Non dimenticare la storia


Als die Nazis die Kommunisten holten, habe ich geschwiegen;
ich war ja kein Kommunist.
Als sie die Sozialdemokraten einsperrten, habe ich geschwiegen;

ich war ja kein Sozialdemokrat.
Als sie die Gewerkschafter holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Gewerkschafter.
Als sie die Juden holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Jude.
Als sie mich holten,
gab es keinen mehr, der protestierte.


Quando i nazisti vennero per i comunisti, io restai in silenzio;
non ero comunista.
Quando rinchiusero i socialdemocratici, rimasi in silenzio;
non ero un socialdemocratico.
Quando vennero per i sindacalisti, io non feci sentire la mia voce;
non ero un sindacalista.
Quando vennero per gli ebrei, non protestai;
non ero un ebreo.
Quando vennero per me, non era più rimasto nessuno che potesse far sentire la mia voce.

(Emil Gustav Friedrich Martin Niemöller; Lippstadt, 14 gennaio 1892 – Wiesbaden, 6 marzo 1984)



S-21 - Nella prigione di Pol Pot

S-21 - Nella prigione di Pol Pot
S-21; un romanzo storico, una narrazione viva e potente che porta il lettore in una struttura detentiva istituita dal regime degli Khmer Rossi, una prigione da cui pochi sono tornati, seppur segnati nel corpo e nello spirito, vivi.

IL CUSTODE DI TERRA SANTA - un colloquio con padre Pierbattista Pizzaballa

IL CUSTODE DI TERRA SANTA - un colloquio con padre Pierbattista Pizzaballa
FESTIVAL FRANCESCANO 2014 - Rimini, piazza Tre Martiri,SABATO 27 SETTEMBRE - ORE 15.00 Presentazione del libro Il Custode di Terra Santa

INDOCINA - Un libro, una saggio, una guida per chi vuole approfondire

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Incontro leaders due Coree (2 Ottobre 2007) (II)

Il Presidente sudcoreano Roh Moo-hyun ha oltrepassato a piedi il 38° parallelo, l’ultimo pezzo di quella cortina di ferro che dal dopoguerra alla fine del XX secolo ha diviso il pianeta in due mondi contrapposti tra loro. Entrando in Corea del Nord, Roh è il secondo inquilino della Cheong Wa Dae, la Casa Bianca sudcoreana, a visitare il Paese socialista dopo il viaggio di Kim Dae Jung nel 2000, che gli fruttò il Premio Nobel per la Pace. Ma che tipo di nazione troverà il capo di stato sudcoreano? Sono pochissimi, sino ad oggi, gli stranieri che hanno avuto il permesso di varcare la frontiera della Repubblica Democratica Popolare. I giornalisti non vi sono ammessi, se non con qualche rarissima eccezione, tanto è vero che tra i 300 membri della delegazione che in queste ore è a Pyongyang, non vi sono rappresentanti della stampa estera. Dal 1996, anno in cui per la prima volta mi è stato concesso il visto di entrata, ad oggi, la nazione ha radicalmente cambiato volto. Da una parte i grandi magazzini di Pyongyang, la capitale, si sono riempiti di elettrodomestici giapponesi e sudcoreani, di capi firmati, di Nutella e Barilla. I semafori, che prima luccicavano in strade deserte, oggi fermano code di macchine Toyota, Mercedes, Hyundai. E i cartelloni, un tempo dedicati unicamente a ritratti del Presidente Kim Il Sung e ai volti felici e sorridenti di bambini e lavoratori, oggi cominciano a proporre automobili e prodotti alla moda. Ci si potrebbe aspettare di girare l’angolo e trovare un McDonald o una Coca Cola. Per ora non sono ancora arrivati, ma consumismo e globalizzazione si stanno facendo largo anche qui. Sono arrivati, invece, i mercati liberi, quelli dei contadini, degli artigiani, è arrivata la proprietà privata nelle campagne, la meritocrazia e gli stipendi proporzionati alla produttività nei luoghi di lavoro. «Chi produce di più guadagna di più. E’ la prima legge del socialismo» mi dice Pak Chil-hyun, Segretario del Partito Comunista di Hamchung, il principale centro industriale del Paese. «Ma come posso raggiungere la quota di produzione se ogni ora salta l’energia elettrica?» ribatte un operaio della Chollima Steel Kombinat, una delle maggiori acciaierie coreane. La colpa non è solo del sistema socialista, che ha funzionato per tre decenni; la carenza di corrente elettrica è dovuta principalmente alla mancata fornitura annuale di 500.000 tonnellate di combustibile, promessa da Clinton e negata subito dopo da Bush. La penuria di carburante ha influito negativamente anche sull’agricoltura: i negozi delle cooperative statali sono vuoti, le tessere annonarie, con cui i nordcoreani hanno vissuto decentemente fino agli anni Ottanta, oggi sono inutili pezzi di carta. Il mercato nero, dove un chilo di riso è venduto tre volte il prezzo fissato dallo stato, è oramai l’unico veicolo di sostentamento. Nel nord del paese, al confine con la Cina, la situazione è ancora più drammatica. Sono qui che sopravvivono i cosiddetti “buchi neri”, zone in cui secondo Human Rights Watch, vivrebbero fino a 150.000 prigionieri politici, raccolti in diversi campi di rieducazioni. «Non c’è molto perché qui siamo in campagna e i generi di prima necessità arrivano direttamente dal governo, che li distribuisce mensilmente alle famiglie.» tenta di giustificarsi il gestore del negozio. L’unica speranza è fuggire in Cina o trasferirsi al sud, nella Zona ad Economia Speciale di Kaesong, dove 16.000 nordcoreani, lavorano in 26 ditte sudcoreane ricevendo un salario triplo a quello di un normale lavoratore. Ma, per ora, sono solo sogni.

© Piergiorgio Pescali

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