Non dimenticare la storia


Als die Nazis die Kommunisten holten, habe ich geschwiegen;
ich war ja kein Kommunist.
Als sie die Sozialdemokraten einsperrten, habe ich geschwiegen;

ich war ja kein Sozialdemokrat.
Als sie die Gewerkschafter holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Gewerkschafter.
Als sie die Juden holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Jude.
Als sie mich holten,
gab es keinen mehr, der protestierte.


Quando i nazisti vennero per i comunisti, io restai in silenzio;
non ero comunista.
Quando rinchiusero i socialdemocratici, rimasi in silenzio;
non ero un socialdemocratico.
Quando vennero per i sindacalisti, io non feci sentire la mia voce;
non ero un sindacalista.
Quando vennero per gli ebrei, non protestai;
non ero un ebreo.
Quando vennero per me, non era più rimasto nessuno che potesse far sentire la mia voce.

(Emil Gustav Friedrich Martin Niemöller; Lippstadt, 14 gennaio 1892 – Wiesbaden, 6 marzo 1984)



S-21 - Nella prigione di Pol Pot

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S-21; un romanzo storico, una narrazione viva e potente che porta il lettore in una struttura detentiva istituita dal regime degli Khmer Rossi, una prigione da cui pochi sono tornati, seppur segnati nel corpo e nello spirito, vivi.

IL CUSTODE DI TERRA SANTA - un colloquio con padre Pierbattista Pizzaballa

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FESTIVAL FRANCESCANO 2014 - Rimini, piazza Tre Martiri,SABATO 27 SETTEMBRE - ORE 15.00 Presentazione del libro Il Custode di Terra Santa

INDOCINA - Un libro, una saggio, una guida per chi vuole approfondire

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Investire in Cina

Investire in Cina è divenuto un imperativo per chiunque voglia essere protagonista nei mercati mondiali del XXI secolo. La crescita economica del Paese (9,1% nel 2003 e 9,7% nella prima metà del 2004) si è rivelata addirittura superiore al 7,9% previsto dalla Banca di Sviluppo Asiatica; gli investimenti stranieri nel 2003 sono saliti del 12,5% rispetto all’anno precedente, raggiungendo la cifra di 52,7 miliardi di dollari, mentre le esportazioni sono lievitate del 34%. Con questi indici di sviluppo e le Olimpiadi previste tra quattro anni, gli obiettivi che il governo cinese si è posto entro il 2020 (incremento medio del PIL del 7,2% annuo e del reddito pro capite da 1.000 a 3.000 dollari) non rappresentano solo un miraggio.
Giappone, Taiwan, Corea del Sud e Stati Uniti da soli contribuiscono per il 50% al commercio estero cinese, mentre l’Italia si pone nelle retrovie. La maggioranza delle cinquecento ditte nazionali che operano in territorio cinese, si limita a mantenere uffici commerciali senza partecipare attivamente alle attività produttive locali, il che pone l’economia italiana osservatrice esterna rischiando di non sapersi adeguare in tempo ai macroscopici cambiamenti in atto. Tra i principali motivi che ostacolano gli investimenti italiani nel Paese asiatico vi è il problema dei diritti e delle copie di prodotti contraffatti. Nonostante la Cina aderisca alle Convenzioni di Madrid e di Parigi sul copyright, questo va comunque registrato nel Paese, anche se la ditta proprietaria del marchio non è interessata al mercato cinese. «Se una decina di anni fa le copie cinesi erano di scarsa qualità e rimanevano relegate al mercato nazionale, oggi i prodotti contraffatti, oltre a possedere standard qualitativi elevati, vengono esportati in tutto il mondo con notevole perdita di immagine su mercati, magari ancora inesplorati, da parte delle nostre società» spiega Alessandro Arduino, responsabile dell’Ufficio Economico del Consolato Italiano di Shanghai. Registrare un brevetto o un marchio richiede tempi e costi non eccessivi e le autorità locali sono estremamente disponibili ad espletare le pratiche burocratiche. Pechino ha capito che il problema del copyright potrebbe frenare gli investimenti stranieri e per questo, dal 2001, con l’entrata della Cina nel WTO, sono nate in tutte le principali città le Agenzie per la Protezione Intellettuale. «Il problema dei copyright non interessa solo l’Italia» spiega Zhao Liang, dell’ufficio di Shanghai, «Le pene per chi viola una proprietà intellettuale registrata in Cina sono state recentemente inasprite. Spesso, però, ci troviamo di fronte ad imprenditori che, non avendo notificato il loro marchio in Cina, lasciano ampie scappatoie legali alle ditte concorrenti»
Stati Uniti e Giappone, due dei Paesi maggiormente colpiti dalle contraffazioni, stanno correndo ai ripari collaborando con il governo centrale, tanto che Pechino, nell’Aprile 2003, ha posto il vice Premier Wu Yi a capo della commissione nazionale per il controllo del rispetto dei copyrights e una agenzia intergovernativa statunitense ha iniziato, dall’ottobre 2003, a addestrare giudici cinesi per la protezione delle proprietà intellettuali nelle aree dove queste sono maggiormente violate. «Ma controllare un Paese di nove milioni di chilometri quadrati con un miliardo e trecento milioni di abitanti è praticamente impossibile» confessa Hiroshige Wada, dirigente della Matsushita Electric che, con la Hitachi, la Toshiba, la Mitsubishi e la JVC sta intentando una causa contro un centinaio di aziende cinesi che hanno immesso sul mercato dieci milioni di DVD senza pagare i diritti d’autore per un danno stimato attorno ai 3,5 milioni di dollari.
Alla Chang Tsi & Wang di Pechino, una delle maggiori agenzie private che si occupa di tutelare legalmente gli investitori stranieri in Cina, Angela Wang afferma che la registrazione di un marchio non preserva la ditta dalla contraffazione, ma «fornisce una base giuridica per intentare con successo ed in tempi non lunghi una causa». Le punizioni per chi viene ritenuto colpevole di violazione delle proprietà intellettuali sono state recentemente inasprite: oltre alle pene pecuniarie si rischiano sino a cinque anni di carcere, ma dopo alcune recenti scoperte di falsificazioni di medicinali c’è chi ha richiesto i lavori forzati o la pena di morte per i reati più gravi.

© Piergiorgio Pescali

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