Il governo di Hun Sen sta riscuotendo i primi successi sia in politica interna che in quella estera. Alle Nazioni Unite Norodom Ranriddh ha espresso un clamoroso mea culpa per aver stretto un’alleanza con i Khmer Rossi ed aver quindi aperto loro la porta del governo di Phnom Penh, mentre la radio governativa cambogiana ha annunciato che uno dei più popolari ex-membri del Funcipec, Toan Chay, governatore di Siem Reap, ha deciso di fondare un altro partito che parteciperà alle elezioni del 1998. Ranariddh, nel tentativo di guadagnare il favore dei governi occidentali come Stati Uniti e Francia, ha forse commesso un errore imperdonabile denunciando gli accordi che aveva stipulato con i Khmer Rossi. In questo modo rischia di alienarsi l’indispensabile aiuto della guerriglia comunista nell’emergente Resistenza che i suoi generali, con estrema fatica, stanno cercando di organizzare nel Nord-Ovest della Cambogia. L’incauta dichiarazione di Ranriddh ha inoltre fornito a Hun Sen la tanto cercata giustificazione per il colpo di stato del 5 luglio. Il nuovo premier ha infatti sempre sostenuto che, pur non avendo organizzato direttamente quello che lui chiama “rimpasto di governo”, essendo in vacanza in Viet Nam, lo aveva appoggiato perché il Paese “grazie ai leaders del Funcipec stava per essere di nuovo consegnato nelle mani dei Khmer Rossi.” L’imbarazzo delle truppe di opposizione, formate da reparti del Funcipec e da ex-Khmer Rossi, è enorme. A Pailin, dove mi trovo, i combattimenti continuano ad imperversare nelle campagne, ma sembra che i militari del PPC abbiano domato la resistenza a Siem Reap, la capitale culturale del Paese. Per ora, almeno qui, sia ex-Khmer Rossi che Funcipec hanno deciso di continuare a combattere uniti sino a nuovi ordini. La Radio dei Khmer Rossi, che trasmette da Anlong Veng, dove mi recherò tra qualche giorno, non ha ancora commentato le scottanti frasi dell’ex co-Premier, ma secondo alcuni ex membri del movimento, se ora il nuovo leader è veramente Khieu Samphan c’è la possibilità che i guerriglieri comunisti capiscano la “ragion di stato” delle parole di Ranariddh e continuino a collaborare militarmente. Per quanto riguarda la nascita del nuovo partito comandato da Toan Chay, nessuno ne è rimasto sorpreso. Già a maggio Toan, molto amato sia dai militari che dalla gente comune per i suoi appelli populisti, aveva deciso di uscire dal Funcipec per creare un suo partito che facesse da ponte tra i due principali blocchi politici del Paese. Il fatto che abbia deciso di restare in Cambogia, riconoscendo il nuovo governo, lo ha dipinto agli occhi dei ribelli come un fantoccio nelle mani di Hun Sen. Quest’ultimo ha ora un disperato bisogno di accogliere nell’Assemblea Nazionale un discreto numero di partiti che facciano da vassalli al suo PPC nella vita politica cambogiana e diano una parvenza di democrazia. Il conglomerato avrà come compito principale quello di accompagnare la Cambogia alle elezioni del 1998 assicurando la vittoria al partito dell’attuale Primo Ministro.
Lo scoglio più arduo da superare per Phnom Penh è rappresentato dal veto imposto dagli stati membri dell’Asean all’accoglimento della Cambogia in seno al gruppo. Per Hun Sen sarebbe uno smacco troppo grande, soprattutto perché la Cambogia avrebbe dovuto entrare nell’Alleanza assieme al Laos, lo stato più povero della regione, e al Myanmar, sino a ieri la nazione più criticata per le violazioni dei diritti umani. Un’esclusione della sola Cambogia porrebbe il governo di Hun Sen in pessima luce non solo di fronte ai suoi connazionali, del cui parere forse non si preoccupa neppure molto, ma anche nei confronti dei governi internazionali, del cui appoggio Phnom Penh ha estremo bisogno per non ricadere nell’isolamento già sperimentato negli anni Ottanta. Lo stesso Viet Nam, forse riconoscendo l’errore fatto nel 1979 quando ha dato le redini della nazione a Hun Sen, si è premunito già da tempo a “scaricare” il suo protetto definendolo all’inizio del 1997 “un pericoloso nazionalista”. Hanoi, che ha appena inaugurato una politica di distensione con Washington, non vuole avere problemi con i vicini e con tutta probabilità adotterà una politica neutrale in seno all’Asean.
© Piergiorgio Pescali
S-21 - Nella prigione di Pol Pot
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