Mentre in Medio Oriente le tensioni tra Stati Uniti e Iraq sembrano trovare sfogo in una fragile tregua, in un’altra regione dell’Asia si stanno seguendo con interesse gli sviluppi di una situazione che per i passati cinquant’anni è rimasta pericolosamente irrisolta. La penisola coreana, divisa dal 1953 in due nazioni rappresentanti gli interessi di diversi sistemi ideologici ed economici, sta vivendo una sorta di rinascimento politico grazie alle leadership di Kim Dae Jung, presidente della Corea del Sud e di Kim Jong Il, Premier della Corea del Nord. Chi ha mostrato maggior disponibilità al dialogo è stato proprio quest’ultimo, che dopo aver iniziato a rivedere l’economia nordcoreana introducendo riforme liberali, ha ammesso la responsabilità di Pyongyang nel rapimento di 13 cittadini giapponesi avvenuti negli anni 70-80 e lo sviluppo di progetti di ricerca per la produzione della bomba atomica. In questo modo, Kim Jong Il non solo ha sfidato la potente cricca militare del suo Paese, ma ha anche dato un colpo di grazia ai numerosi rapporti dei servizi segreti USA e sudcoreani che lo descrivevano del tutto inadatto a coprire un ruolo di leader. Gli accordi stipulati recentemente tra Corea del Nord e quella del Sud e Giappone, hanno stizzito Bush, che solo pochi mesi fa aveva accomunato la nazione socialista all’Iraq, Iran, Afghanistan e Libia nella definizione di “asse del male”. Ed oggi sono proprio gli USA, timorosi di essere esclusi nel processo di distensione in atto nella penisola, che cercano di far pericolosamente fallire il dialogo appena aperto; anche Gandhi affermò che «Non puoi stringere la mano a qualcuno che ti tende un pugno».
© Piergiorgio Pescali
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