Non dimenticare la storia


Als die Nazis die Kommunisten holten, habe ich geschwiegen;
ich war ja kein Kommunist.
Als sie die Sozialdemokraten einsperrten, habe ich geschwiegen;

ich war ja kein Sozialdemokrat.
Als sie die Gewerkschafter holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Gewerkschafter.
Als sie die Juden holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Jude.
Als sie mich holten,
gab es keinen mehr, der protestierte.


Quando i nazisti vennero per i comunisti, io restai in silenzio;
non ero comunista.
Quando rinchiusero i socialdemocratici, rimasi in silenzio;
non ero un socialdemocratico.
Quando vennero per i sindacalisti, io non feci sentire la mia voce;
non ero un sindacalista.
Quando vennero per gli ebrei, non protestai;
non ero un ebreo.
Quando vennero per me, non era più rimasto nessuno che potesse far sentire la mia voce.

(Emil Gustav Friedrich Martin Niemöller; Lippstadt, 14 gennaio 1892 – Wiesbaden, 6 marzo 1984)



S-21 - Nella prigione di Pol Pot

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S-21; un romanzo storico, una narrazione viva e potente che porta il lettore in una struttura detentiva istituita dal regime degli Khmer Rossi, una prigione da cui pochi sono tornati, seppur segnati nel corpo e nello spirito, vivi.

IL CUSTODE DI TERRA SANTA - un colloquio con padre Pierbattista Pizzaballa

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FESTIVAL FRANCESCANO 2014 - Rimini, piazza Tre Martiri,SABATO 27 SETTEMBRE - ORE 15.00 Presentazione del libro Il Custode di Terra Santa

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Italia-Corea del Nord: 0-1

E’ stata la partita della loro vita, ed oggi si è trasformata in un cortometraggio, grazie all’intraprendenza di due giovani inglesi: l’agente di viaggio Nick Bonner e il documentarista sportivo Daniel Gordon, direttore della VeryMuchSo Productions. Dal 20 al 30 ottobre 2000 la coppia si è recata in Corea del Nord riuscendo a rintracciare e intervistare sette degli undici giocatori che il 19 luglio 1966 inflissero la storica sconfitta che costò l’eliminazione dell’Italia dai mondiali di calcio d’Inghilterra. “La partita della loro vita”, questo è il titolo della pellicola, è stata concepita da Gordon stesso, 29 anni, originario di Middlesbrough, la cittadina inglese che ospitò la nazionale nordcoreana durante la sua trasferta in Europa. Il regista cominciò a interessarsi all’avvenimento grazie ai racconti di suo padre e di chi si era imbattuto nei “piccoli asiatici”; le serate ai pub davanti ai boccali di birra passavano ricordando la squadra di calcio arrivata senza speranza e che, alla fine, entrò nella leggenda del calcio battendo la fortissima Italia di Rivera, Mazzola, Albertosi, Facchetti, approdata in Inghilterra al termine di una impressionante sequela di vittorie. Molti nella nostra penisola assaporavano già l’idea di assistere all’arrivo della Coppa Rimet tra le mani dei fuoriclasse azzurri. Da parte loro, i nordcoreani, partiti da Pyongyang con gli auguri di Kim Il Sung, non si facevano illusioni: nel loro girone figuravano, oltre all’Italia, l’Unione Sovietica del portiere Yashin e il Cile reduce da un terzo posto nei precedenti mondiali. Nel filmato girato da Gordon e Bonner, il mediano Rim Jung-son dice che «prima di partire, il Grande Leader ci disse che, come rappresentanti delle squadre asiatiche e africane, sarebbe stato auspicabile vincere una o due partite»
Ottimista, questo Kim Il Sung, ma aveva i suoi buoni motivi: gli undici giocatori erano stati allenati in Unione Sovietica, che all’epoca aveva una nazionale tra le migliori al mondo. Inoltre, nella partita decisiva per la qualificazione il team nordcoreano aveva umiliato l’Australia nello stadio neutro di Phnom Penh, messo a disposizione dal re Sihanouk per aggirare la diplomazia. Canberra non riconosceva la Corea del Nord, contro cui alcuni suoi soldati avevano combattuto tredici anni prima sotto la bandiera dell’ONU, così come non la riconosceva Londra. Gli inglesi concessero il visto alla squadra nordcoreana solo dopo aver accordato con Pyongyang che la compagine sarebbe scesa in campo senza pretendere che si suonasse l’inno nazionale e che il nome ufficiale della nazione, Repubblica Democratica Popolare di Corea, non sarebbe mai comparso ufficialmente. L’Italia sconfisse il Cile nella partita d’esordio, ma fu a sua volta battuta dall’URSS; la partita con la formazione asiatica, che secondo le parole del vice CT Valcareggi «a vederla giocare sembra una comica di Ridolini» sarebbe stata decisiva, ma senza problemi. Invece il gol di Pak Doo-ik che al 41° del primo tempo si insaccò nella porta tricolore segnò una disfatta al cui cospetto «la caduta dell’Impero Romano non è nulla», come scrisse il giorno dopo la partita il Northern Echo di Middlesbrough. L’euforia che accompagnò la qualificazione della Corea del Nord ai quarti di finale contagiò l’intera Middlesbrough: tremila tifosi inglesi accompagnarono Pak Doo-ik e i suoi compatrioti a Liverpool, dove, aspettando di incontrare il Portogallo, alloggiarono nel Seminario Cattolico già prenotato dalla nazionale italiana. La partita con i Lusitani sembrò ripetere l’exploit contro gli Azzurri: dopo appena 22 minuti i nordcoreani erano in vantaggio per 3-0. L’inesperienza da una parte e un impressionante Eusebio dall’altra, però, contribuirono a rimediare una partita che sembrava perduta per i portoghesi, i quali conclusero i 90 minuti vincendo per 5-3. Subito dopo i formidabili undici rientrarono in patria e di loro non si seppe più nulla. Ci provò lo scrittore francese Pierre Rigoulot, con il libro L’ultimo Gulag, a cercare di svelare la sorte dei giocatori. Nella sua ricerca Rigoulot afferma che tutti i reduci dei campionati mondiali del 1966, tranne Pak Doo-ik, troppo famoso per scomparire improvvisamente, finirono nei campi di prigionia per aver festeggiato “mondanamente” la vittoria sull’Italia. Il documentario di Daniel Gordon ci concede un’altra versione grazie alle testimonianze dei sette calciatori ancora in vita. Accolti in patria come eroi, il governo ha concesso loro un appartamento a Pyongyang. Oggi molti di loro, tra cui il cinquantanovenne Pak Doo-ik, continuano a lavorare nel mondo del calcio anche se la nazionale “Ridolini” non si è più affacciata alle esibizioni internazionali. E chissà se in questi mondiali del 2002 saranno i fratelli sudcoreani a riproporre una versione moderna di quella mitica squadra che arrivò in Inghilterra sconosciuta e se ne andò lasciando un segno nella storia del calcio.

© Piergiorgio Pescali

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