La salita al potere di Kim Jong Il è stata una delle maggiori incognite nella storia politica del dopoguerra. Alcuni analisti ipotizzavano anche un colpo di stato incruento all’interno del Partito da parte dei militari, che avrebbero relegato Kim Jong Il ad un ruolo secondario o addirittura subalterno ad essi. Oggi, dopo nove anni di governo, è possibile analizzare i risultati ottenuti dalla gestione del “Grande Leader”. Il consolidamento ed il riconoscimento della leadership di Kim Jong Il a Pyongyang, non è mai stato scontato, come molti media occidentali assicuravano. Solo con un’accorta politica di avvicendamento di persone a lui fedeli nei posti chiave dell’esercito e del Partito dei Lavoratori, Kim Jong Il ha potuto evitare di essere estromesso. E’ comunque opinione di tutti gli osservatori che la Corea del Nord sotto la sua guida, ha imboccato la via d’uscita dall’isolamento internazionale a cui era, volontariamente o no, relegata. Il principale catalizzatore di questa apertura è stata la carestia che per tre anni, dal 1995 al 1997, ha decimato i raccolti di grano e riso, ma non c’è dubbio che i segni premonitori del nuovo corso nordcoreano si erano già presentati mesi prima, con l’accordo nucleare con gli Stati Uniti nel 1994, che aveva garantito la fornitura di ingenti quantità di combustibile e la costruzione di nuovi reattori nucleari più moderni e sicuri. Dalla firma di quel trattato, conclusasi poche settimane dopo la morte del padre, Kim Jong Il si è guadagnato sempre più la stima e la simpatia di governi un tempo ostili, ha incontrato il Presidente sudcoreano Kim Dae-jung, organizzato gli incontri tra le famiglie divise dalla guerra. Ma basta l’appoggio internazionale per garantire al leader nordcoreano il mantenimento delle redini del governo? Se da una parte la dirigenza attualmente al vertice a Pyongyang ha bisogno di un riconoscimento esterno, dall’altro questo potrebbe volere come contropartita la diminuzione delle spese militari e dell’esportazioni di missili, esponendo Kim Jong Il al rischio di un indebolimento interno.
-E questo- dice Suh Jae Jean, Capo Analista dell’Istituto di Ricerca sull’Unificazione Nazionale di Seoul, -non è conveniente per nessuno dei Paesi che si affacciano sul Pacifico.-
Una guerra, per di più nucleare, non è ipotizzabile, ma oggi le guerre non si fanno solo con le armi.
© Piergiorgio Pescali
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