Le immagini trasmesse dalla Metro TV, la televisione locale di Padang, mostrano una popolazione impaurita che si riversa nelle strade attorniata da edifici distrutti. In alcuni quartieri le case in legno si sono incendiate, mentre in altri le condutture idrauliche si sono spezzate allagando tutto ciò che sta attorno. Il terremoto sembra aver parzialmente cancellato la principale città di Sumatra, un’isola grande una volta e mezza l’Italia, appartenente allo stato islamico più popolato al mondo: l’Indonesia. Abitata da novecentomila abitanti a maggioranza musulmana, Padang ospita anche una delle principali comunità cinesi della nazione, divenendo emblema di un Islam tollerante e moderato. Qui le leggi, nonostante siano ispirate alla sharia, sono più permissive che nella provincia di Aceh. Sono in molti i ragazzi che da Banda Aceh, la capitale della provincia più islamizzata della nazione, si trasferiscono a Padang per studiare. E qui si fermano, attirati dallo stile di vita meno ortodosso e meno opprimente, senza per questo perdere la loro fede e le loro tradizioni. Nei warung, i negozietti che si aprono sulle stradine, si può trovare dalla Mecca Cola alla Bintang Beer, mentre nei supermercati gli scaffali offrono anche superalcolici. Nella visione sincretica tutta asiatica della religione, capita anche di salire su angkot, i taxi Ape, sul cui cruscotto, per non offendere nessuno, troviamo immagini di Buddha, di Gesù e un libretto del Corano. Situata ai margini del continente asiatico e lontano dalle rotte commerciali, Padang non ha subito quello sviluppo sfrenato e irrispettoso che ha sconvolto la vita sociale di altre città e forse anche per questo è riuscita a mantenere un’atmosfera più tranquilla e rilassata. Case basse, molte delle quali ancora in stile tradizionale ed immerse in viali verdi, si dilungano verso la baia, mentre moschee e templi buddisti convivono pacificamente a pochi metri gli uni dagli altri. I pochi turisti che arrivano nel minuscolo aeroporto di Minangkabau, anche questo danneggiato dal terremoto, si fermano a Padang solo il tempo necessario per affittare una macchina ed addentrarsi all’interno, nella Valle di Anai o per visitare il Parco Nazionale di Rimba Panti. Al massimo, dopo le “fatiche” del viaggio, si stendono su una delle magnifiche spiagge che si aprono sulle molte baie della costa. Per preservare il richiamo vacanziero della città, i soli edifici costruiti con criteri antisismici sono gli hotel di lusso e pochi altri palazzi destinati ad ospitare i residenti stranieri, tra cui alcuni missionari. La maggior parte degli abitanti, invece, non ha alcuna possibilità di ristrutturare o costruire case sicure: le autorità, dopo la crisi economica, negano ogni accesso ai fondi pubblici, nonostante Padang sorga proprio lungo il cosiddetto “Anello di Fuoco”, una delle falde più attive al mondo, dove le placche indiana e australiana si incontrano. A nulla sono valsi i ripetuti e periodici richiami della natura, a cominciare da quel disastroso maremoto del 2004, che causò solo nella regione di Aceh più di centomila vittime, per continuare col terremoto del 2007, con epicentro proprio a Padang. La scossa di ieri potrebbe risvegliare l’ira della popolazione, che da troppo tempo si sente esclusa dallo sviluppo economico della nazione e questa rabbia potrebbe essere facilmente cavalcata da attivisti religiosi e dal nascente movimento separatista islamico.
© Piergiorgio Pescali
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