1431: il regno di Chen-la è in subbuglio. Ad ovest, truppe del Regno del Siam hanno varcato la frontiera e stanno rapidamente avanzando verso Angkor Thom, la fastosa capitale di quello che, un tempo, è stato l’impero più potente del Sud Est Asiatico. Il re Ponhea Yat, per evitare la cattura, decide di abbandonare la città con tutta la corte, rifugiandosi verso oriente, prima a Basan, poi a Phnom Penh. Chissà, forse pensa di organizzare un contrattacco e poter far ritorno ad Angkor -come già fece nel XIII secolo Jayavarman VII- e ridare splendore al suo regno.
Ma non vi sarà più nessun Jayavarman VII nella dinastia Khmer, la quale vede lentamente ridurre la propria influenza nell’esiguo territorio rimastogli. Angkor stessa, dopo essere stata saccheggiata, sprofonda nell’oblio della memoria, aiutata anche dalla rigogliosa vegetazione della giungla tropicale, che in pochi anni ricopre i favolosi monumenti.
Solo Angkor Wat, il complesso religioso costruito in trent’anni da Suryavarman II nel XII secolo, continua ad essere meta di pellegrinaggi di monaci e fedeli buddisti, oltre che di saltuari visitatori europei che ne descrivono, a volte liberando troppo la loro fantasia, le vestigia.
E’ comunque solo dopo il 1860 che l’Europa e la Francia in particolare, “riscoprono” il fascino di Angkor. Il merito va ascritto a Henri Mouhot, il quale, oltre a compilare una relazione, ritrae in diversi disegni il complesso. L’interesse francese per la zona archeologica -che nel periodo in questione è parte integrante del Regno del Siam- non è comunque immune da ambizioni di conquiste coloniali che Parigi nutre nella regione. Dal 1864 la Cambogia diviene protettorato francese e inglobata nella regione indocinese assieme a Laos e Vietnam. Nel 1907, grazie ad un trattato col Siam, anche le province occidentali di Battambang e Siem Reap, a cui appartiene Angkor, rientrano a far parte dei confini cambogiani.
L’evento, oltre che a riscattare in parte i colonizzatori aglio occhi dei colonizzati, permette alla prestigiosa Ecole Française d’Extreme-Orient (EFEO), di prendersi cura delle rovine, permettendo nel contempo l’accesso al turismo di massa. Angkor diviene talmente famosa che nel 1931, all’Esposizione Coloniale di Parigi, viene presentata una ricostruzione in scala reale della facciata di Angkor Wat, lanciando la cosiddetta “angkormania”. Scrittori, pittori, poeti, politici compiono “pellegrinaggi” nel sito, “scoprendo” altri monumenti di altrettanto struggente fascino e bellezza come il Ta Prohm, il Phimeanakas, il Banteay Srei e, sorpattutto, il Bayon, le cui facce dal sorriso appena accennato, hanno impegnato gli studiosi di tutto il mondo nel carpirne i segreti.
Gli anni Trenta sono anche un periodo di fioritura letteraria con il filone di romanzi ambientati ad Angkor, complici alcune disavventure capitate a personaggi illustri come André Malraux, che nel 1923 è stato accusato di aver sottratto dal complesso cambogiano alcune sculture. La vicenda verrà narrata nel libro La Voie Royale pubblicato nel 1930.
Lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, offusca la fama di Angkor, che invece rimane sempre vivida nel nascente movimento Khmer, che utilizza il mito del grande monumento come portabandiera per le sue lotte anticoloniali. L’indipendenza e la figura carismatica di Sihanouk, rilanciano il monumento, che diviene di nuovo meta preferita di migliaia di turisti e archeologi. Ma di nuovo, negli anni Settanta, il coinvolgimento della cambogia nella Seconda Guerra d’Indocina, costringe le autorità prima a limitare le visite di stranieri, poi, dal 1972, a chiudere completamente l’area al turismo.
Neppure la ritrovata pace con la conquista del potere da parte dei Khmer Rossi nel 1975, permetterà agli archeologi ed ai restauratori di intervenire sui monumenti, tanto che questi nel 1979, quando il governo di Pol Pot viene ribaltato dall’invasione vietnamita, sono in grave stato di degrado e di abbandono.
Solo qualche anno più tardi squadre indiane e polacche iniziano a riparare i danni causati dall’incuria. E’ un lavoro costoso, delicato ed estremamente impegnativo che continua ancora oggi con gli aiuti dell’UNESCO e della rinata EFEO.
© Piergiorgio Pescali
S-21 - Nella prigione di Pol Pot
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