Non dimenticare la storia


Als die Nazis die Kommunisten holten, habe ich geschwiegen;
ich war ja kein Kommunist.
Als sie die Sozialdemokraten einsperrten, habe ich geschwiegen;

ich war ja kein Sozialdemokrat.
Als sie die Gewerkschafter holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Gewerkschafter.
Als sie die Juden holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Jude.
Als sie mich holten,
gab es keinen mehr, der protestierte.


Quando i nazisti vennero per i comunisti, io restai in silenzio;
non ero comunista.
Quando rinchiusero i socialdemocratici, rimasi in silenzio;
non ero un socialdemocratico.
Quando vennero per i sindacalisti, io non feci sentire la mia voce;
non ero un sindacalista.
Quando vennero per gli ebrei, non protestai;
non ero un ebreo.
Quando vennero per me, non era più rimasto nessuno che potesse far sentire la mia voce.

(Emil Gustav Friedrich Martin Niemöller; Lippstadt, 14 gennaio 1892 – Wiesbaden, 6 marzo 1984)



S-21 - Nella prigione di Pol Pot

S-21 - Nella prigione di Pol Pot
S-21; un romanzo storico, una narrazione viva e potente che porta il lettore in una struttura detentiva istituita dal regime degli Khmer Rossi, una prigione da cui pochi sono tornati, seppur segnati nel corpo e nello spirito, vivi.

IL CUSTODE DI TERRA SANTA - un colloquio con padre Pierbattista Pizzaballa

IL CUSTODE DI TERRA SANTA - un colloquio con padre Pierbattista Pizzaballa
FESTIVAL FRANCESCANO 2014 - Rimini, piazza Tre Martiri,SABATO 27 SETTEMBRE - ORE 15.00 Presentazione del libro Il Custode di Terra Santa

INDOCINA - Un libro, una saggio, una guida per chi vuole approfondire

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Cambogia: reportage dopo il colpo di stato (2.10.1997)

Hegel analizzava la Storia partendo da principi teoretici speculari a quelli utilizzati dai suoi contemporanei. Ciò che per la storia cosiddetta “di massa” era il punto fermo da cui si sarebbero poi dipanati gli avvenimenti futuri, per Hegel rappresentava, invece, il punto d’arrivo, il sugello, la conclusione di un lungo processo storico “preparativo”.
Marx ed Engels, condividendo tale visione scientifica, la perfezionano, arricchendola di nuove teorie che verranno raccolte principalmente nel libretto “La Sacra Famiglia”, purtroppo ancora oggi poco conosciuto negli stessi ambienti di sinistra che si ricollegano al pensiero dei due fondatori del movimento comunista.
L’avvento della tecnologia informatica e satellitare, che ha consentito di rendere quasi nulli i tempi di circolazione delle notizie, abbinato all’incalzante e quasi spasmodico susseguirsi di cambiamenti radicali degli ultimi anni, ha talmente compresso l’onda sinusoidale del “corso e del ricorso” degli avvenimenti storici, da annullare in noi la percezione a lungo raggio della Storia. In poche parole, siamo divenuti immanentisti, isolando gli avvenimenti delle singole realtà locali come se fossero prodotti confezionati in contenitori sigillati, senza alcun legame che li riconduca ad un unico filo logico, quello, per intenderci, della Storia.
A questa regola sono fuggiti, almeno sino ad ora, i popoli asiatici e in particolare quelli di formazione filosofico-religiosa buddista e taoista. Sono gli stessi che hanno accolto le teorie marxiste con l’ortodossia e il fervore tipici dei primi rivoluzionari russi. Non è un caso che i Paesi dove il marxismo ha conquistato il maggior consenso popolare e gli unici che ancora oggi sopravvivono all’incalzare del cosiddetto libero mercato, sono raggruppati nella porzione di terra denominata Est Asiatico, roccaforte per millenni della propagazione delle idee di Shakyamuni e Lao Tze. Le cui idee, occorre precisarlo, di correlazione inscindibile tra causa ed effetto, hanno rappresentato per molti teorici e militanti comunisti, le chiavi per aprire le porte al marxismo nel continente. Mao Zedong, Ho Chi Minh, Kim Il Sung, Pol Pot: tutti le hanno utilizzate con successo per spiegare la loro azione rivoluzionaria al popolo, che di marxismo non aveva ancora neppure sentito pronunciare la parola.
E’ sulla base di queste coordinate che occorre rifarsi per comprendere gli ultimi avvenimenti che hanno sconvolto la Cambogia.
La cronologia è nota a tutti coloro che hanno seguito, anche di sfuggita, il dipanarsi dei fatti: gli accordi che il 4 luglio 1997 avevano portato alla costituzione di un’alleanza tra il Partito di Kampuchea Democratica (PKD, Khmer Rossi) e il Funcinpec di Norodom Ranariddh e che avrebbe permesso al primo di presentarsi alle elezioni previste per il maggio 1998, sono stati seguiti il 5 luglio dal putsch di Hun Sen, leader del Partito del Popolo Cambogiano (PPC).
Per giorni Phnom Penh e le città più importanti del Paese sono state oggetto di cruenti combattimenti tra le fazioni rivali. Infine, il 25 luglio il leader storico del PKD, Saloth Sar, è stato processato dai suoi stessi compagni e condannato all’ergastolo.
In due soli mesi la situazione politica dell’intera regione viene sconvolta, ma Hun Sen sa bene che non si ripeterà la ridda di critiche internazionali che avevano accompagnato la sua presa di potere nel gennaio 1979, realizzatasi grazie all’invasione vietnamita.
Gli USA, che dalla fine della Seconda Guerra d’Indocina, si sono limitati a controllare che la situazione della regione non degenerasse, non se la sentono di appoggiare un Ranariddh alleato dei Khmer Rossi (anche se dal 25 luglio il PKD ha mutato nome in Partito di Unità Nazionale e i suoi membri non vogliono essere più identificati con i Khmer Rossi di Pol Pot). Il leader del Funcinpec alle Nazioni Unite viene accolto con freddezza e da Washington non ottiene neppure che l’azione di Hun Sen venga identificata come “colpo di stato”.
Il futuro della nuova Cambogia non sembra affatto compromesso: l’Asean stessa, che ha rifiutato più per proforma che per reale condanna, l’ammissione cambogiana nell’organizzazione prevista per la fine di luglio, non può permettersi di prolungare più di tanto l’estromissione. Il suo perso politico e strategico all’interno dello scacchiere internazionale verrebbe mutilato pesantemente proprio nel momento in cui l’economia dei suoi Paesi fondatori traballa pericolosamente. Inoltre il Trattato di Cooperazione Militare firmato di recente tra USA e Giappone, ripropone in modo drammatico il punto interrogativo sulle reali intenzioni di Tokyo nell’Asia Orientale. Con una Cina ancora economicamente in fase di sviluppo e una Corea del Nord che solo dei demagoghi possono definire un pericolo nucleare, esclusivamente un’Asean unita e forte può sperare di equilibrare la bilancia militare nella regione, attualmente pesantemente spostata verso l’asse Tokyo-Washington.
Chi potrebbe trarre maggior profitto della nuova instabilità cambogiana è la Cina, che dopo la morte di Deng Xiaoping, il ricongiungimento di Hong Kong e il recente congresso del Partito Comunista, tenta faticosamente di riacquistare peso politico nel continente.
Già impegnata sul fronte coreano come Paese chiave nella mediazione tra Pyongyang e Seoul, ora Pechino vede attraverso la breccia cambogiana lo spiraglio per entrare nella regione sud est asiatica, sino ad ora ermeticamente chiusa ad essa. Sihanouk, il carismatico, anche se ambiguo, re cambogiano, dopotutto vive a Pechino e se Hun Sen vuole legittimare il proprio governo anche agli occhi dei Khmer, deve assicurarsi la benedizione del re. Una delle prime mosse politiche attuate dal nuovo regime di Phnom Penh è stat quella di chiudere l’Ufficio Commerciale di Taiwan e allontanare tutti i cittadini di Formosa dal Paese per ingraziarsi i favori di Pechino presso Norodom Sihanouk. Naturalmente la risposta della Cina non si è fatta attendere e alla fine di agosto il nuovo leader cambogiano ha potuto incontrare il monarca, il quale si è dichiarato disponibile a rientrare nel suo regno appena la salute glielo permetterà.
Pechino ora punta a colmare il vuoto lasciato da Washington con la politica del bastone e della carota: da una parte occupa militarmente le isole Spratly, nel Mar Cinese Meridionale e compie esplorazione off-shore in acque contese da Viet Nam, Malesia, Filippine, Brunei e Cina, appunto; dall’altra offre a questi stessi Paesi i suoi servigi per calmare la situazione a Phnom Penh e il suo appoggio alla richiesta di revisione della Dichiarazione di Diritti Umani che gli USA e l’Unione Europea si ostinano a non accogliere.
L’appoggio dell’Asean è fondamentale alla Cina per liberare i confini meridionali, specie quello con il Viet Nam, e focalizzare la sua attenzione nella regione dello Xinjang, sconvolto da moti secessionisti musulmani, e lungo la frontiera indiana, recentemente resasi incandescente per il riacutizzarsi della questione del Kashmir.
Gli USA, che con il Segretario di Stato Madeleine Albright hanno ricominciato ad interessarsi direttamente all’area sudorientale dell’Asia, si vedono costretti a restare sulla difensiva, specie dopo che il Primo Ministro Malese Mahathir ha pesantemente denunciato il finanziere newyorkese George Soros di essere il responsabile principale della politica di deprezzamento delle valute dei Paesi dell’Asean. L’Amministrazione Clinton, reduce dalla agguerritissima campagna contro l’ammissione del Myanmar nell’Asean, non vuole rischiare di perdere l’ultima chance che gli si presenta per rimettere piede in Indocina: aiutare oggi Hun Sen evitando di estendere l’embargo già in atto verso Yangoon anche a Phnom Penh, potrebbe significare ricevere dei favori domani. Inoltre una Cambogia stabile potrebbe rappresentare una sorta di salvagente per le imprese statunitensi impegnate sul mercato vietnamita nel caso Hanoi indurisca le sue posizioni in merito alle leggi sul lavoro. Spostare ingenti quantità di capitali a pochi chilometri di distanza in un mercato finanziario senza regole come è quello cambogiano, risulta sempre assai comodo. Ed è per questo che il Viet Nam è, tra i paesi limitrofi, quello che trarrà immediato beneficio economico dal colpo di stato di luglio. Ma quanto durerà? Le elezioni di maggio, necessarie sia a Hun Sen per avere un mandato popolare, sia all’Asean per mostrare al mondo intero che la situazione della regione si è definitivamente normalizzata, dovranno comunque essere attuate. Poco importa se, come è accaduto con quelle del 1993, non si insegna ai leaders il significato di democrazia.
La stabilità esterna della Cambogia è inversamente proporzionale a quella presente entro i suoi confini. Parola, quest’ultima, che nel contesto cambogiano è divenuta un eufemismo, dato che la nazione è divenuta base di smercio di traffici illeciti: droga, armi, contrabbando, tutto riesce a passare la frontiera-colabrodo. E di questi commerci ne traggono beneficio sia uomini d’affari (famoso tra questi è Theng Bunma, l’uomo più ricco del Paese e intimo amico di Hun Sen), sia politici. Questa sporcizia morale viene spesso a scontrarsi, nei paragoni della gente, all’onestà del regime di Kampuchea Democratica. Tra le innumerevoli accuse rivolte alla dirigenza Khmer Rossa, non sono mai comparse le parole “corruzione” e “ostentazione”. E nelle società asiatiche a base filosofica buddista la modestia e l’umiltà sono le due virtù necessarie per ottenere la fiducia di un popolo. I Khmer Rossi hanno avuto sempre un appoggio popolare ampio nelle campagne, anche dopo il 1979. Un sondaggio dell’UNTAC eseguito nel 1993, aveva appurato che se il Partito di Kampuchea Democratica si fosse presentato alle elezioni, avrebbe ottenuto una media nazionale del 15%, con punte anche dell’80% nelle zone rurali ad occidente della nazione. La crisi del PKD è cominciata con l’apertura della Cina al mercato capitalista. In cambio di sovvenzionamenti e di investimenti, Pechino avrebbe dovuto interrompere l’appoggio politico e militare alla guerriglia comunista non solo in Cambogia, ma anche in Thailandia e in Malesia, cosa che Deng Xiaoping fece. Inoltre dopo l’armistizio del 1994 tra l’Esercito di Liberazione Wa e la giunta militare di Yangoon, questa riprese il controllo delle miniere di rubini nel Nord del Paese, inondando i mercati di Bangkok di pietre preziose e causando la caduta vertiginosa del loro prezzo. Le miniere di Pailin, principale fonte di finanziamento dei Khmer Rossi, perdono di valore e molti cambogiani che vi lavoravano si trasferiscono in altre zone, dando all’esercito reale informazioni sui movimenti delle truppe, la loro consistenza e, soprattutto sulla difficoltà finanziaria cui sta andando incontro il PKD. Pailin verrà conquistata dai carri armati di Phnom Penh poche settimane dopo. A indebolire ulteriormente il movimento vi sono le numerose defezioni, importanti non solo dal punto di vista numerico, ma soprattutto dal punto di vista qualitativo: numerosi sono i generali e i dirigenti che scelgono la via del compromesso con il governo abbandonando la lotta armata. Tra questi Ieng Sary, ex Ministro degli Esteri di Kampuchea Democratica e ex cognato di Pol Pot.
Ma anche chi rimane cerca di avviare un processo di rientro, cui anche Pol Pot, all’inizio sembra essere favorevole. Si ribella solo quando i funzionari governativi del Funcinpec che intavolano le trattative, insistono su una sua consegna al tribunale internazionale. La spaccatura è inevitabile: Pol Pot, solo, da una parte; Son Sen (che verrà ucciso), Ta Mok (che sfugge alla cattura aiutato dagli stessi contadini che lo proteggono) e Khieu Samphan dall’altra. Riemerge la vecchia spaccatura tra i Khmer Rossi che si ispirano alla strategia rivoluzionaria agricola di Mao Zedong, perdente nel 1975 con l’uccisione di Hu Nim e Hou Youn e di cui rimane solo Khieu Samphan come rappresentante, e i Khmer Rossi che si rifanno al problema culturale proposto dalla Grande Rivoluzione Culturale Proletaria cinese, di cui è principale rapprentante Pol Pot stesso.
Forse è stato questo l’errore principale di Saloth Sar: quello di non essersi ricordato di quanto diceva Mao; adattare la strategia al momento storico di ciascun Paese.

© Piergiorgio Pescali

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