Non dimenticare la storia


Als die Nazis die Kommunisten holten, habe ich geschwiegen;
ich war ja kein Kommunist.
Als sie die Sozialdemokraten einsperrten, habe ich geschwiegen;

ich war ja kein Sozialdemokrat.
Als sie die Gewerkschafter holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Gewerkschafter.
Als sie die Juden holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Jude.
Als sie mich holten,
gab es keinen mehr, der protestierte.


Quando i nazisti vennero per i comunisti, io restai in silenzio;
non ero comunista.
Quando rinchiusero i socialdemocratici, rimasi in silenzio;
non ero un socialdemocratico.
Quando vennero per i sindacalisti, io non feci sentire la mia voce;
non ero un sindacalista.
Quando vennero per gli ebrei, non protestai;
non ero un ebreo.
Quando vennero per me, non era più rimasto nessuno che potesse far sentire la mia voce.

(Emil Gustav Friedrich Martin Niemöller; Lippstadt, 14 gennaio 1892 – Wiesbaden, 6 marzo 1984)



S-21 - Nella prigione di Pol Pot

S-21 - Nella prigione di Pol Pot
S-21; un romanzo storico, una narrazione viva e potente che porta il lettore in una struttura detentiva istituita dal regime degli Khmer Rossi, una prigione da cui pochi sono tornati, seppur segnati nel corpo e nello spirito, vivi.

IL CUSTODE DI TERRA SANTA - un colloquio con padre Pierbattista Pizzaballa

IL CUSTODE DI TERRA SANTA - un colloquio con padre Pierbattista Pizzaballa
FESTIVAL FRANCESCANO 2014 - Rimini, piazza Tre Martiri,SABATO 27 SETTEMBRE - ORE 15.00 Presentazione del libro Il Custode di Terra Santa

INDOCINA - Un libro, una saggio, una guida per chi vuole approfondire

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Storia 1977-1997

Chi avesse la volontà e la costanza di andarsi a rileggere i vari programmi e le miriadi di giornalini pubblicati e divulgati dal nugolo di movimenti che costellavano il pianeta giovanile durante la contestazione degli anni Settanta, potrà rendersi conto che tutti, o quasi, questi punti di aggregazione avevano un personaggio, un politico, un guerrigliero a cui ispirare la loro lotta: Ho Chi Minh, Mao Zedong, Trotzky, Stalin, Hoxha, Pol Pot, Lumumba, Che Guevara erano i punti focali su cui si accentrava l’attenzione dell’universo politico di sinistra. Tra tanti ritratti, tante bandiere che venivano innalzati nei cortei e nelle assemblee, ne mancava , forse significativamente, uno: quello di Kim Il Sung e la bandiera della Corea del Nord. Ironia della sorte, tra tutti i Paesi, chiamamoli così, “guida” del Movimento, solo uno non ha ancora cambiato rotta: la Corea del Nord. Tutti gli altri, dalla Cina al Viet Nam e ancor più Cuba, pur continuando a mantenere l’appellativo “socialista” nella dizione ufficiale, hanno da tempo imboccato la via dell’economia mista, mentre altri come l’Albania o la Cambogia sono entrati in una fase precapitalistica che ha portato il caos tra la popolazione. E singolare sorge il parallelo tra questi Paesi e molti leader giovanili degli anni Settanta, i quali hanno occupato il posto (e non parlo solo dal punto di vista fisico) di chi un tempo contestavano duramente.
Unico, dicevo, resiste il Paese assente dalle bocche e dalle pagine del Movimento. E se oggi la Corea del Nord versa in grave crisi economica, occorre precisare che alle sue spalle non esiste più un sistema sociale a cui potersi appoggiare. L’intelaiatura economica che la globalizzazione è riuscita a tessere attorno al mondo è ormai talmente fitta e interdipendente, che è divenuto impossibile per un Paese dotarsi di un apparato economico e sociale autonomo. L’Italia, quinta potenza industriale mondiale, vede la propria ricchezza messa a repentaglio dall’arrivo di 15.000 (dico, quindicimila) albanesi; pensiamo a cosa potrebbe accadere se si trovasse in una situazione analoga a quella nordcoreana. E ancora, se oggi in Occidente e in Oriente il mito cubano ha monopolizzato il variegato mondo associazionistico ricevendo aiuti politici, morali e economici, nulla di tutto questo è accaduto per la Corea del Nord, la quale continua ad essere isolata (o isolarsi, come ci viene più volte ripetuto dai mass-media), da qualsiasi tipo di interesse.
Queste premesse, indispensabili per comprendere il “problema” nordcoreano, rappresentano gli epigoni delle ultime due decadi di storia della nazione asiatica; epigoni che mantengono una costante durante tutto questo arco di tempo: il completo disinteresse da parte dell’Occidente, verso il Paese che si riflette, in ultima istanza, in una mancanza di letteratura a riguardo. Risulta pertanto problematico recuperare fonti il più possibile obiettive (precisando che personalmente non confido nell’assoluta obiettività di qualsivoglia testo, articolo o opinione).
Fatte queste doverose premesse, è fuor di dubbio che l’economia nordcoreana, durante tutti gli anni Sessanta e Settanta ebbe sviluppi notevoli, tanto da dover importare manodopera dall’estero per poter far fronte ai ritmi di crescita. Verso la metà degli anni Settanta i primi sintomi di rallentamento, dovuti alla crisi petrolifera, vennero risolti con la rimozione di alcuni quadri di partito che favorirono l’ascesa di Kim Jong Il all’interno del Comitato Centrale del Partito. Sin dal 1975 Hwang Jong-yop, tutore e formatore ideologico di Kim Jong Il, stava preparando il terreno per favorire la scalata al potere del figlio di Kim Il Sung, creandogli, tra l’altro, il soprannome di “Caro Leader”. Per tutta la decade degli anni Ottanta, la Corea del Nord conobbe uno sviluppo urbanistico senza precedenti. A questi anni si debbono far risalire i principali monumenti del Paese, tra cui spicca la torre del Juche che dall’alto dei suoi 170 metri domina simbolicamente tutta la capitale (quindi, per transfer l’intera nazione) infondendo nel popolo nordcoreano l’idea antropocentrica dell’uomo artefice del proprio destino e della trasformazione del mondo. Lo sviluppo dell’edilizia popolare si esplica con la creazione di interi quartieri avveniristici, come quello di Kwangbok a Pyongyang, costato dieci miliardi di dollari e meta di studio di architetti da tutto il mondo. Fidando nelle proprie possibilità economiche, si inizia anche la costruzione di quell’hotel Rugyong che avrebbe dovuto diventare l’albergo più grande di tutto il mondo e che oggi svetta incompiuto nei cieli della capitale, quasi a simboleggiare il rallentamento subito dall’economia del Paese durante il VII Piano Quinquennale (1987-93). Chi oggi si recasse in Nord Corea potrebbe osservare gli edifici dell’architettura socialista creati in quegli anni e non ancora intaccati da quel degrado che caratterizza il panorama urbanistico di altre città come Hanoi, Pechino, Tirana.
Sul piano internazionale il confronto con la Corea del Sud raggiunge punti di tensione allarmanti lungo il 38° parallelo, tanto che in diverse occasioni i tre eserciti presenti nella penisola (quelli nord, sudcoreani e degli Stati Uniti), vengono posti in stato di massima allerta.
Il rifiuto di Seoul di dividere con Pyongyang l’organizzazione delle Olimpiadi del 1988, non fa altro che tendere la corda tra i due Paesi e il 40° anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Democratica di Corea viene festeggiato con una parata senza precedenti davanti a 300 delegazioni di 130 Paesi.
All’inizio degli anni Novanta, a causa degli avvenimenti di Tien An Men e dopo il monito del Premio Nobel assegnato al Dalai Lama, la Cina si vede costretta a riguadagnare la credibilità internazionale per non rimanere isolata politicamente e economicamente. In questo frangente la questione coreana rappresenta l’unica ancora di salvezza disponibile, il deus ex machina della situazione. Pechino rimane infatti l’unico interlocutore privilegiato della dirigenza di Pyongyang e ciò permette ai cinesi di mantenere l’indispensabile ruolo di mediatore tra Nord Corea e Stati Uniti, senza interrompere l’avvicinamento in atto con la Corea del Sud. La questione nucleare rappresenta la grande occasione che favorisce l’inserimento cinese negli affari della penisola. La caduta della superpotenza atomica sovietica e la politica di polizia internazionale inaugurata ufficialmente da Clinton con la Guerra del Golfo, aveva consacrato gli Stati Uniti supervisori dell’atomo nel mondo. Washington non poteva tollerare che una “scheggia impazzita” (cioè non controllata dalla Casa Bianca) potesse sviluppare una tecnologia nucleare assistendo e rifornendo Paesi a lui non graditi come Iran, Libia, Siria. L’inizio degli anni Novanta sono caratterizzati dal risolvimento della cosiddetta crisi nucleare, che aveva fatto balzare Pyongyang al primo posto nella classifica dei Paesi più pericolosi secondo Washington, a cui si sovrappongono i negoziati per la firma del trattato che trasformi l’armistizio del 1953 in una pace duratura, premessa necessaria per riunificare la penisola. E mentre i colloqui sulla centrale di Yonbyong proseguono a singhiozzo, sul fronte riunificazione si giunge ad un momento storico: i presidenti coreani si accordano per organizzare a Pyongyang il 25 luglio 1994 il primo incontro al vertice dei due Paesi. Siamo di fronte ad una svolta decisiva e sembra che si sia ad un passo anche dalla firma dei colloqui sul nucleare, ma l’8 luglio Kim Il Sung muore improvvisamente. E con il decesso del presidente nordcoreano, si cristallizza anche la situazione.
L’attenzione del mondo si sposta all’interno della nazione. Si ipotizzano successori diversi da Kim Jong Il, basandosi sul fatto che il “Caro Leader” non possiede il carisma del padre, l’appoggio incondizionato dei potenti militari e che, secondo fonti statunitensi, non sia neppure mentalmente stabile. Vengono riesumati nomi oramai dimenticati come Kim Yong Ju, fratello minore di Kim Il Sung o Kim Pyong Il, fratellastro di Kim Jong Il e figlio di Kim Song Ae, seconda moglie del “Grande Leader”. C’è chi giunge ad azzardare l’ipotesi di un colpo di stato guidato dal Ministro della Difesa O Jin U, ma alla fine la successione si rivela del tutto lineare, anche se la nomina ufficiale viene posticipata di tre anni (secondo alcuni osservatori Kim Jong Il dovrebbe assumere pieni poteri in settembre di quest’anno).
Con grande sorpresa di tutto il mondo la dirigenza del “Caro Leader” dimostra di essere assai più perspicace e abile di quanto abbiano pensato persino i più ottimisti osservatori esterni; anche i titoli dei giornali statunitensi e giapponesi cominciano a cambiare tono: Kim Jong Il improvvisamente cessa di essere il ragazzino viziato, capriccioso, playboy, inesperto e pazzo per trasformarsi in un genio della politica sotto la cui conduzione vengono siglati gli accordi nucleari. Per Pyongyang le trattative su quest’argomento sono state sempre condotte tenendo come punto di riferimento il mantenimento della propria integrità territoriale, politica ed economica. In questo senso la stesura del trattato, che prevede oltre alla costruzione a spese degli Stati Uniti, Corea del Sud e Giappone di due nuovi reattori, il rifornimento di carburante per 6 miliardi di dollari, rappresenta il capolavoro della diplomazia nordcoreana sotto la guida di Kim Jong Il.
Ma se sul piano internazionale la Corea del Nord ha ottenuto importanti successi, entro i suoi confini l’economia sta subendo bruschi contraccolpi a causa dello sgretolarsi del COMECON e le persistenti alluvioni che riducono drasticamente i raccolti agricoli distruggendo numerose infrastrutture logistiche. Se i primi segnali d’allarme cominciavano a delinerasi già nell’estate 1994, l’anno seguente il deficit alimentare raggiunge livelli intollerabili per scoppiare in drammatica crisi nel 1996. Per la prima volta nella sua storia il governo della Repubblica Popolare si trova costretto a chiedere aiuto alla comunità internazionale, ma sono in pochi a rispondere. A complicare ulteriormente la situazione si somma l’incidente del sottomarino sconfinato il 18 settembre 1996 in acque sudcoreane, la defezione verso la Corea del Sud di Hwang Jong yop pochi mesi dopo e la morte del Ministro della Difesa Kim Choe Gwang.
I contraccolpi a Pyongyang non si fanno attendere e Kim Jong Il da una parte critica violentemente i quadri del partito, dall’altra destituisce i vertici del governo. Ma saranno i prossimi anni a determinare quale sarà l’indirizzo politico economico a cui si affiderà la Corea del Nord. Stanno infatti per affacciarsi nel gruppo dirigenziale le cosiddette “nuove leve” di comando, la generazione di quaranta-cinquantenni cresciuta dopo la guerra e che, a differenza dei loro padri politici, ha viaggiato e studiato in diversi paesi del mondo. E’ la generazione a cui appartiene Kang Sok-ju, il rappresentante del Ministero degli Esteri che nel 1994 ha negoziato l’accordo nucleare, o Kim Jong U, direttore del Comitato di Cooperazione Economica Esterna, che sta cercando di attrarre investitori nelle zone ad economia speciale, o ancora Kim Dal Hyon che è riuscito a impressionare i sudcoreani per le sue doti di abile economista. Saranno questi alcuni dei nomi che prenderanno le redini del Paese nel XXI secolo.

© Piergiorgio Pescali

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