Non dimenticare la storia


Als die Nazis die Kommunisten holten, habe ich geschwiegen;
ich war ja kein Kommunist.
Als sie die Sozialdemokraten einsperrten, habe ich geschwiegen;

ich war ja kein Sozialdemokrat.
Als sie die Gewerkschafter holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Gewerkschafter.
Als sie die Juden holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Jude.
Als sie mich holten,
gab es keinen mehr, der protestierte.


Quando i nazisti vennero per i comunisti, io restai in silenzio;
non ero comunista.
Quando rinchiusero i socialdemocratici, rimasi in silenzio;
non ero un socialdemocratico.
Quando vennero per i sindacalisti, io non feci sentire la mia voce;
non ero un sindacalista.
Quando vennero per gli ebrei, non protestai;
non ero un ebreo.
Quando vennero per me, non era più rimasto nessuno che potesse far sentire la mia voce.

(Emil Gustav Friedrich Martin Niemöller; Lippstadt, 14 gennaio 1892 – Wiesbaden, 6 marzo 1984)



S-21 - Nella prigione di Pol Pot

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S-21; un romanzo storico, una narrazione viva e potente che porta il lettore in una struttura detentiva istituita dal regime degli Khmer Rossi, una prigione da cui pochi sono tornati, seppur segnati nel corpo e nello spirito, vivi.

IL CUSTODE DI TERRA SANTA - un colloquio con padre Pierbattista Pizzaballa

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FESTIVAL FRANCESCANO 2014 - Rimini, piazza Tre Martiri,SABATO 27 SETTEMBRE - ORE 15.00 Presentazione del libro Il Custode di Terra Santa

INDOCINA - Un libro, una saggio, una guida per chi vuole approfondire

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Cambogia - Colpo di Stato di Hun Sen (9.7.1997)

A Phnom Penh è tornata la calma, ma nessuno si illude che durerà. I negozi dei cambogiani di etnia cinese che vendono l’oro, termometro della situazione del Paese in mancanza di altre notizie, sono aperti solo poche ore al giorno e non tutti, segno che l’attività politica non si è ancora stabilizzata. All’Olympic Market, uno dei più forniti della città e dove nei giorni normali si fatica ad entrare, i pochi venditori che espongono gli oggetti hanno raddoppiato i prezzi. Poco male sino a che si tratta di stoviglie, vestiario, beni voluttuari, ma anche la frutta, la carne, il pesce, hanno raggiunto cifre poco abbordabili per i già magri bilanci dei cambogiani. “T’lai nah”, “E’ caro”, si sente spesso sospirare dalle donne che, nonostante tutto, riescono a racimolare qualche banana, un poco di riso e qualche confezione di spaghetti “Made in Thailand”. Il Tuol Tom Pong Market, dove solitamente si concentrano i venditori youn, cioè vietnamiti, di Phnom Penh, è pressoché deserto. Del resto in città regna il terrore, alimentato dai soldati di Hun Sen che rastrellano casa per casa i più noti simpatizzanti del Funcipec. Ed in questo pogrom è facile vendicarsi di antichi torti o appianare con metodi sbrigativi diatribe che si prolungano da anni. Basta che uno dichiari che il proprio vicino di casa sia un fedele sostenitore di Ranariddh, ed ecco arrivare una pattuglia che mette a soqquadro tutto l’appartamento e, spesso, arresta l’indiziato. Passando per Issarak Boulevard vedo un gruppo di soldati entrare in un edificio fatiscente. Sento delle grida e subito dopo un uomo dal volto scavato dalle rughe viene spinto nella strada deserta. Incespica, bracolla per qualche passo e cade. Istintivamente, mentre uno dei soldati cerca di prenderlo per il bavero della camicia, si copre la testa con le mani, quasi per ripararsi dai pugni che, forse, ha già preso e che prenderà. Viene trascinato mentre sull’uscio la sua famiglia lo guarda inebetita, incredula di ciò che sta accadendo. “Kmai grahorm”, Khmer Rosso, mi dice quasi sottovoce un ragazzo sulla ventina che guarda anche lui la scena. Ma sarà veramente un Khmer Rosso o tutto fa parte di un copione prestabilito ed a cui i militari si prestano volentieri? Torno a casa e la televisione manda in onda la faccia da giovanotto serio e compassato di Hun Sen. “Due ministri fedeli a Ranariddh si sono suicidati” dice, ma non so quanta gente crederà alla tesi ufficiale. Poi continua con il solito comizio tra il propagandistico ed il paternalistico, ripercorrendo le tappe che lo han condotto a compiere “un gesto indispensabile per lo sviluppo del Paese che, per colpa di Norodon Ranariddh stava per essere di nuovo dato in mano ai Khmer Rossi.” Naturalmente nessun accenno al fatto che anche lui, Hun Sen, ha fatto parte del movimento fino al maggio 1978. Sopra di me sento un rombo differente da quello degli elicotteri che sorvolano di continuo Phnom Penh; non sembra neppure provenire dai motori un poco sbuffanti degli aerei da trasporto dell’aeronautica militare cambogiana che riforniscono di munizioni, viveri, e truppe fresche le province occidentali del Paese, dove continuano gli scontri. Guardo in alto e vedo la sagoma di un aereo di linea che si slancia veloce verso il cielo. L’aeroporto è stato riaperto. L’Hotel Cambodiana, dove esiste un centro di raccolta delle ambasciate e della Croce Rossa Internazionale, si sta finalmente svuotando dei turisti e dei volontari delle NGO che vogliono lasciare il Paese. Con la loro partenza, forse si spegnerà anche l’interesse mostrato dalla comunità internazionale verso questo Paese. I grandi conglomerati industriali hanno infatti evitato di installare impianti in Cambogia perché un governo bicefalo e bisticcione non dava garanzie di efficienza e di stabilità. Lo stesso Fondo Monetario Internazionale aveva salutato con fiducia la data delle elezioni fissate per il maggio 1998, non tanto per una questione di democrazia, quanto perché avrebbero consegnato la Cambogia nelle mani di un solo uomo; Hun Sen, Ranariddh o chi altro, questo non aveva alcuna importanza. Una Cambogia guidata da un solo Primo Ministro, con Ministeri retti da un solo rappresentante avrebbe significato in teoria una burocrazia meno asfissiante, confini più protetti e quindi più sicuri, una politica economica chiara e decisa. “Per noi il colpo di stato di Hun Sen ha solo significato un’accelerazione dei tempi. Lasciamo passare la bufera e nel giro di pochi mesi la Cambogia sarà meta di delegazioni economiche giapponesi, thailandesi, malesi, americane, francesi...” dice un uomo d’affari taiwanese. Forse il suo cinico pragmatismo lo ha portato a considerare gli eventi in senso troppo ottimista, ma è pur sempre vero che la stessa Asean, di cui la Cambogia dovrebbe entrare a far parte alla fine del mese, ha più volte dichiarato che il Paese avrebbe necessità di giungere ad un gabinetto al cui vertice ci dovrebbe essere un unico rappresentante. Hun Sen l’ha accontentata.

© Piergiorgio Pescali

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