Non dimenticare la storia


Als die Nazis die Kommunisten holten, habe ich geschwiegen;
ich war ja kein Kommunist.
Als sie die Sozialdemokraten einsperrten, habe ich geschwiegen;

ich war ja kein Sozialdemokrat.
Als sie die Gewerkschafter holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Gewerkschafter.
Als sie die Juden holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Jude.
Als sie mich holten,
gab es keinen mehr, der protestierte.


Quando i nazisti vennero per i comunisti, io restai in silenzio;
non ero comunista.
Quando rinchiusero i socialdemocratici, rimasi in silenzio;
non ero un socialdemocratico.
Quando vennero per i sindacalisti, io non feci sentire la mia voce;
non ero un sindacalista.
Quando vennero per gli ebrei, non protestai;
non ero un ebreo.
Quando vennero per me, non era più rimasto nessuno che potesse far sentire la mia voce.

(Emil Gustav Friedrich Martin Niemöller; Lippstadt, 14 gennaio 1892 – Wiesbaden, 6 marzo 1984)



S-21 - Nella prigione di Pol Pot

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S-21; un romanzo storico, una narrazione viva e potente che porta il lettore in una struttura detentiva istituita dal regime degli Khmer Rossi, una prigione da cui pochi sono tornati, seppur segnati nel corpo e nello spirito, vivi.

IL CUSTODE DI TERRA SANTA - un colloquio con padre Pierbattista Pizzaballa

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FESTIVAL FRANCESCANO 2014 - Rimini, piazza Tre Martiri,SABATO 27 SETTEMBRE - ORE 15.00 Presentazione del libro Il Custode di Terra Santa

INDOCINA - Un libro, una saggio, una guida per chi vuole approfondire

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Processo ai Khmer Rossi - Intervista a Vann Nath

Vann Nath osserva un gruppo di giovani cambogiani soffermarsi di fronte ai suoi quadri appesi in una sala del ristorante Kith Eng a Phnom Penh. Gli sguardi attoniti mostrano una certa diffidenza riguardo il realismo delle scene impresse sulle tele: «Comprendo la loro incredulità, ma tutto ciò che ho dipinto è accaduto veramente» esclama Nath mentre mi accompagna nella stanza dove vive e lavora. Lui è uno dei 14.000 khmer imprigionati a Tuol Sleng, la famigerata S-21, il luogo in cui venivano interrogati i presunti oppositori al regime di Pol Pot tra il 1975 e il 1978. Di quelle migliaia di oppositori, solo nove sopravvissero. Da allora, Nath dedica la sua vita a testimoniare la sua esperienza.

D: «Quando e perché è stato arrestato?»
Vann Nath: «Sono stato arrestato alla fine del 1977, ufficialmente per aver offeso l’Angkar. Ricordo che per settimane intere ho cercato di ripercorrere ogni parola, ogni mio gesto cercando di risalire l’attimo in cui è stato deciso il mio arresto, senza però riuscire a individuarlo. Ero un artista e questo bastava per essere catalogato come nemico»

D: «Delle 196 prigioni esistenti in Kampuchea Democratica, la S-21 è stata la più “letale”. Chi vi entrava poteva uscirne solo morto. Che cosa l’ha salvata?»
Vann Nath: «Mi ha salvato Pol Pot!» dice ridendo; «Sì, è vero, Pol Pot mi ha salvato. Duch aveva notato la mia abilità artistica e Nuon Chea aveva commissionato un monumento plastico raffigurante Pol Pot in marcia davanti a un gruppo di rivoluzionari. Avrebbe dovuto essere costruito al posto del Wat Phnom. Nel frattempo dovevo dipingere ritratti di Pol Pot.»

D: «Ha mai incontrato Pol Pot?»
Vann Nath: «Mai. L’ho visto solo in fotografia.»
D: «Il regime di vita è sempre stato così brutale?»
Vann Nath: «No, verso la fine del 1978 il regime si fece improvvisamente più rilassato e non c’erano quasi più torture. Anche le guardie si mostravano più gentili. Penso che il regime avvertisse l’imminenza della guerra con il Vietnam e cercava appoggi all’estero.»

D: «Dopo la sua liberazione ha dipinto quadri che raffiguravano scene di vita quotidiana all’interno della prigione. E’ stato testimone diretto di tutto ciò che ha rappresentato?»
Vann Nath: «La maggior parte le ho viste direttamente: i prigionieri sdraiati e incatenati, quelli stremati e affamati, le unghie strappate durante gli interrogatori, i morsi dei serpenti o degli scorpioni, le scosse elettriche. Sentivo le urla di dolore, i pianti dei neonati e delle loro madri. Vedevo i prigionieri caricati sui camion e portati a Choeung Ek. I camion tornavano vuoti e tutti capivamo che fine avremmo fatto. Altre, invece, mi sono state raccontate da altri sopravvissuti, come il dipinto del khmer rosso che uccideva un neonato sbattendolo contro un albero.»

D: «Pensa di essere stato obiettivo nelle sue rappresentazioni o ha in qualche modo esagerato?»
Vann Nath: «E’ una domanda che continuo a farmi ed è un peccato che nessun giornalista, fino od oggi me lo abbia chiesto. Sono stato “onesto”? Non so. Per ciò che ho visto posso dire di sì.»

D: «Ha mai incontrato i suoi carcerieri?
Vann Nath: «Sì. Ho incontrato Him Huy. Ha detto che se non avesse fatto quello che gli era stato ordinato di fare, sarebbe lui stesso stato ucciso. Ma ricordo che nei suoi occhi non vedevo alcuna pietà per i prigionieri da lui torturati.»

D: «Recentemente è iniziato il processo ai dirigenti superstiti di Kampuchea Democratica. Che effetto le ha fatto vedere Duch, il direttore della S-21, alla sbarra?»
Vann Nath: «Non ho provato odio, voglia di rivalsa. Voglio solo capire quale sia stato il meccanismo che ha prodotto tale regime, tale fobia del nemico. Voglio capire. Non voglio vendetta. Penso di avere diritto ad una spiegazione. Non mi interessa neppure che vengano condannati. Fosse per me li lascerei liberi a patto che ci diano delle spiegazioni. Perché è stato fatto tutto questo? Solo così potremmo evitare il ripetersi di questi drammi. Voglio che le future generazioni siano immuni da questi pericoli. Ma servono risposte. Se il processo si limita solo a condannare, allora è stato tutto inutile.»

© Piergiorgio Pescali

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