Non dimenticare la storia


Als die Nazis die Kommunisten holten, habe ich geschwiegen;
ich war ja kein Kommunist.
Als sie die Sozialdemokraten einsperrten, habe ich geschwiegen;

ich war ja kein Sozialdemokrat.
Als sie die Gewerkschafter holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Gewerkschafter.
Als sie die Juden holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Jude.
Als sie mich holten,
gab es keinen mehr, der protestierte.


Quando i nazisti vennero per i comunisti, io restai in silenzio;
non ero comunista.
Quando rinchiusero i socialdemocratici, rimasi in silenzio;
non ero un socialdemocratico.
Quando vennero per i sindacalisti, io non feci sentire la mia voce;
non ero un sindacalista.
Quando vennero per gli ebrei, non protestai;
non ero un ebreo.
Quando vennero per me, non era più rimasto nessuno che potesse far sentire la mia voce.

(Emil Gustav Friedrich Martin Niemöller; Lippstadt, 14 gennaio 1892 – Wiesbaden, 6 marzo 1984)



S-21 - Nella prigione di Pol Pot

S-21 - Nella prigione di Pol Pot
S-21; un romanzo storico, una narrazione viva e potente che porta il lettore in una struttura detentiva istituita dal regime degli Khmer Rossi, una prigione da cui pochi sono tornati, seppur segnati nel corpo e nello spirito, vivi.

IL CUSTODE DI TERRA SANTA - un colloquio con padre Pierbattista Pizzaballa

IL CUSTODE DI TERRA SANTA - un colloquio con padre Pierbattista Pizzaballa
FESTIVAL FRANCESCANO 2014 - Rimini, piazza Tre Martiri,SABATO 27 SETTEMBRE - ORE 15.00 Presentazione del libro Il Custode di Terra Santa

INDOCINA - Un libro, una saggio, una guida per chi vuole approfondire

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Reportage (2003)

Una pelle ancora giovane e morbida solcata da piccole cicatrici scure; qua e là, sparsi come coriandoli, minuscoli nèi appiccicati a dovere, come usavano fare le dame francesi alla corte del Re Sole. Infine, due occhi azzurri come lapislazzuli, che brillano al sole contornati da ciglia. Un incanto di cui rimango affascinato.
-Bello, eh?- mi chiede Kim Chon, ridestandomi dai miei pensieri. E d’improvviso, ecco che la pelle giovane ed elastica si trasforma in una verde distesa d’erba, le cicatrici divengono torrenti, i nèi villaggi dispersi tra campi coltivati a grano e riso e gli occhi due laghetti, lungo le cui sponde si dissetano alcune mucche.
La chiamano “Buco Nero”, questa regione che sto percorrendo su una macchina che arranca faticosamente lungo i tornanti che portano alla cima del passo. La vallata è ora ben visibile in tutta la sua lunghezza di fianco a me, qualche centinaio di metri più in basso.
Il “Buco Nero” è un’ampia area a nordest di Pyongyang, situata nell’entroterra costiero, che raggiunge i confini con la Cina a settentrione. Qui, secondo Human Rights Watch, vivrebbero fino a 150.000 prigionieri politici, raccolti in diversi campi di rieducazione, città, paesini e questo spiega il nome: nessuno straniero, fino a poco tempo fa, era ammesso nella regione e anche gli stessi nordcoreani dovevano ottenere un permesso speciale per visitarla. Recentemente, solo alcuni funzionari del PAM (Programma di Alimentazione Mondiale), impegnati nel fronteggiare la carestia che ha colpito la Corea del Nord tra il 1995 e il 1997, hanno potuto visitarla. Questa che sto compiendo con alcuni membri del Chongryun, la potente Associazione dei Nord Coreani residenti in Giappone, è una delle rarissime concessioni che il governo di Kim Jong Il ha autorizzato al di fuori del programma di aiuti; una veloce visita di tre giorni in zone considerate particolarmente delicate con l’obbligo di non sviare dall’itinerario prestabilito.
Il terreno, aspro ed accidentato, è solcato da piccoli fiumi a carattere torrentizio che, incassati in strette e tortuose valli, non riescono a sfogare le piene estive se non traboccando dal proprio alveo e inondando tutto ciò che incontrano. Proprio come quel piccolo rivolo, all’apparenza innocuo, che scorre nella valle verso cui ora, dopo aver oltrepassato il passo, stiamo scendendo.
-Nel 1995 qui si sono registrate le peggiori alluvioni della Corea.- osserva Kim.
Il governo ha cercato con ogni mezzo di trasformare una zona selvaggia e improduttiva, in un un’area agricola e industriale. In parte c’è riuscito, almeno a giudicare dal terreno diviso in rettangoli e solcato da canali d’irrigazione, ma non ha mai domato la furia degli elementi naturali, pur costruendo dighe e argini più solidi.
E così eccoci a Sambong-ri, nella provincia di Ryanggang; una manciata di casupole di mattoni e fango ricoperte da tetti di eternit sbeccati e rattoppati in più punti. Qui, gli effetti delle inondazioni si possono ancora toccare con mano: l’asilo è diroccato e i bambini vengono dirottati in una sala attigua alla scuola. Non che questa sia ridotta meglio, ma per lo meno ha i quattro muri ancora intatti ed una copertura di plastica che protegge alla bell’è meglio i bambini dagli acquazzoni. D’inverno la neve e il gelo, che raggiunge temperature minime di meno 20, meno 30 gradi, rende impraticabile anche quest’unica struttura.
Momentaneamente, tra lezioni di storia e calcoli matematici, i più piccoli giocano silenziosi con macchinine di latta ammaccate, bambole mutilate, mitragliatrici dalla canna troncata dalle troppe battaglie.
-Contro chi combatti?- chiede ad un bambino di cinque o sei anni che gli punta una pistola di legno, un membro del Chongryun; -Contro i nemici del popolo coreano.- traduce la risposta la guida.
-E chi sarebbero questi nemici?-
-Gli americani e i giapponesi.- risponde il bambino. Nessuno scoop, dunque!
Interviene la maestra che, un poco imbarazzata, spiega agli amici del Chongryun quanto sia migliorata la situazione alimentare rispetto a tre anni fa, -quando nella scodella i bambini trovavano solo una minestrina in cui galleggiava qualche chicco di riso e di mais.-
In verità, bambini emaciati non ne notiamo, ma la vita a Sambong-ri non deve essere facile a giudicare dalla condizione delle case e del principale negozio di alimentari. Persino la statua di Kim Il Sung, solitamente sempre curata e lucida, è una bruttissima (per non dire orrenda) copia di quella presente sulla collina Mansu di Pyongyang. Il banco della bottega nella via principale, è semivuoto: qualche bottiglia di birra, 4 o 5 pacchetti di tabacco, pesce secco.
-Non c’è molto perché qui siamo in campagna e i generi di prima necessità arrivano direttamente dal governo, che li distribuisce mensilmente alle famiglie.- tenta di giustificarsi il gestore del negozio.
Certo è che gli abitanti del paesino devono essersela vista brutta durante la carestia: sono molti i nuclei famigliari che lamentano la morte di uno o più parenti. La maggior parte dei decessi ha interessato vecchi, col fisico già debilitato dalle malattie o bambini, il cui organismo non riusciva a digerire i surrogati preparati in casa in sostituzione del riso: erbe, radici, cortecce e, come ultima sponda, segatura diluita in acqua.
Per tre anni, la cooperativa di Sambong-ri non h praticamente prodotto nulla. Solo in questi ultimi mesi ha ripreso a funzionare a pieno ritmo ed il raccolto si prevede sarà superiore a quello degli anni passati. Rim Jong, un agronomo del Chongryun, esamina i chicchi di cereali ancora sulle piantine e afferma che la qualità è nettamente migliorata rispetto alla sua ultima visita, avvenuta due anni fa con il PAM.
-Merito delle innovazioni tecniche e organizzative introdotte dopo il 1998- conclude. Tra queste riforme, due sono le più importanti: la possibilità data ai singoli di coltivare un orticello per il consumo famigliare e l’adozione di un sistema meritocratico. Il primo ha permesso al governo centrale di alleggerire il gravoso e dispendioso impegno di dover sfamare milioni di nordcoreani ridistribuendo il raccolto, mentre il secondo ha avuto come effetto un miglioramento della produttività agricola, confermata anche dal Rural Development Administration di Seoul, solitamente mai troppo tenero con il sistema adottato dai nordcoreani. Tutte le abitazioni di Sambong-ri, ora hanno il loro appezzamento di terreno ricoperto di verdure e alberi da frutto.
-Dovesse capitare un’altra carestia come quella degli anni scorsi, ora sapremmo fronteggiarla meglio.- afferma fiducioso Pak Hi-san, il direttore della cooperativa. Ci invita a pranzo nella sua casa. Accettiamo, ma solo a patto che ci faccia mangiare le pietanze che vengono consumate in famiglia. Soonji, la moglie ci aspetta all’ingresso per accompagnarci nel soggiorno. La casa dei Pak è divisa in quattro stanze con pavimento in legno; pochi i mobili, una piccola credenza con vetri molati, un tavolino posto su un tappeto, alcune stuoie e gli immancabili ritratti di Kim Il Sung e Kim Jong Il, sotto i cui sguardi cominciamo a piluccare il cibo. Tra verdure bollite, kimchi, zuppe in salsa di soia e frutta, i discorsi tornano spesso alla carestia, quasi fosse un fantasma con cui le famiglie nordcoreane siano condannate a convivere chissà per quanto tempo ancora. L’ossessione del cibo, del freddo invernale, la paura di svegliarsi al mattino e trovare il figlioletto di due anni immobile, l’attesa spasmodica degli aiuti, sono ricordi troppo vicini per poter essere racchiusi nei confini dei propri pensieri.
-Per fortuna abbiamo la nostra Guida su cui possiamo in ogni istante fare affidamento.-
E gli occhi di Hi-san e Soonji, all’unisono, guardano con fiducia Kim Jong Il.

© Piergiorgio Pescali

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