Non dimenticare la storia


Als die Nazis die Kommunisten holten, habe ich geschwiegen;
ich war ja kein Kommunist.
Als sie die Sozialdemokraten einsperrten, habe ich geschwiegen;

ich war ja kein Sozialdemokrat.
Als sie die Gewerkschafter holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Gewerkschafter.
Als sie die Juden holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Jude.
Als sie mich holten,
gab es keinen mehr, der protestierte.


Quando i nazisti vennero per i comunisti, io restai in silenzio;
non ero comunista.
Quando rinchiusero i socialdemocratici, rimasi in silenzio;
non ero un socialdemocratico.
Quando vennero per i sindacalisti, io non feci sentire la mia voce;
non ero un sindacalista.
Quando vennero per gli ebrei, non protestai;
non ero un ebreo.
Quando vennero per me, non era più rimasto nessuno che potesse far sentire la mia voce.

(Emil Gustav Friedrich Martin Niemöller; Lippstadt, 14 gennaio 1892 – Wiesbaden, 6 marzo 1984)



S-21 - Nella prigione di Pol Pot

S-21 - Nella prigione di Pol Pot
S-21; un romanzo storico, una narrazione viva e potente che porta il lettore in una struttura detentiva istituita dal regime degli Khmer Rossi, una prigione da cui pochi sono tornati, seppur segnati nel corpo e nello spirito, vivi.

IL CUSTODE DI TERRA SANTA - un colloquio con padre Pierbattista Pizzaballa

IL CUSTODE DI TERRA SANTA - un colloquio con padre Pierbattista Pizzaballa
FESTIVAL FRANCESCANO 2014 - Rimini, piazza Tre Martiri,SABATO 27 SETTEMBRE - ORE 15.00 Presentazione del libro Il Custode di Terra Santa

INDOCINA - Un libro, una saggio, una guida per chi vuole approfondire

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Terrasanta: la basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme


Nel 333 un pellegrino proveniente da Bordeaux, visitando Gerusalemme scrisse sul suo diario: «Basilica iussu Constantini facta est». E’ questo il più antico documento relativo alla basilica del Santo Sepolcro sino ad oggi rinvenuto. Due anni più tardi, nel 335, la chiesa venne consacrata. La mappa di Madaba, un mosaico risalente al 560 d.C. e riprodotto nel Cardo di Gerusalemme, ci propone la basilica così come avrebbe dovuto vederla il pellegrino di Bordeaux: l’entrata a scalinata con una facciata a tre arcate, ricoperta da un tetto a capanna dal soffitto laminato in oro. Da allora numerosi interventi hanno stravolto la pianta del luogo sacro, ma la comunità cristiana della città santa ha continuato a perpetuare la memoria di quello che, si pensa, sia il luogo della Passione di Gesù. Già, perché, come afferma padre Eugenio Alliata, archeologo francescano e direttore del museo della Flagellazione di Gerusalemme, «non c’è assoluta certezza che la tomba sia quella in cui venne deposto il corpo di Gesù dopo la crocifissione, ma identificandoci con la tradizione comunitaria che risale al IV secolo d.C., abbiamo continuato a riconoscerla come tale». Da allora, la basilica, la cui costruzione fu approvata da Costantino, è divenuta meta di incessanti pellegrinaggi. Oggi della chiesa d’epoca costantiniana non rimane quasi nulla, essendo stata distrutta nel 1009 dal califfo Hakim bi-Amr Allah, che pur aveva madre e sorella cristiane. L’edificio che oggi possiamo ammirare dall’esterno, risale al 1041, quando Michele IV il Paflagone inglobò in un unico stabile la tomba, il Calvario e il luogo del ritrovamento della Santa Croce. L’interno, invece, ristrutturato a più riprese da francescani e dai greci ortodossi, è ancora più recente: l’edicola, la struttura che ingloba la tomba di Cristo all’interno dell’anastasis, è stata ricostruita nel 1555, mentre l’attuale rotonda, che sovrasta l’edicola, è opera dell’architetto greco Nikolaos Komnenos, che compì i lavori di restauro tra il 1809 e il 1810.
Ciò che impressiona maggiormente chi visita la basilica (e Gerusalemme) è la compressione degli spazi: i Vangeli ci hanno portato a identificare un itinerario della Passione allungato, che nella realtà si restringe in poche centinaia di metri (dalla chiesa della Flagellazione al Santo Sepolcro, la via Dolorosa è lunga 500 metri). Ancor più sorprendente è l’altezza del monte Calvario, che dal basamento della basilica si innalza di soli 5 metri.
I pellegrini, i turisti, o semplici curiosi si alternano nel percorrere i luoghi dove Gesù ha spirato i suoi ultimi respiri da uomo per poi risalire nel Cielo. Di solito non si segue un percorso cronologico, ma appena varcata la soglia della basilica ci si dirige immediatamente sulla pietra dell’unzione (in realtà una copia), dove il corpo di Gesù fu deposto e lavato dopo essere stato deposto dalla croce. I fedeli si accalcano per baciare la lastra e per “ungere” di sacralità oggetti più disparati: sciarpe, rosari, statuine sacre, fazzoletti… A volte la folla è talmente numerosa che sorgono battibecchi e litigi.
Salendo pochi scalini si giunge nella cappella del Calvario, in cui si erge la vetta della roccia dove venne piantata la  croce. Nella lastra di plexigas che protegge lo sperone, è stato praticato un foro per permettere ai pellegrini di toccare la pietra.
Nella fretta dei tour guidati, pochi sono coloro che scendono le scale sino a raggiungere la cappella di Sant’Elena ed osservare, scolpite nelle pietre, le innumerevoli croci di epoca crociata.
Da qui si giunge alla stanza del ritrovamento della Santa Croce, incassata nella pura roccia sotto il livello del terreno. Fu Elena, la madre di Costantino che, secondo racconti postumi di quasi un secolo, ritrovò la reliquia. «Il vescovo di Gerusalemme, Cirillo, a cui si deve il documento che relaziona la scoperta della Santa Croce, non sembra dare eccessiva importanza al ritrovamento, non descrive la croce, non la presenta» afferma padre Alliata. Un fatto singolare, visto che la croce è il simbolo del cristianesimo e, come tale, un suo ritrovamento dovrebbe aver suscitato scalpore.
La totalità dei pellegrini, invece, si dirige nell’anastasis, il cuore della basilica. Qui, stretta in una gabbia di ferro che ne ha impedito il crollo dopo un terremoto, sorge l’edicola, che protegge a sua volta il sepolcro di Gesù. La fila di fedeli è continua ed inizia già alle 4 del mattino, quando le porte della chiesa vengono aperte secondo un rituale ben preciso che esclude l’appropriazione della chiave ad una sola delle chiese cristiane che si dividono gli spazi del Santo Sepolcro. Sì, perché in questo luogo, simbolo della cristianità, convergono anche le divisioni delle fedi che vedono nella passione e nella resurrezione di Cristo, il punto centrale della loro dottrina.
I fedeli non se ne accorgono, ma tutto ciò che rotea attorno al Santo Sepolcro è immutabile, separato ed al tempo stesso fissato da un rigidissimo decreto, chiamato Status quo, redatto nel 1852 dal sultano ottomano per porre fine alle frequenti risse tra le varie comunità che amministravano il luogo. Sicché armeni, greco ortodossi, latini cattolici, siriaci e copti hanno propri spazi che gestiscono autonomamente, ma dove nulla può essere cambiato senza l’approvazione delle altre confessioni. L’esempio più eclatante è la scala a pioli che, da un secolo, è poggiata sul frontale superiore della basilica: dimenticata inavvertitamente dopo alcuni lavori di restauro, non si è ancora deciso da chi, come e quando debba essere rimossa.
Le incomprensioni tra le chiese, specialmente tra latini e greci ortodossi, si osservano chiaramente: i rappresentanti delle singole fedi all’interno della basilica, raramente si parlano e, ancor più difficilmente, si salutano. Spesso i fedeli restano sbigottiti e sconcertati dalla rudezza con cui vengono trattati dai preti greci ortodossi, a cui è demandato il controllo delle visite all’interno dell’edicola, mente i rapporti tra latini e armeni, sono decisamente più cordiali e distesi.
«Bisogna, però, evitare le semplificazioni» afferma padre Pierbattista Pizzaballa, Custode di Terrasanta per la Chiesa Latina; «Tutto in Terrasanta procede a doppio binario: quello istituzionale e quello privato. Anche nei momenti di crisi, è sempre possibile il dialogo e questo esiste sempre, anche con chi, dall’esterno, sembra sordo ad ogni richiamo.»
La litigiosità esistente tra le comunità, resta comunque alta: le vergognose immagini delle risse tra armeni e greco ortodossi, non onorano né le due Chiese, ma neppure la religione cristiana e gettano una sorta di discredito anche a quelle fedi che cercano di estraniarsi da queste colluttazioni. E’ sempre padre Pizzaballa che spiega il rapporto di amore-odio che tiene vivo il dialogo con la chiesa greco ortodossa: «La storia che contraddistingue i rapporti tra noi e i greci ortodossi è unica: abbiamo sempre dovuto rivaleggiare per la custodia dei luoghi santi, ma al tempo stesso abbiamo dovuto cercare un’intesa comune che ci permettesse di difenderci dalla realtà circostante.»
Durante il periodo pasquale, le processioni incessanti e continue esacerbano le tensioni: il comitato dello Status quo programma attentamente e minuziosamente ogni singolo evento per dare spazio alle comunità armena, latina e greco ortodossa, di poter espletare i propri rituali senza intralciarsi a vicenda. Ogni ritardo, ogni prolungamento seppur minimo, è una scintilla che può provocare l’esplosione degli animi, già provati da settimane di preparativi e di discussioni.
Anche effettuare riprese fotografiche all’interno degli spazi sacri può sollevare problemi. Pur avendo l’approvazione della Custodia di Terrasanta per fotografare gli interni della basilica usando il cavalletto, diverse volte sono stato avvicinato da preti greco ortodossi o addirittura dagli stessi frati francescani preoccupati più per l’invasione delle loro proprietà che per la manutenzione artistica dei beni del Santo Sepolcro. Paradossalmente nulla e nessuno, infatti, vieta l’uso dei flash, i cui lampi di luce concentrata hanno effetti deleteri sui beni artistici.
In questi ultimi anni, infine, la crisi economica che ha colpito in particolar modo la Grecia, ha messo il patriarcato di Gerusalemme in condizioni finanziarie precarie, dando modo alla chiesa ortodossa russa di fare pressioni per subentrare in alcune attività in Terrasanta. Nonostante le difficoltà, le richieste russe sono, per ora, state respinte, ma Mosca continua seguire da vicino le travagliate vicende della chiesa greco ortodossa di Gerusalemme. Il patriarca Teofilo III, infatti, dopo essere stato eletto nel 2005, si è trovato a far fronte ad una situazione finanziaria sull’orlo del baratro, dopo che il suo predecessore, Ireneo I, aveva venduto molte proprietà a uomini d’affari israeliani. La traversia ha avuto anche dei risvolti politici, visto che lo stato d’Israele, cui spetta assieme alla Giordania e all’Autorità Palestinese il diritto di accettare o rifiutare il nuovo patriarca, continua a riconoscere Ireneo I come legittimo successore di Giacomo il Giusto. A complicare ulteriormente la vicenda, parte del patriarcato ortodosso di Gerusalemme continua a ritenere in carica Ireneo I, dando così vita ad un vero e proprio sdoppiamento di identità. Tutta questa incertezza si ripercuote anche nei rapporti con le altre confessioni religiose, anche se, da più parti, si è evidenziata una maggiore propensione e disponibilità al dialogo da parte di Teofilo III.
Sarà proprio Teofilo III che, come tradizione, a mezzogiorno del il Sabato Santo entrerà nel sepolcro, ermeticamente sigillato dal mattino per evitare la presenza di qualsiasi oggetto che possa innescare scintille, e accoglierà il cosiddetto Fuoco Santo, testimonianza della resurrezione di Cristo. E’ la cerimonia più importante della fede ortodossa, secondo cui il Signore stesso, nel giorno della sua salita al Cielo, invia la fiamma, simbolo di vita eterna, che accende la candela del patriarca. Il fuoco di quella prima fiammella celeste verrà poi utilizzato per accendere altre candele, le quali, a loro volta, illumineranno le strade di tutta Gerusalemme. E, per una volta, tutti, musulmani, ebrei, cattolici, ortodossi, armeni, dimenticheranno le dispute per ammirare le pietre della città santa illuminarsi di sacralità. 

Copyright ©Piergiorgio Pescali

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