Non dimenticare la storia


Als die Nazis die Kommunisten holten, habe ich geschwiegen;
ich war ja kein Kommunist.
Als sie die Sozialdemokraten einsperrten, habe ich geschwiegen;

ich war ja kein Sozialdemokrat.
Als sie die Gewerkschafter holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Gewerkschafter.
Als sie die Juden holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Jude.
Als sie mich holten,
gab es keinen mehr, der protestierte.


Quando i nazisti vennero per i comunisti, io restai in silenzio;
non ero comunista.
Quando rinchiusero i socialdemocratici, rimasi in silenzio;
non ero un socialdemocratico.
Quando vennero per i sindacalisti, io non feci sentire la mia voce;
non ero un sindacalista.
Quando vennero per gli ebrei, non protestai;
non ero un ebreo.
Quando vennero per me, non era più rimasto nessuno che potesse far sentire la mia voce.

(Emil Gustav Friedrich Martin Niemöller; Lippstadt, 14 gennaio 1892 – Wiesbaden, 6 marzo 1984)



S-21 - Nella prigione di Pol Pot

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S-21; un romanzo storico, una narrazione viva e potente che porta il lettore in una struttura detentiva istituita dal regime degli Khmer Rossi, una prigione da cui pochi sono tornati, seppur segnati nel corpo e nello spirito, vivi.

IL CUSTODE DI TERRA SANTA - un colloquio con padre Pierbattista Pizzaballa

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FESTIVAL FRANCESCANO 2014 - Rimini, piazza Tre Martiri,SABATO 27 SETTEMBRE - ORE 15.00 Presentazione del libro Il Custode di Terra Santa

INDOCINA - Un libro, una saggio, una guida per chi vuole approfondire

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La religione in Corea del Nord (2002)

Bertrand Russell, tentando di tracciare un parallelismo tra marxismo e cristianesimo ha paragonato “il materialismo dialettico della visione marxista al Dio biblico, il proletariato agli eletti, il partito Comunista alla Chiesa, la rivoluzione al Secondo Avvento e la società comunista al millennio”. Indubbiamente, come molti teologi e filosofi hanno fatto notare, le visioni totalitaristiche e salvifiche proposte dalle dottrine cristiana e comunista, assieme al disegno rivoluzionario della società e al primitivo comunitarismo dei primi sodalizi cristiani, possono indurre a vedere più di un aspetto comune tra i due annunci. Questo parallelismo ha però portato ad un antagonismo dei regimi ad indirizzo socialista con le fedi religiose, in particolare con le chiese cristiane, più strutturate dal punto di vista socio-politico e radicate nel contesto europeo e nordamericano. Ad ogni modo, non è possibile affermare, tranne che per poche eccezioni, che la religione negli stati comunisti abbia subito un bando radicale. Nuclei più o meno strutturati di fedeli sono sempre stati tollerati: lo si è riscontrato nell’Unione Sovietica, nella Cina Popolare e lo riscontra oggi in quello che viene definito l’ultimo bastione del comunismo ortodosso al mondo, la Corea del Nord dove, anzi, il governo intrattiene buoni rapporti con le autorità ecclesiastiche, tanto da indurre Kim Jong Il a invitare il papa a far visita al Paese.
Nonostante l’articolo 68 della costituzione nordcoreana garantisca a tutti la libertà di culto, questo è oggetto a norme restrittive volte a preservarlo entro determinati limiti. Il testo dell’articolo recita che «Il diritto (di culto, n.d.a.) è garantito con l’approvazione della costruzione di edifici religiosi e la possibilità di tenere cerimonie religiose. Nessuno può servirsi della religione come pretesto per guidare all’interno (del Paese, n.d.a.) forze straniere o per danneggiare lo Stato e l’ordine sociale». Per cinque decenni il timore (non infondato) di un’invasione militare o di una destabilizzazione sociale ottenuta con l’ausilio di organizzazioni di copertura da parte della Corea del Sud o degli USA, ha giocato un ruolo fondamentale nella politica nordcoreana, che ha frenato e spesso represso ogni forma di associazionismo al di fuori dei binari ufficiali. Dalla fine degli anni Ottanta, però, la situazione sta radicalmente cambiando. La piccola comunità cristiana di Pyongyang, circa duemila fedeli, di cui 800 cattolici, può liberamente radunarsi ad assistere la messa nella chiesa cattolica di Changchung, in pieno centro della capitale, e nelle due chiese protestanti di Chilgol e Bong Su, così come frequentare i corsi di catechismo settimanali. Organismi cattolici come la Caritas, Misereor, i frati Benedettini (la congregazione più numerosa in Nord Corea prima del 1950) hanno avviato programmi di collaborazione e sviluppo ed il governo stesso non cela la sua preferenza verso questo tipo di interventi, meno politicamente interessati rispetto agli aiuti convogliati in via ufficiale dagli stati e dalle agenzie collegate all’ONU. In previsione di una apertura delle frontiere, la Chiesa cattolica ha fondato due associazioni con lo scopo di ricominciare il lavoro missionario e umanitario interrotto nel 1950. Al Comitato per l’Evangelizzazione della Corea del Nord è stata presto aggiunta la Conferenza per le Missioni del Nord, fondata nel 1994, il cui campo di attività varcherebbe i confini coreani per operare anche nelle regioni nordorientale della Cina, dove già lavorano i Salesiani, Francescani, Benedettini, Padri di Mayknoll. Ma se Pyongyang è ben disposta verso le Chiese cosiddette “storiche”, è invece infuriata con quella costellazione di miriadi di comunità e sette che proliferano in Corea del Sud con l’aiuto finanziario degli Stati Uniti. Migliaia di sudcoreani e cinesi si sono stanziati lungo i 1.300 chilometri del confine sino-coreano per accogliere i cittadini nordcoreani che attraversano la frontiera alla ricerca di cibo e di commercio, facendo opera di proselitismo religioso caratterizzato da un violento anticomunismo. Con l’avvento dell’amministrazione Bush, questa pratica è divenuta ancora più audace, in particolare con i missionari della Full Gospel Church, che entrano nel Nord con un visto d’affari e si spingono a predicare casa per casa elargendo dollari e yen ai convertiti. «Rispettiamo la chiesa cattolica perché, a differenza di altre confessioni, non cerca di interferire con la nostra politica.» afferma Kim Hyoun-ho, Direttore del Dipartimento Europeo del Comitato per le Relazioni Culturali con i Paesi Esteri. La conferma, almeno apparente, l’ho una domenica mattina, quando nella chiesa di Changchung vedo circa 250 fedeli assistere alla messa; tutti, prima di varcare il sagrato, hanno tolto la spilla con il simbolo del partito o il ritratto di Kim Il Sung e Kim Jong Il. «Durante la messa le tolgono perché vengono a pregare e portare i loro rispetti a Dio» spiega Paolo Kang Ji Yong, Segretario Generale dell’Associazione Cattolica Nordcoreana, che continua: «Nella vita religiosa sono devoti a Cristo, ma nella vita sociale rispettano e rendono omaggio al Grande Presidente Kim Il Sung e al Grande Leader Kim Jong Il, che si prendono cura di loro». I toni smussati e conciliatori di Kim Hyoun-ho e Paolo Kang Ji Yong, privi della retorica propagandistica di cui erano impregnati i discorsi di qualsiasi nordcoreano fino a qualche anno fa, riflettono le recenti prese di posizione del governo e le sorprendenti dichiarazioni dello stesso Kim Jong Il. Il premier dello stato, dopo aver ammesso che il suo paese era responsabile dei rapimenti di 13 cittadini giapponesi avvenuti negli anni Settanta e Ottanta, ha confermato la produzione di ordigni atomici da parte dei centri di ricerca militari. Questo non significa che il Nord sia pronto ad attaccare il Sud, come gli Stati Uniti vorrebbero far credere; chiunque visiti la Corea del Nord può facilmente intuire che un confronto militare tra le due Coree si risolverebbe con un disastro per il Nord e l’annientamento del regime. Il milione e duecentomila soldati male armati, dotati di mezzi dall’antiquata tecnologia, a corto di carburante e privi di parti di ricambio, potrebbero ben poco contro i seicentomila militari del Sud, superarmati con le più sofisticate tecnologie e appoggiati da altri trentacinquemila statunitensi, portaerei, bombardieri, carri armati, missili. Le bombe atomiche che Pyongyang ha dichiarato di possedere, molto probabilmente non potrebbero neppure lasciare il luogo dove sono custodite: verrebbero neutralizzate, se non distrutte, dai sistemi di intercettazione USA. La tensione creata dagli Stati Uniti presentando una Corea del Nord aggressiva sino a giungere ad annoverarla tra i “Paesi del Male” (Axis of Evil) e gli “Stati canaglia” (Rough States), ha piuttosto la doppia funzione di impedire l’esclusione di Washington da ogni processo decisionale nella regione e di tenere sempre alta la tensione nel Pacifico, al fine di giustificare i due miliardi di dollari spesi per il TMD (Theatre Missile Defence), il programma spaziale di intercettazione missilistica diretto principalmente contro la Cina Popolare.
C’è da dire, comunque, che Kim Jong Il sta giocando al meglio le sue carte, sbalordendo perfino i servizi segreti sudcoreani i quali, dopo averlo definito nel passato alcolizzato, donnaiolo, megalomane, ritardato mentale e aver dipinto con toni foschi il futuro del Paese da lui guidato, oggi stanno ridisegnando le biografie raggiungendo spesso eccessi opposti (in un recente rapporto Kim Jong Il è stato descritto come un genio del computer). Anche se l’Occidente ha attribuito tutto il merito dell’avvicinamento tra Seoul e Pyongyang al solo presidente sudcoreano Kim Dae Jung, conferendogli anche il Nobel per la Pace, non bisogna dimenticare l’altrettanto decisivo ruolo avuto da Kim Jong Il. Nelle rappresentazioni teatrali del Mangyondae Schoolchildren Palace, ad esempio, sono stati eliminati i riferimenti ironici destinati ai politici sudcoreani e al Museo della Rivoluzione Coreana, le guide hanno smussato i toni polemici che accompagnavano le visite ai reperti della guerra del 1950-53. Tutto questo non è stato ottenuto facilmente, tutt’altro. Da quando è salito al potere, nel 1994, il Grande Leader ha dovuto prima di tutto rafforzare la sua posizione all’interno del Partito e garantirsi la fiducia dei militari. Il raggiungimento e il consolidamento della leadership al vertice dello Stato, è coinciso con l’inizio delle riforme politiche e economiche. Prima il vertice di Pyongyang, nel giugno del 2000, dove due Presidenti coreani si sono dati la mano per la prima volta dopo cinquant’anni, poi le graduali aperture verso l’Europa (in cui l’Italia, una volta tanto, è stata saggio precursore) ed infine le sempre più radicali riforme economiche, sfociate nell’estate di quest’anno con provvedimenti alquanto discutibili dal punto di vista sociale, ma applauditi dal mercato internazionale. Già prima della caduta del Muro di Berlino, il Paese asiatico aveva perso lo slancio economico che gli aveva permesso di raggiungere traguardi di tutto rispetto nei primi decenni del dopoguerra, ma la dissoluzione del mercato socialista e una drammatica serie di disastri naturali ha dato il colpo di grazia. Il ponte di solidarietà avviato da numerose agenzie, associazioni, organizzazioni non ha impedito a centinaia di migliaia di nordcoreani di soccombere, specialmente nelle aree più isolate, mentre la penuria di combustibile ha lasciato al gelo intere province. Per fronteggiare la situazione, il governo ha accettato di esporre al mondo intero le sue ferite lasciando entrare in zone un tempo vietate, rappresentanti di alcune delle ONG più selezionate (tra cui quelle cattoliche). Al tempo stesso, vista l’impossibilità da parte di Pyongyang di garantire il rifornimento alimentare, ai cittadini è stata aumentata la quota di appezzamenti che possono essere coltivati privatamente, con la possibilità di vendere al mercato libero l’eccesso di produzione. Questi mercatini, chiamati “mercati dei contadini”, hanno rappresentato per anni l’ultimo retaggio di capitalismo della Corea prerivoluzionaria; mai aboliti in toto, sono però sempre stati stigmatizzati dalle autorità. Oggi sono tornati in auge e ogni distretto ne organizza uno ogni dieci giorni. Una visita alle cooperative dà l’idea di quanto grave sia la situazione: la mancanza di mezzi motorizzati obbliga le brigate di lavoro ad adoperarsi incessantemente per radunare il raccolto al sicuro prima che qualche monsone lo faccia marcire. A Wonsan, dopo che un’improvvisa alluvione ha devastato l’intera provincia, vedo migliaia di persone cooptate nelle scuole, nelle fabbriche, nelle singole case, affannarsi inutilmente per stipare il riso nei silos. Le piogge torrenziali che hanno colpito la regione hanno oramai impregnato la pula facendo marcire il raccolto. Lungo la spiaggia decine di persone setacciano i detriti portati dal mare alla ricerca di qualche cibo commestibile o di legna da ardere per l’inverno. In città una delegazione della Croce Rossa Internazionale guidata da un norvegese, distribuisce generi di prima necessità nei quartieri più colpiti, mentre nell’ospedale distrettuale solo la generosa abnegazione del personale sopperisce alla mancanza di medicine e di spazi adeguatamente attrezzati.
Nelle vicinanze di Pyongyang la situazione è più rosea, grazie al tempo più clemente, ma gli scaffali dei negozi statali continuano ad essere vuoti. Solo qualche lattina di olio e li liquore di riso male fermentato sono esposte. «Non riceviamo rifornimenti dallo stato da mesi oramai» conclude sconsolata la gestrice dello spaccio. Solo nelle città più importanti i negozi mostrano generosamente scaffali e frigoriferi ricolmi di merce di ogni genere importata dall’estero. Ma tutto questo scintillio di lattine di Coca Cola, vasetti di Nutella, scatole di latte e caffè Nestlè, tute Reebock, scarpe Nike, HiFi Hitachi sono a disposizione di ben poche persone. Primo perché la moneta accettata in queste oasi di capitalismo è il dollaro e lo yen e solo chi ha conoscenti all’estero può possederli, poi perché dopo le riforme estive il cambio inchiodato da decenni a 2,15 won per un dollaro, è schizzato 150 a uno. Si è dato così inizio alla spirale inflazionistica tipica del mercato capitalista e, fino ad oggi sconosciuta in Corea del Nord, che ha eroso il già basso potere d’acquisto dei cittadini. I 3.000 won intascati dalla mia guida (rispetto ai 150 precedenti), anche sommati ai 4.000 guadagnati dalla moglie giornalista (prima erano 170) bastano appena per comprare il riso (aumentato di 50 volte) e una scatola di latte in polvere ogni mese per il loro figlioletto, costo 2.580 won. «Le riforme introdotte aumenteranno di sicuro le differenze tra ricchi e poveri» mi dice Masao Okonogi, professore di economia alla Tokyo Keio University. Nelle fabbriche, che funzionano a intermittenza a causa dei continui black out di corrente, sono stati introdotti stipendi commisurati alla produttività, eppure gli operai continuano a sostenere la politica del governo: «Le riforme di Kim Jong Il non sono altro che la perfezione del comunismo. Chi lavora di più ha diritto di guadagnare di più. Questo è socialismo» afferma il caporeparto di un’industria meccanica. Ma cosa penserà questo stesso caporeparto quando si procederà alla ristrutturazione che Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale vorrebbero imporre al paese per garantire i prestiti necessari per risanare l’economia? Licenziamenti, tassazioni, affitti, educazione e sanità non più gratuite saranno tollerati da una popolazione abituata in questi decenni a vivere senza libertà, ma con la garanzia di poter condurre una vita dignitosa?

© Piergiorgio Pescali

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