutte queste variabili entrano a far parte dello sviluppo, come mai si continua a pensare alla ricchezza sotto forma di PIL, di produzione industriale o di consumo?
Purtroppo sono in pochi a comprendere che lo sviluppo non dipende solo dal PIL. Ho conosciuto sostenitori del libero mercato che rimangono impassibili di fronte a bambini che muoiono per mancanza di una semplicissima medicina o che crescono analfabeti.
In ultima analisi, come definire lo sviluppo?
E’ la libertà di scegliere e poter scegliere compatibilmente con le proprie responsabilità. Quando ognuno di noi potrà sentirsi libero di portare a termine una cosa che ritiene essenziale per la sua vita, allora avremo fatto un grosso passo verso lo sviluppo.
© Piergiorgio Pescali
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